Gita al mare

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di Giuseppe O. Longo

 

Non si sa chi avesse avuto l’idea della gita: esclusi Mario e le ragazze, che pensavano ad altro, restavano le zie e gli zii: la zia Licia, madre di Mario, la zia Ines, madre delle due ragazze, la zia Maria, nubile e un po’ contegnosa, e poi lo zio Egidio, scapolo, lo zio Gigi, marito della Licia, e lo zio Ermenegildo, marito della Ines. Comunque fosse, decisero di andare a Porto Corsini e una mattina di luglio che era ancora buio montarono tutti su un biroccio a noleggio, lasciando a Gigi il compito di persuadere l’asino a trascinarli fino al mare. I primi chilometri, percorsi in mezzo alla campagna addormentata, furono uno spasso: la zia Ines e la zia Licia facevano a gara nel raccontarsi le storie di famiglia, che Mario e le ragazze avevano sentito mille volte, ma che facevano sempre ridere: racconti, cronache, aneddoti, narrazioni che non invecchiavano mai. Il carretto vociferante giunse alle porte della Coccolìa e all’improvviso tutti tacquero, perché in una delle case che sorgevano lungo il fiume viveva un loro cugino, Orazio, che aveva la testa grossa grossa, che il collo non la reggeva e aveva sempre un cuscino a sostenerla. Mario non l’aveva mai visto, ma le storie che si raccontavano di Orazio l’avevano sempre impressionato, qualcuno diceva che non sarebbe vissuto a lungo, malato com’era e con quella testa mostruosa, e tutti aspettavano che morisse, specie i suoi genitori, che ne avrebbero avuto un grande sollievo. Verso le dieci la compagnia arrivò a Porto Corsini, lo zio Egidio avrebbe governato l’asino, che aveva bisogno di bere e di mangiare e di riposarsi. Lo portò nel cortile di un’osteria che faceva anche servizio di posta, e poi tutti se ne andarono sulla spiaggia. Si cambiarono dietro una tenda sventolante e la faccenda fu piuttosto lunga perché la Ines non voleva farsi vedere in costume, la Licia ne aveva uno troppo largo, la Maria uno troppo stretto e le ragazze si vergognavano, ma come Dio volle in capo a un’oretta erano tutti pronti e si buttarono in acqua. Fu dopo una mezzora di bagno che la Licia cominciò a guardarsi intorno cercando Mario, che però non si trovava. La zia cominciò a tremare e a piangere, ho perso il mio bambino, e andava chiedendo a tutti i bagnanti lì intorno, avete visto mio figlio, quindici anni, magro come un chiodo, un costume bianco, e tutti scotevano la testa e dopo un po’ smisero di darle bada, un ragazzotto che si perde in spiaggia non è poi una gran notizia. Si passò alla fase successiva, la refezione, le donne avevano ammannito dei cibi ghiotti e appetitosi, anche il vino fece il suo effetto e verso le tre del pomeriggio erano tutti addormentati alla rinfusa. Ogni tanto la zia Licia si riscoteva e metteva un debole richiamo, Mario, avete visto il mio Mario?, e poi riprendeva a dormire. Altro bagno, altra merenda, altro vino, altro bagno, finché verso le otto spuntò Mario. Rosso come un gambero e con la faccia stralunata sembrava un fantasma, disse che appena arrivati era andato subito in acqua e c’era rimasto per tutte quelle ore e sua madre alzava le braccia e gli occhi al cielo per la disperazione. Allora decisero che era ora di tornarsene a casa. Il viaggio di ritorno fu piuttosto travagliato, dopo un paio di chilometri il somaro si piantò e per smuoverlo fecero scendere Mario a strattonarlo. E così si andò avanti a singhiozzo, un chilometro alla volta. Intanto la sera aveva ceduto alla notte, le due ragazze erano scese dal carretto e camminavano a lato, sussiegose come se non conoscessero quegli esaltati che continuavano a ridere e a darsi delle pacche, finché la zia Licia perse il controllo e se la fece addosso, figurarsi le risate. Quando arrivarono alle porte di Forlì, verso le cinque del mattino, erano tutti stravolti, Mario sembrava uno spettro, i grandi da un pezzo non parlavano più. Lasciarono asino e biroccio nel cortile di Egidio e andarono tutti a dormire per qualche mezzora. La gita entrò negli annali della famiglia.