Gisella di notte

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di Giuseppe O. Longo

 

Rientrando, come al solito si tolse subito le scarpe e si appoggiò alla porta per riprender fiato dopo le scale, allungò la mano e accese la luce. L’appartamento l’accolse con familiare indifferenza. Trasse un profondo sospiro, chiuse per un attimo gli occhi e poi a piedi nudi andò verso la camera da letto, sfilandosi la giacca. Si spogliò e si avviò verso il bagno. Aveva bisogno di una doccia: la stagione ancora calda, il teatro che alitava verso il palcoscenico il fiato di tutte quelle persone, poi la cena con gli altri attori, il vino, gli abbracci, il sudore, la stanchezza, le voci. Aprì la cabina della doccia. In quel momento squillò il telefono. Ne fu vagamente allarmata, come da una cosa insolita, certo insolita a quell’ora di notte. Esitò, senza decidersi a rispondere, ma gli squilli continuavano, animando il vuoto dell’appartamento di una nota perentoria. Alzò la cornetta e sussurrò pronto, aspettandosi vagamente qualcosa di brutto. Dall’altra parte ci fu un’esitazione, un ansito rauco, un po’ agitato, che la inquietò. Ripeté pronto.

– Non chiuda per favore. Volevo dirle… Mi scusi…

– Ma chi parla insomma?

– Un momento, mi dia solo un momento per spiegarmi… È la signora Nuti, vero?

– Chi è lei?

L’uomo all’altro capo del filo aveva una voce profonda, gradevole nonostante l’agitazione, una voce che l’attraeva. Voleva riattaccare, ma per qualche motivo non lo faceva, si sentiva come sotto l’effetto di un incantesimo. Sperò che lo sconosciuto parlasse ancora, voleva riascoltare quella voce.

– Io sono… sono un suo ammiratore.

– Ma si rende conto che sono le due di notte?

– Mi scusi… Ho cominciato a telefonarle a mezzanotte, subito dopo la recita, poi ho chiamato ogni quarto d’ora, per essere certo di non svegliarla.

– Aspetti un momento.

Si sciolse i capelli, sedette in poltrona, accavallò le gambe e cambiò di mano al ricevitore.

– Senta, non poteva telefonarmi domani?

– No, non credo, di giorno è diverso. Non so se ne avrei avuto il coraggio, altre volte ho tentato… ma non ce l’ho fatta.

L’uomo parlava vicinissimo al microfono e a lei sembrava di avere quella bocca proprio attaccata all’orecchio. Ne provò un turbamento profondo, come di un contatto troppo intimo. Sentì che stava per cedere a… ma a che cosa? Dopo un po’ riprese, e la sua voce era meno aspra, più disposta, più… accogliente.

– E che cosa voleva dirmi di così urgente?

– Ecco, io volevo esprimerle tutta la mia ammirazione e tutta la mia gratitudine.

– Gratitudine?

– Sì, io vengo a teatro ogni sera, quando lei recita. Vengo solo per vedere lei… Lei mi regala dei momenti indimenticabili.

Si sentì lusingata. Era molto tempo che nessuno le parlava con quell’ardore. Erano passati gli anni, nessuno più la corteggiava. Si sentiva circondata, abbracciata.

– Lei è molto gentile… Adesso può dirmi… come si chiama?

– Mi chiamo Alberto.

– Senta, Alberto, la ringrazio molto delle sue parole, la ringrazio di avermi telefonato… Ora però le auguro una buona notte, sono molto stanca.

Dall’altra parte la voce si fece concitata.

– No… no, la prego, non chiuda, devo dirle ancora una cosa… Una cosa importante.

Si sentì di nuovo inquieta, come di fronte a un pericolo ignoto, minaccioso, ma di cui non capiva la natura. Attese in silenzio, sospesa, non sapendo che cosa aspettarsi. Passò un lungo momento, una sospensione, un’esitazione, ma non capì che non c’era nulla da temere, quella voce era… era gentile… Dopo un tempo lo incoraggiò.

– Dica.

– Ecco, vede, Gisella… Gisella, io ti amo.

Gisella Nuti, quarantasei anni, attrice nota ma non famosa, una lunga carriera alle spalle, si trovò, così, presa in un amore.