Le suffragette e il voto alle donne

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Le donne inglesi reclamavano il diritto di voto femminile fin dalla metà dell’Ottocento

di Sabrina Di Monte

 

Le suffragette inglesi furono bravissime ad organizzare eventi che attirassero l’attenzione dell’opinione pubblica sui loro sforzi per far ottenere il diritto di voto alle donne. Con questo fine, organizzavano dimostrazioni accuratamente coreografate. C’è persino chi pensa che queste eleganti signore edoardiane inventarono la performance di artista molto prima che Marina Abramovic percorresse la muraglia cinese a piedi (cfr. L.HILL, Suffragettes invented performance art, in L.Goodman e J. De Gay, The Routledge Reader in Politics and Performance, Routledge, London, 2000).

Ma sono state le loro azioni più radicali che hanno maggiormente contribuito alla loro fama. Spaccavano finestre, danneggiavano opere d’arte e appiccavano il fuoco alle case dei loro oppositori. Tutto ciò allo scopo di rimanere sulle prime pagine dei giornali e nelle menti del pubblico.

Le donne in Inghilterra avevano presentato petizioni per ottenere il diritto di voto femminile già dalla metà dell’Ottocento. Allora erano chiamate suffragist, suffragiste, e con il loro atteggiamento non aggressivo, interlocutorio e persuasivo, speravano di diffondere pacificamente le loro idee e di convincere il legislatore a concedere il voto alle donne.

Nel 1903 però, frustrate dalla mancanza di risultati ottenuti, altre suffragiste, molto più militanti e aggressive, capeggiate da Emmeline Pankhurst (fondatrice del WSPU: Women’s Social and Political Union, che diverrà il cuore delle suffragette attiviste) cominciarono ad acquisire forza e risalto. Il loro motto era: «Deeds not Words» (Fatti non parole). Attirarono l’attenzione su di sé portando scompiglio negli incontri politici ufficiali maschili, dove interrompevano gli oratori con commenti a voce alta aggressivi e/o derisori, o facendosi arrestare per aver sputato sui poliziotti. Questi atteggiamenti fecero sì che nel 1906 un giornale le chiamasse non più suffragist, ma suffragette, un termine che mirava a sminuire e dileggiare il nuovo gruppo di attiviste, e che appariva anche sulle vignette che le rappresentavano come bambine puerili e capricciose. Questo invece fu il nome che loro stesse adottarono, cambiando il titolo del loro giornale da Votes for Women in The Suffragette.

Le suffragette erano criticate anche dalla parte del movimento per il suffragio femminile che credeva nella protesta pacifica e considerava le loro azioni troppo violente e distruttive. La stampa, quando non le presentava come bambine cocciute e borderline, le dipingeva come zitelle poco femminili, isteriche e frustrate. Questo fece sì che le loro manifestazioni e apparizioni pubbliche diventassero momenti essenziali per la difesa della loro immagine. Si consideravano protagoniste di un crociata per la libertà delle donne; quando apparivano in pubblico ogni dettaglio diventava importante per poter ottenere il maggior impatto visivo possibile: facevano discorsi, marciavano con striscioni colorati, salivano su carri bianchi pieni di festoni, trainati da cavalli bianchi, sfilavano vestite degli altri loro colori di rappresentanza: viola (lealtà e dignità), verde (speranza) e bianco, che rappresentava la purezza della loro lotta e aveva anche il vantaggio di farle risaltare nelle foto che le ritraevano. Venivano regolarmente arrestate. Ma questa “strategia pubblicitaria” cambiò quando il venerdì 17 dicembre 1910, davanti al Parlamento, ci furono dei disordini e circa 150 donne furono attaccate, malmenate pesantemente dalla polizia e in alcuni casi molestate sessualmente. Da quel venerdì, che fu chiamato Black Friday, le suffragette ridussero drasticamente il numero di dimostrazioni pubbliche, e optarono per azioni più radicali: fu da questo momento che gli atti di distruzione e vandalismo diventarono sistematici. Il messaggio era chiaro: non si sarebbero fermate davanti a niente fino a che non avessero ottenuto il diritto di voto.

Emily Wilding Davison era una delle suffragette militanti più agguerrite. A causa dei suoi atti di vandalismo finì in prigione nove volte. Fece lo sciopero della fame e fu sottoposta ad alimentazione forzata attraverso il naso, una forma di tortura particolarmente dolorosa che il governo aveva deciso di adottare con le suffragette che facevano lo sciopero della fame per evitare che morissero in carcere.

Nel 1913, Davison spinse la propria dedizione al movimento di protesta femminile all’estremo durante il Derby di Epsom, la più prestigiosa e seguita corsa ippica inglese. Quell’anno era presente anche il re, Giorgio V, a veder gareggiare il proprio cavallo Anmer. Esiste un filmato dell’epoca che riprende Emily Davison mentre sguscia da sotto lo steccato che separa il pubblico dalla pista e si piazza davanti al cavallo del re, reggendo la bandiera viola, bianca e verde delle suffragette. Fu travolta e morì quattro giorni dopo in ospedale per le ferite riportate. Per le suffragette diventò la loro martire; per lei organizzarono un gigantesco funerale, al quale parteciparono cinquantamila persone, assiepate ovunque, e durante il quale le suffragette sfilarono in cinquemila, tutte vestite di bianco. Il funerale di Emily Davison e il suo sacrificio ebbero una risonanza mondiale, ma fu l’ultima volta che le suffragette sfilarono in pubblico. L’anno seguente scoppiò la Prima Guerra Mondiale e le suffragette interruppero la loro protesta per poter contribuire allo sforzo bellico.

Nel 1918 venne riconosciuto il diritto di voto alle donne con almeno trenta anni di età, e nel 1928 il diritto di voto venne esteso a tutte le donne del Regno Unito. I primi paesi europei che avevano introdotto il suffragio femminile erano stati la Finlandia nel 1906 e la Norvegia nel 1913. In Italia si dovette aspettare il 1945.

L’estremo sacrificio di Emily Davison forse non contribuì più di tanto a scuotere le coscienze di tutti; non è neppure sicuro che volesse suicidarsi, di fatto non aveva detto niente a nessuno, né lasciato niente di scritto. Ma il momento in cui venne travolta dal cavallo del re fu immortalato in una fotografia e in un filmato e diventò uno dei più famosi atti di protesta del movimento delle suffragette, talmente estremo che nessuno, nemmeno il re stesso, avrebbe potuto ignorarlo.

 

L’arresto di Emmeline Pankhusrt

maggio 1914