Giovane per sempre

| | |

Vita, poesia e morte di Antonia Pozzi

di Anna De Simone

 

 

Una vita breve, segnata dalla tragedia, quella di Antonia Pozzi (1912-1938), che ha fatto fatica ad affermarsi, perché è morta troppo giovane, ma che da Montale era già considerata una grande promessa “for ever young”. Nel suo non tempo, infatti, si è rivelata come una delle voci più fresche, autentiche e originali del Novecento italiano. Milanese, appartenente a una famiglia aristocratica, il padre avvocato di grido, la madre contessa, discendente di Tommaso Grossi, vacanze a Pasturo, ai piedi della Grigna. Tutto programmato a priori. E tra i progetti del padre, ossessivo e persecutorio, non poteva certo trovare spazio Antonio Maria Cervi, il professore di latino e greco del liceo Manzoni, di cui Antonia si era innamorata. I due giovani resistettero finché poterono all’ostilità dichiarata del padre di lei, che alla fine vinse la sua insensata guerra, se il suicidio di una figlia può essere definito una “vittoria”. Sappiamo che la giovanissima poetessa era molto legata al gruppo di studenti che all’Università Statale di Milano frequentavano le lezioni del filosofo Antonio Banfi, e si chiamavano Remo Cantoni, Dino Formaggio, Luciano Anceschi, Vittorio Sereni.

Ho notato che più di una volta la Pozzi, nel ricordare luoghi a lei molto cari, riprende i versi di Leopardi e lo fa con la finezza e il garbo che cifrano tutte le sue liriche. Penso in particolare a quel suo amore di lontananza, a quel suo desiderio d’infinito, a quelle sue “ricordanze”. Ma penso anche ai versi, bellissimi, sulla luna, di Sera d’aprile: «Batte la luna soavemente /di là dai vetri / sul mio vaso di primule: /senza vederla la penso /come una grande primula anch’essa, /stupita, /sola,/ nel prato azzurro del cielo». (Milano, 1º aprile 1931). C’è la “diletta luna”, c’è l’amore e c’è una separazione lancinante. Il binomio leopardiano Amore e Morte diventa così il cuore della vita e della poesia di Antonia Pozzi, allontanata dall’uomo che amava e mai capita dal padre. A proposito di questo padre padrone, nel suo romanzo/biografia, pubblicato recentemente, l’autrice, Gaia De Pascale, identificandosi con Antonia, scrive: «Controllava che mi dedicassi allo studio “serio”, faceva in modo che qualsiasi mia uscita avvenisse in compagnia, ogni volta che mi avvicinavo al telefono potevo sentire il suo respiro dietro la porta. Organizzava ogni minuto della mia vita, ossessivamente. Una sera, discutendo con la mamma, le parlò di me chiamandomi per sbaglio “Emma”, come la sorella morta suicida. Lo sentii per caso. Quando mi apparve davanti col volto terreo per quello che celava il suo lapsus, provai più pena per lui che per me» (p. 56).

La fuga nel suicidio coi barbiturici, il 2 dicembre 1938, poco lontano dall’abbazia di Chiaravalle, dove tante volte era andata in bicicletta, dove anche quell’ultima volta andò in bicicletta, non è stata un gesto vigliacco, ma forse l’unico modo possibile, per lei, di ritrovare l’amore perduto. Perché era questo il “pensiero dominante”. Dopo una lunga agonia, la Pozzi morì il 3 dicembre. Dà un nodo allo stomaco la dedica del suo libro di versi all’uomo che amava e che il padre le aveva proibito di nominare: «Se le mie parole potessero essere offerte a qualcuno questa pagina porterebbe il tuo nome». Non meno dolorosa è la poesia dedicata al figlio non nato, al suo Antonello, alla sua vita stroncata. Il sogno d’amore era svanito. Ma è stato proprio così? “Tu eri il cielo in me”, ha scritto la Pozzi in una delle sue liriche più intense. Sapevano entrambi, lei e Antonio Maria Cervi che quell’amore non sarebbe finito mai. Le poesie che ce ne parlano sono raccolte quasi tutte sotto il titolo La vita sognata e appaiono «disposte secondo un ordine tematico, e non cronologico». Nella prima lirica della raccolta si leggono questi versi: «Chi mi parla non sa / che io ho vissuto un’altra vita -/ come chi dica / una fiaba / o una parabola santa. […] O velo / tu – della mia giovinezza, / mia veste chiara, / verità svanita – o nodo / lucente – di tutta una vita / che fu sognata – forse – // oh, per averti sognata, / mia vita cara, / benedico i giorni che restano – / il ramo morto di tutti i giorni che restano, / che servono / per piangere te». Tra gli inediti, (nell’edizione garzantiana 1989), troviamo abbozzo, che per la densità del linguaggio metaforico, richiederebbe una lettura integrale: «Io penso questa sera / alla leggenda dell’Uccello di Fuoco – / al suo apparire nel folto – / al suo canto liberatore – // e tutti narrano / del giovane principe / e del sonno dei nemici / e della sua salvezza. […] L’albero non sa più / a chi offrire / il suo strazio primaverile- / e attende la notte – / la notte nera senza stelle senza fontane – l’ora del buio silenzio – […]» (marzo-agosto 1933). E la notte nera stava per arrivare. Una notte senza stelle. Nell’edizione Garzanti sono stata ripristinate le dediche proibite dal padre: «Pesano fra noi due / troppe parole non dette […] e ogni lama di luce, ogni chiesa / nera sul cielo, ogni passo / di povere scarpe sfasciate // porta per strade d’aria / religiosamente / me a te», 27 febbraio 1938. (vedi A. Pozzi, Parole, a cura di A. Cenni e O. Dino, Garzanti, Milano 1998, pp. 308, 317, 373). Ne “La vita sognata” ci imbattiamo infine in una delle più intense poesie della Pozzi, perché contiene il senso di quell’amore e la spiegazione di quel suicidio: «Se io capissi / quel che vuol dire / -non vederti più – / credo che la mia vita / qui – finirebbe. (da Ricongiungimento, 17 settembre 1933). Antonia nutriva una fiducia grandissima nell’uomo amato: «Ho tanta fede in te. Son quieta / come l’arabo avvolto / nel barracano bianco, / che ascolta Dio maturargli / l’orzo intorno alla casa» (da Confidare, 8 dicembre 1934).

Struggente è anche la poesia intitolata “Annunzio”, dove la parola si riferisce al nome che il bambino, mai nato, avrebbe avuto. «Annunzio saresti stato /di quel che non fummo,/di quello che fummo /e che non siamo più. […] Ma sei rimasto laggiù, / con i morti, / con i non nati, /con le acque / sepolte – /alba già spenta al lume /delle ultime stelle».

Una “vita sognata” è stata quella a cui pensava Antonia Pozzi, a cui pensava il suo innamorato. «Tu / eri il cielo in me». (11 novembre 1933). Stringono il cuore anche le date messe in calce a ogni poesia.

Quando Antonia morì, i professori e i compagni dell’università provarono un grande dolore per quella sua fine tragica: Antonio Banfi avrebbe scritto per renderle omaggio la premessa alla tesi su Flaubert che uscì postuma per Garzanti nel 1940, con il titolo Flaubert. La formazione letteraria; Vittorio Sereni, che le aveva voluto molto bene, le dedicò la bellissima poesia, Tre dicembre, che riportiamo di seguito: «All’ultimo tumulto dei binari / hai la tua pace, dove la città / in un volo di ponti e di viali /si getta alla campagna /e chi passa non sa/di te come tu non sai /degli echi delle cacce che ti sfiorano. // Pace forse è davvero la tua /e gli occhi che noi richiudemmo / per sempre ora riaperti / stupiscono /che ancora per noi / tu muoia un poco ogni anno /in questo giorno». Tra gli amici del gruppo c’era anche il filosofo Remo Cantoni, docente di filosofia morale all’università, morto lui pure suicida il 3 febbraio del 1978. Ma chi soffrì per tutto il resto della vita, un giorno dopo l’altro, per quella fine, fu l’uomo che Antonia aveva amato e che fino alla fine dei suoi giorni continuò a portare sulla sua tomba garofani rossi e fiori di campo, accompagnati a volte da un biglietto contenente versi di Meleagro: «Ma io ti supplico in ginocchio, o Terra che tutto nutri, lei, che è tutta un pianto, dolcemente nel tuo seno, o madre, avvolgi, nascondendola» (De Pascale, Come le vene vivono del sangue, cit., p. 144).

 

 

 

Copertina Pozzi:

 

Gaia De Pascale

Come le vene vivono del sangue

Vita imperdonabile di Antonia Pozzi

Ponte alle Grazie, Milano 2016

  1. 156, euro 13,00

 

Copertina Parole:

 

Antonia Pozzi

Parole

a cura di Alessandra Cenni

e Onorina Dino

Garzanti, Milano 1998

  1. 242, euro 14,00

 

 

Copertina Tutte le opere:

 

Antonia Pozzi

Tutte le opere

a cura di Alessandra Cenni

Garzanti, Milano 2009

  1. XXIV + 680, euro 19,50