George Orwell socialista

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Secondo Orwell, la causa delle incredibili ineguaglianze e ingiustizie sociali deriva dalla paradossale ‘paura del socialismo’ di coloro che dovrebbero invocarlo più di tutti

di Sabrina Di Monte

 

«Quello che volevo più di tutto era fare degli scritti politici un’arte», scrisse George Orwell nel saggio Perché scrivo (Why I Write, 1946.). Questo era quello che Orwell intendeva fare e questo è quello che fece. I suoi due capolavori, l’allegoria politica La fattoria degli animali (Animal Farm) e il romanzo distopico 1984, furono pubblicati negli anni ’40 del 900 e sono due brillanti e intense satire dello stalinismo e di ogni totalitarismo.

Orwell, che fu scrittore ma anche giornalista, saggista e attivista politico, nello stesso saggio afferma: «Il mio punto di partenza è sempre un sentimento di partigianeria, un senso di ingiustizia. Quando mi siedo a scrivere un libro […] scrivo perché c’è una bugia che voglio smascherare, un fatto sul quale voglio attirare l’attenzione».

George Orwell è sempre piaciuto alla destra perché – sebbene fosse un uomo di sinistra – impiegò la maggior parte della sua vita a criticarla; d’altro canto, visto la sua vicinanza agli ideali socialisti, la sinistra l’ha sempre reclamato.

Il suo vero nome era Eric Arthur Blair. Nato in India nel 1903, era figlio di un piccolo funzionario dell’Impero Britannico. Aveva studiato nella prestigiosa scuola superiore inglese di Eton grazie ad una borsa di studio ottenuta per merito ma, non essendo riuscito ad ottenerne una anche per l’università, nel 1922 decise di seguire la tradizione familiare e di arruolarsi nelle fila della Polizia Imperiale in Birmania (l’odierna Myanmar, allora parte dell’India). Dopo cinque anni di servizio, il 1º gennaio 1928  all’età di 27 anni, si dimise. Scrisse più tardi, ne La Strada per Wigan Pier (The Road to Wigan Pier): «Per cinque anni avevo fatto parte di un regime oppressivo, e questo mi aveva lasciato con una cattiva coscienza. […]. Ero cosciente dell’immensa colpa che dovevo espiare».

L’esperienza in Birmania e il disgusto per l’arroganza imperialista che gliene derivò, costituì un punto di partenza per una presa di coscienza radicale nei confronti delle ingiustizie e ineguaglianze sociali, in India prima e in Europa poi.

Nella primavera del 1928, partì per Parigi dove rimase fino al dicembre dello stesso anno; voleva vivere in prima persona l’esistenza nei bassifondi di una grande metropoli europea. A Parigi sopravvisse vivendo miseramente e lavorando come sguattero in alcuni ristoranti. Continuò l’esperienza di vivere in estrema povertà anche a Londra, facendone poi un resoconto in Senza un soldo a Parigi e a Londra (Down and Out in Paris and London, 1933).

In particolare, l’esperienza di Orwell come tramp a Londra fu un esempio di esperimento sociale, di giornalismo investigativo che portò nel 1931 alla scrittura del saggio The Spike (il cui contenuto confluirà poi in Down and Out in Paris and London), diario di viaggio tra Londra e la sua periferia, con le descrizioni di personaggi caratteristici che vivono ai margini della società e delle miserrime condizioni dei dormitori (chiamati con il termine colloquiale spike) disponibili per i bisognosi in ostelli o in quelle che erano state le workhouses (ospizi dove i poveri, in cambio di vitto e alloggio, dovevano svolgere lavori umili e pesanti come ad esempio disfare vecchie corde di canapa incatramata per farne stoppa da riutilizzare utilizzando un grosso chiodo chiamato spike, appunto).

In Down and Out in Paris and London (1933), Orwell ci mostra la povertà per quello che è: non una condizione nobile o tragica, bensì squallida e degradante, che riduce chi ne soffre ad una esistenza animalescamente concentrata solo sulla sopravvivenza.

Le ‘incursioni’ di Orwell nelle vite dei tramps prima e della classe operaia poi, lo avvicinò sempre di più alle idee socialiste. In particolare, la condizione sofferta da operai e minatori in Inghilterra era vista da Orwell come conseguenza di una forma di totalitarismo analoga all’oppressione imperialista in Birmania.

Altro esempio di giornalismo investigativo di tipo sociale è La strada per Wigan Pier, pubblicato per la prima volta nel 1937.

Nel 1936, l’editore di Orwell Victor Gollancz gli aveva chiesto di investigare le condizioni delle classi lavoratrici nel nord industriale dell’Inghilterra. Nella prima metà di questo lavoro, l’autore  documenta le poverissime condizioni di vita della classe operaia nel Lancashire e nello Yorkshire prima della seconda guerra mondiale. La seconda metà dell’opera è invece un lungo saggio sull’educazione della classe media e sullo sviluppo della sua coscienza politica, dove si mettono in discussione gli atteggiamenti britannici verso il socialismo.

Qui Orwell afferma che lui stesso è a favore del socialismo, ma che ritiene necessario indicare i motivi per cui molte persone che potrebbero trarre beneficio dalle teorie socialiste spesso vi si oppongono fortemente. Secondo Orwell, la causa delle incredibili ineguaglianze e ingiustizie sociali deriva dalla paradossale ‘paura del socialismo’ di coloro che dovrebbero invocarlo più di tutti: se essere socialisti significa eliminare le cause dell’oppressione e della povertà, allora per logica tutti quelli che ne potrebbero trarre vantaggio dovrebbero essere socialisti.

Orwell indica come causa importante del pregiudizio dilagante nei confronti del socialismo, il fatto che molti socialisti non sanno parlare al popolo o usano formule troppo intellettuali e ideologiche, invece di parlare in modo semplice e diretto delle sofferenze delle classi povere, di giustizia sociale e di come ottenerla.

Orwell visse due mesi nelle aree industriali intorno a Sheffield, abitando in case dove intere famiglie vivevano in un’unica stanza, con servizi igienici ad una distanza di 150 metri, nella sporcizia più totale. Vide abitazioni spesso diroccate, a volte senza il tetto, dove vivevano persone che sopravvivevano con qualche fetta di pane al giorno e l’immancabile tazza di tè: minatori la cui pelle sembrava tatuata dalla polvere di carbone, costretti a strisciare sottoterra per chilometri.

Nel dicembre 1936, George Orwell decise di partire assieme alla moglie per la Spagna; la guerra civile era iniziata da pochi mesi. Con il prevalere della linea del Fronte Popolare e del Partito comunista nel governo repubblicano, il POUM (Partido Obrero de Unificación Marxista al quale Orwell si era unito) e gli anarchici, vennero dichiarati fuorilegge e Orwell dovette lasciare la Spagna (giugno 1937), dopo essere finito in ospedale per essere stato colpito alla gola dalla pallottola di un cecchino fascista. Da quell’esperienza nacque uno dei suoi libri più significativi: Omaggio alla Catalogna, un diario-reportage pubblicato nel 1938, che racconta il suo periodo di militanza nelle file repubblicane e che è anche un atto di accusa verso i comunisti stalinisti spagnoli.

George Orwell sin da bambino aveva sofferto di attacchi di bronchite e di altri disturbi respiratori. Nel 1938 gli fu diagnosticata la tubercolosi, eppure i suoi problemi di salute non lo dissuasero mai dal vivere situazioni di estrema povertà, indigenza e anche pericolo, nella costante ricerca della verità e della giustizia sociale.

Morì a causa della rottura di un’arteria polmonare all’età di 46 anni, il 21 gennaio 1950, a Londra, dopo aver dovuto lasciare l’isola scozzese dove era andato ad abitare nel 1946 con il figlio adottivo di un anno (la prima moglie era morta un anno prima durante un intervento chirurgico di routine), e dove aveva scritto il suo capolavoro, 1984.

Con la sua opera e le sue scelte di vita, George Orwell rimane un esempio di libertà, coraggio e umanità che ci invita a mantenere sempre vigili la nostra coscienza e il nostro spirito critico.

Anche la scelta di andare a vivere a Jura (un’isola delle Ebridi scozzesi difficile da raggiungere oggi come allora), in condizioni climatiche non certo favorevoli alle sue condizioni di salute, ci mostra un uomo profondamente libero da condizionamenti sociali, politici e persino fisici.