Il buon paesaggio

| | |

Un paesaggio, per avere su di noi un effetto positivo, deve avere una qualità estetica e una qualità identitaria

di Roberto Barocchi

 

Su cosa sia il paesaggio dibattono varie scuole di pensiero: dagli scientifici-ecologisti secondo cui è l’insieme di tutte le cose e delle relazioni fra di esse (ma lo confondono con l’Universo), agli storicisti per cui è il risultato dell’evoluzione della Natura e delle azioni dell’uomo (vero, ma più che una definizione è una constatazione), ai geografisti, (da non confondere con i geografi), secondo cui è una regione, ai ruralisti che affermano corrispondere con le aree rurali (e i paesaggi urbani?).

Ritengo corretta la definizione percettivista, secondo cui il paesaggio è l’insieme delle forme di un luogo e delle relazioni fra di esse. Ovvero: il paesaggio è l’aspetto di un luogo.

I paesaggi incidono molto sul nostro benessere: quando sono belli sono rasserenanti, quando sono brutti sono deprimenti. Lo dimostra il fatto che andiamo in vacanza in luoghi belli per ricrearci, che le case “con vista” costano molto di più di quelle che si trovano in luoghi brutti e le camere “con vista” degli alberghi costano anch’esse di più di quelle che danno su un cortile.

Due economisti agrari, Marangon e Tempesta, hanno addirittura calcolato il valore economico della bellezza di un vigneto: 1.000 euro all’ettaro. Quanti milioni di euro all’ettaro varrà la bellezza di un lago alpino, della Val Rosandra o di un centro storico?

Il paesaggio può addirittura condizionare le nostre azioni. È noto il fenomeno della finestra rotta, studiato negli anni ’70 del secolo scorso per cui nei quartieri degradati è maggiore la criminalità, poiché il degrado rallenta i freni inibitori. Alcuni anni fa l’Istituto per la viticoltura di Conegliano fece assaggiare a un campione di 40 persone due bicchieri di vino dicendo che uno veniva da un luogo bello (mostrarono la foto di un bel paesaggio vitato) e l’altro da un luogo brutto, ma il vino dei due bicchieri era lo stesso. Quasi tutti ci cascarono assegnando al vino creduto venire da un luogo bello un punteggio più alto.

Non a caso in una riunione con i viticoltori del Colli Orientali uno di esso disse: per restare sul mercato non basta produrre vino, dovremo anche produrre paesaggio”. “Va bene – risposi – mettiamoci d’accordo su come produrre bei paesaggi”. Così nacque la Carta del paesaggio del vino varata a Cividale nel 2001 nel convegno Civintas.

Un paesaggio, per avere su di noi un effetto positivo, deve avere una qualità estetica e una qualità identitaria; può anche essere bello o comunque non brutto, ma se è anonimo si sente che manca qualcosa e si parla di non luogo. I bei paesaggi dell’Alto Adige o della Toscana hanno anche una forte identità.

Ma come fare per avere o mantenere buoni paesaggi?

In sintesi chi progetta strumenti urbanistici o grandi opere dovrebbe compiere quattro passi.

Il primo passo dovrebbe essere la redazione di una carta di classificazione paesaggistica qualitativa del luogo da pianificare o in cui si vuole costruire. Le classificazioni dei paesaggi sono in genere di tipo tassonomico, ma non sono utili se non a fini descrittivi, non fornendo criteri di valutazione delle qualità dei paesaggi.

I paesaggi si possono distinguere in base al loro valore in quattro grandi categorie ulteriormente suddivisibili.

  • I paesaggi di eccezionale valore (Dolomiti, laghi alpini, centri storici ben conservati, la Val Rosandra, ampie parti del Carso) dovrebbero essere conservati, escludendo ogni intervento che li possa modificare.
  • I paesaggi di generale elevato valore (valli alpine con edifici, aree collinari, altre parti del Carso) andrebbero modificati con particolare cautela.
  • I paesaggi comuni (aree urbane in generale, pianura coltivata) possono essere modificati a condizione di non peggiorare la loro qualità paesaggistica.
  • Infine le aree degradate (periferie caotiche, aree industriali dismesse, discariche) andrebbero modificate per portarle a un aspetto più dignitoso.

Il secondo passo è la localizzazione: negli strumenti urbanistici le aree edificabili e le infrastrutture andrebbero collocate nelle parti del territorio di minor valore paesaggistico; nella progettazione di autostrade e ferrovie in sede di valutazione di impatto ambientale andrebbero indicati diversi tracciati scegliendo quello meno impattante sul paesaggio.

Il terzo passo è la definizione del miglior rapporto che ogni edificio o manufatto deve avere con il paesaggio circostante: ad esempio, se si costruisce in un quartiere di case basse con giardino è preferibile non realizzare un edificio alto e di grandi dimensioni che avrebbe un negativo rapporto di dominanza riaspetto al contesto; una strada più alta del piano di campagna è meglio che corra su un rilevato piuttosto che su un viadotto, molto impattante.

Infine si dovrà seguire qualche buona regola: ad esempio, un rilevato stradale dovrà avere scarpate non ripide, dolcemente raccordate con il terreno in modo da farle apparire come un rimodellamento del piano di campagna e non come una barriera e rinverdite secondo un preciso progetto.