HENRY MOORE A ROMA

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di Anna Calonico

 

A proposito delle strane forme di Moore, Herbert Read disse nel suo The meaning of Art del 1931 che “non sono mai ovvie: e perché dovrebbero esserlo? Ogni grande opera d’arte, al momento della sua apparizione, è mai stata ovvia per l’uomo comune?”

Nel librino Sulla scultura, edito da Abscondita, sono raccolti il saggio di Read e alcuni articoli a tema di Henry Moore: un’opera minuta ma importante per comprendere un artista complesso. Di certo, la sua arte non è ovvia, non è immediata e, pur risentendo delle due grandi correnti attive in Inghilterra in quel periodo, l’astrattismo e il surrealismo, segue un percorso personale che lo allontana dai normali canoni di bellezza di un’opera: “Esiste una differenza funzionale tra la bellezza di espressione e la potenza di espressione. Mentre la prima non ha altro scopo che di piacere ai sensi, nella seconda si ritrova una vitalità spirituale in grado di suscitare un coinvolgimento ben più profondo, non limitato a una sensualità di superficie.” (p. 17)

Potenza di espressione è sicuramente ciò che colpisce lo spettatore della mostra che a Roma viene ospitata nelle ampie sale delle Terme di Diocleziano fino al 10 gennaio 2016. L’esposizione, la prima in Italia da vent’anni, è stata divisa in cinque sezioni che riprendono cinque punti fondamentali del percorso artistico e creativo di Henry Moore, colui che, per riprendere ancora una volta il pensiero di Read, ha resuscitato l’arte della scultura in Inghilterra.

Ad accogliere il visitatore c’è un’opera monumentale in bronzo dei primi anni 50: Figura distesa, una specie di contenitore dalle forme tondeggianti e smussate. Si tratta in realtà dell’involucro di una figura distesa, una forma strana con dei grossi buchi che a un’osservazione più attenta rivela tutta la sua forza: come una crisalide rimane un contenitore vuoto una volta che la farfalla è uscita, la forma di Moore svuotata del suo contenuto lascia soltanto lembi di bronzo con grandi aperture. La crisalide non ha forse un’apertura da cui la farfalla può uscire? Allo stesso modo Moore “scolpisce l’aria” perché la materia si alterni al vuoto in modo da lasciare l’impressione della fuoriuscita di una donna che prima vi era distesa: “Il foro instaura una connessione tra un lato e l’altro, accentuando immediatamente il senso di tridimensionalità. Il significato formale di un foro non è meno rilevante di quello di una massa solida. Scolpire l’aria è possibile. Racchiudendo lo spazio cavo, la pietra ne lascia emergere la forma, in tutta la sua evidenza e necessità

Dopo questa prima, fondamentale lezione sull’arte di Moore, si trovano in esposizione alcune maschere, a volte somiglianti a quelle africane a dimostrare l’influenza di Brancusi e del primitivismo, e Figura con corde, un bronzo dalla forma insolita ma sinuosa che presenta spazi vuoti e spazi pieni, collegati tra loro da corde bianche che mantengono vigile lo spettatore nell’intento di seguirne il percorso. La mostra continua con la seconda sezione, Guerra e pace. Durante la battaglia di Cambrai Moore venne gravemente intossicato dai gas velenosi tedeschi e rimpatriato. L’esperienza, naturalmente, non lo lasciò indifferente alla crudezza della guerra e lo dimostrano alcune sculture e disegni eseguiti con grafite, inchiostro, acquerelli, pastelli, gessetti… tutti materiali che lo aiutano a mettere in rilievo particolari che aumentano il senso di angoscia dello spettatore: Prospettiva di un ricovero antiaereo, ad esempio, ha un impatto duro sullo spettatore. Rappresenta due file di corpi sdraiati in lunghe file che si perdono nel fondo della galleria: in un primo momento l’osservatore non può distinguere se i corpi sono vivi oppure se si tratta di cadaveri, distesi immobili, tutti uguali, quasi come in terribili fotografie provenienti dai lager. L’angoscia aumenta con le due opere successive: Donna seduta in metropolitana, senza volto, senza espressione, quasi come una mummia, e Figure dormienti in rosa e verde, dove la coperta che le due persone raffigurate usano per tenersi al caldo sembra un sudario che copre i cadaveri scomposti, con la bocca aperta per la sorpresa della morte. Tra le opere, quasi tutte provenienti dalla Tate Gallery di Londra, sono esposte anche alcune frasi dello stesso Moore, significative e utili a comprendere le immagini: “Passai il tempo a osservare le file di persone che dormivano sulle banchine. Non avevo mai visto così tante figure distese, e anche le gallerie dei treni assomigliavano ai buchi delle mie sculture.” Tra le sculture di questa sezione è significativo il bronzo Testa elmo: la testa è rappresentata dal vuoto, l’elmo fa da contenitore, e il fatto che presenti altri buchi oltre a quello per lasciare libero il viso è tipico di Moore, che rappresenta in questo modo lo stretto legame tra l’utensile di guerra e il corpo umano. Mistero del foro.” (pp. 25 – 26)

Proseguendo, incontriamo una serie di sculture e disegni che rappresentano uno dei temi principali dell’artista, la maternità: “Ho scoperto, quando disegno, che posso trasformare ogni piccolo scarabocchio, sgorbio o sbaffo in una madre col figlio.” Parole che indicano come fosse quasi ossessionato dall’argomento, dalla continua ricerca di perfezione del soggetto, che spesso include anche influssi classici, come nel disegno a matite, carboncino e tempera Studio di mani dalla Pietà di Giovanni Bellini, opera proveniente dalla Pinacoteca di Brera. In questo gruppo di opere si trovano un paio di piccole sculture in bronzo rappresentanti un Gruppo di famiglia: due genitori e due bimbi seduti come in posa per una fotografia, oppure con un adulto seduto e un bambino che protende le mani verso l’altro. Naturalmente con alcuni buchi, magari nel petto: il vuoto dove dovrebbe esserci il cuore aumenta l’importanza della forma piena, la mancanza di materiale in un punto così importante attira su di sé l’attenzione diventando essa stessa la parte più importante dell’opera. Significativo anche Madre e figlio, un bronzo su base di legno che rappresenta due figure stilizzate, una delle quali assume una forma mostruosa nell’atto di divorare l’altra: l’intento di Moore era di rappresentare l’intensità del rapporto tra una madre e un figlio, rapporto che a volte quasi annulla la donna, intensità che a volte fagocita l’adulto. A dimostrare quanto l’autore fosse ossessionato da questa tematica, in esposizione si trovano numerosi disegni, acqueforti, litografie che lo sviluppano, a volte con colori che aiutano a capire i vari stadi dell’evoluzione dell’opera, o che distinguono un corpo dall’altro, stretti in un’unica forma di vuoti e pieni.

Altro motivo dominante nell’opera di Moore è quello della sezione successiva: Figura distesa: “La figura distesa offre la posa più libera, sia dal punto di vista compositivo sia da quello spaziale. È, allo stesso tempo, libera e solida.” Troviamo la Figura distesa in bronzo della Collezione Peggy Guggenheim, Figura distesa in due pezzi n. 7: pipa, Figura distesa in due pezzi n. 9, Figura distesa in tre pezzi n. 2: spalla di ponte, e altre ancora. Si tratta quindi di un’altra caratteristica di Moore: la suddivisione di un’opera in più parti, ognuna indipendente e allo stesso tempo strettamente collegata alle altre: “Sono perfettamente consapevole del ruolo che, nella scultura, giocano i fattori psicologici e le associazioni di idee. Credo che il senso e il valore della forma non siano scindibili dalle infinite associazioni che, nel corso della storia dell’umanità, si sono accumulate intorno alla forma stessa.” (p. 31) Diciassette figure distese con uno sfondo architettonico è uno studio di come sviluppare una stessa figura, Omaggio a Rodin sviluppa l’esplorazione della forma partendo da un blocco di materia, come faceva lo scultore del Bacio che in molte sue opere lasciava emergere un abbozzo di figura dal marmo.

Alla fine dell’esposizione si trovano alcune opere eseguite su commissione, quando la fama di Moore aveva già varcato i confini internazionali rendendolo un artista così degno di nota da essere esposto in luoghi pubblici con alcune sue opere monumentali come quella davanti alla sede dell’Unesco, di cui in mostra si può vedere un Modello di lavoro. Altro modello di lavoro, sempre in bronzo, è Oggetto atomico, quello per Energia nucleare. L’originale, esposto a Chicago, doveva essere un modo per celebrare i trionfi della fisica nel venticinquesimo anniversario della fusione di Fermi ma, con la sua forma a fungo atomico che ricorda vagamente il teschio umano, divenne ben presto, e probabilmente assecondando il desiderio dell’artista, quasi un simbolo per i pacifisti, che vi vedono la forza distruttrice della guerra.

Giunti alle ultime opere, preso atto delle caratteristiche dell’arte così varia di Moore, non si può non concordare con le sue parole: “Nell’arte di buona qualità hanno sempre convissuto elementi astratti e surrealisti, così come elementi classici e romantici, ordine e sorpresa, intelletto e immaginazione, conscio e inconscio. La personalità dell’artista deve potersi esprimere in entrambe le sue polarità” (p.30).