Gea, la talpa e il falco

| | |

Itinerari marchigiani con Tullio Pericoli

di Alberto Brambilla

Appuntamento a Milano per visitare la grande mostra di Tullio Pericoli allestita a Palazzo Reale, a cura di Michele Buonuomo. Sede prestigiosa e pubblico riconoscimento per l’artista marchigiano trapiantato dal 1961 in terra ambrosiana e dunque ormai milanese doc. La vasta rassegna – sono ben 150 opere del maestro – copre l’arco temporale 1977-2021 e comprende soprattutto paesaggi ascolani, mentre i celebri ‘ritratti’ sono raccolti solamente nell’ultima sala. Sono gruppi omogenei al cui interno l’artista ha eseguito una serie di variazioni, come si usa in campo musicale. Cicli diversi, cadenzati negli anni, ma pur figli dello stesso amorevole padre perché la cifra stilistica di Pericoli è inconfondibile.

Pericoli ha intitolato questa mostra Frammenti, ricordi di un tutto perduto, a causa della morte, della devastazione umana, dei terremoti e da altre sciagure provocate dalla Natura matrigna, come direbbe il conterraneo Leopardi. Sono piccole icone che vanno comunque conservate con cura perché esse sono per loro natura fragili, si possono ulteriormente disgregare. Vanno dunque conservate e protette e amate. Perché sono la nostalgia di un paradiso perduto e senza ritorno, sono schegge della madre terra, sono i sorrisi della dea Cupra che donava acqua e fertilità ai Piceni, e molto altro.

Il discorso va tuttavia esteso al presente, non al passato, perché l’artista incomincia sempre il suo viaggio da ciò che vede quotidianamente dalla sua casa protesa sui colli ascolani. Anche se poi si concentra nel lavoro nello studio milanese, sempre quella è la mossa d’avvio, sempre quella è la sorgente. E poi lo sappiamo – ed è appunto Pericoli che ce lo ha insegnato in un prezioso scritto – c’è comunque una memoria involontaria che è nel corpo intero e si concentra infine nella mano. Sintesi perfetta di mente e corpo, protesi d Gea, la grande Madre. Verrebbe perciò da sospettare che i contenuti di questo Journal biogeografico originino dalle colline stesse; sembra siano esse a chiedere all’artista di dare loro voce, di prestare loro aiuto nella loro fragilità. Come svolgere questo ruolo così delicato e responsabile? Semplicemente raccontando la storia di quei luoghi, una storia geologica ed insieme antropologica. Non è semplice però farsi interprete fedele: si sa che dalla traduzione al tradimento, involontario, s’intende, il passo è breve. Ecco dunque la quantità degli esercizi che Pericoli mette in campo per essere il più possibile fedele alla sua vocazione. E poi, i paesaggi non hanno una sola storia da narrare, ma sono l’insieme di più voci che variano nel tempo e persino nelle stagioni, a seconda se siano baciati dal sole o frustati dalla tempesta o accarezzati dalla neve che cade leggera. Ecco dunque moltiplicarsi gli esercizi di traduzione e di auscultazione, ecco dunque l’artista impegnarsi in continui sforzi di alfabetizzazione, alla ricerca del segno, del linguaggio più adatto rispetto a questo o a quel momento.

Così come accade nelle pagine di Tolkin, Pericoli si fa talpa e scende nelle viscere oscure della terra, scava tunnel per mettere in relazione calanchi scoscesi, ascolta i borbottii delle sapienti radici d’alberi perenni, e trascrive in geroglifici misteriosi le voci che provengono dalle vecchie costruzioni umane. Ma nell’artista la talpa convive con il falco, come la terra con il cielo. Ecco perciò Pericoli diventare falco e percorrere e misurare dall’alto quelle stesse colline, geometra dallo sguardo acuto e dalla memoria fulminante. Ogni suo sguardo disegna una mappa con simboli precisi di cui solo alcuni possiedono la chiave dell’interpretazione.

Di volta in volta – distinti in cicli, ossia in ceppi linguistici – appaiono dunque sulla tela di Pericoli alfabeti diversi, segni più o meno marcati, pennellate ora dense e morbide ora tenui e taglienti, colori accesi o spenti, colpi rapidi di spatola a imitare la varietà dei filari o i solchi della terra appena arata, o le cavità più oscure. E sulle tele di diverse dimensioni si offrono campi come pagine da decifrare, volti come altrettanti paesaggi, dove le zolle rivoltate sono sostituite da strati di pensieri e di parole che si mescolano e coagulano grazie alla nuova pelle, vissuta e lacerata, creata dalla pittura. Una mostra importante, una pietra miliare nel cammino inesausto di Tullio Pericoli.

Confuse parole, 2021

Olio su tela, 70 x 70 cm