IL COLORE COME ATTRAZIONE FATALE

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Mostra di Zendralli, alla “Scoletta” sul Canal Grande

La prima personale dell’architetto e artista svizzero a Venezia

di Michele De Luca

La Scuola (familiare ai veneziani come “Scoletta”) dei Tiraoro e dei Battioro, che fiancheggia la maestosa chiesa tardo-barocca di San Stae ed è separata da un rio dal Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, vero gioiello dell’architettura veneziana del Settecento, fu sede della Scuola di Mestiere dei Tiraoro e dei Battioro; venne edificata agli inizi del XVIII secolo da Gian Giacomo Gaspari. La Scuola era stata fondata nel 1420 e aveva inizialmente sede ai Santi Filippo e Giacomo, poi nella chiesa di San Lio, dove rimase fino al 1710, quando si trasferì a San Stae. I “tiraoro” fabbricavano fili d’oro per la manifattura tessile, per l’abbigliamento e per l’oreficeria, mentre i “battioro” riducevano l’oro in lamine sottili per la decorazione di opere d’arte (ad esempio per la facciata della Ca’ d’Oro sul Canal Grande). Anche se la materia trattata era preziosa, la Scuola non fu mai ricca e anzi, contrasse molti debiti e fu soppressa nel periodo napoleonico.

Sotto il governo austriaco l’edificio fu venduto alla nobildonna Angela Barbarigo, la quale per volere testamentario desiderò che l’immobile divenisse luogo di culto, ma gli eredi provvidero diversamente: divenne infatti deposito di carbone. Nel 1876, in condizioni più che precarie, l’edificio fu acquistato dall’antiquario Antonio Correr che lo restaurò per destinarlo a galleria espositiva, uso mantenuto ancora oggi.

In questo edificio, che racconta un’antica e nobile pagina di storia della città lagunare, espone ora le sue opere l’architetto e pittore svizzero Sandro Zendralli (nato a Mendrisio, Canton Ticino, l’11 aprile del 1946) selezionate per la mostra “Dipingere la pittura” curata dal critico e storico dell’arte Enzo Di Martino. Il suo lavoro appare caparbiamente teso a riaffermare le potenzialità della pittura di porsi ancora oggi come protagonista sullo scenario del “fare arte” contemporaneo, la sua estrema insostituibilità, pur andando oltre il suo tradizionale e “classico” ruolo di “rappresentare” e “rappresentarsi”; perché – quello che appare subito dai suoi esiti sulla tela – è che il suo cammino procede nel solco di Jackson Pollock, tra i più celebrati protagonisti del Surrealismo astratto, del quale il grande critico d’arte statunitense Harold Rosemberg ebbe a scrivere: “Quello che doveva andare sulla tela non era un’immagine, ma un evento. Il grande momento arrivò quando fu deciso di dipingere solo per dipingere”. Zendralli, da parte sua, ci ha detto: “Nel dipingere proietto verso l’esterno tutto ciò che ho dentro, senza pensarci due volte, esattamente il contrario di quello che faccio con le mie architetture. Il mio modo di dipingere è spontaneo, mirato alla mia gioia personale”; teso com’è ad esprimere con il colore le estreme latitudini del suo mondo introspettivo.

Dalle sue opere emerge prepotentemente che dipingere per lui, oltre alla parallela attività nell’invenzione architettonica, costituisce il “territorio” che gli consente di proiettarsi e immergersi in uno spazio immaginativo, sperimentale e creativo, nella dimensione forse più originale, rassicurante e insieme intrigante; tanto che ogni opera è per lui una nuova avventura esistenziale, culturale ed estetica. E’ tutto questo l’universo, ancora tutto da sondare e da esplorare, a connotare l’indagine inesausta, quasi frenetica, di Zendralli, in un percorso senza traguardi definiti, in cui è una sorta di esplosione cromatica interiore a “pretendere” di tracimare verso l’esterno, a tradursi in forma di comunicazione e di espressione, in maniera non predefinita o “progettata” – come avviene in genere nel lavoro dell’architetto – ma lasciata totalmente alle pulsioni del momento, del “qui e ora”. Sul piano poi delle soluzioni estetiche, fondamentale per lui è stata la scelta di affidarsi completamente al colore:

“Oggi ho cambiato completamente e uso i colori, quelli che provengono dal profondo del mio essere, senza alcun collegamento con il mio passato”. E qui, oltre che a Pollock, non si può non pensare ai suoi altri grandi maestri, come Picasso (“I colori, come i lineamenti, seguono i cambiamenti delle emozioni”) o Matisse (“Il colore soprattutto, forse ancor più del disegno, è una liberazione”; o, ancora, al pittore tedesco Hans Hofmann, tra i più significativi esponenti dell’Espressionista astratto, quando affermava: “In natura, la luce crea il colore. Nella pittura, il colore crea la luce”. E se Kandinsky annotava: “Il colore è un potere che influenza direttamente l’anima”; vale anche – come per i lavori di Zendralli – il contrario, che è l’anima cioè ad influenzare direttamente il colore.

L’opera pittorica di Zendralli dunque – come suggerisce il curatore della mostra nel suo denso testo di presentazione – “si colloca con tutta evidenza all’interno di questa nuova storica condizione creativa con la quale egli si misura avendo però sempre ben chiara la consapevolezza che l’arte nasce solo dalla storia dell’arte”. Una pittura, in definitiva, “colta” e nello stesso tempo “impulsiva”, che coniuga con originalità “conoscenze” e istinto. Zendralli, dopo gli studi di architettura a Lugano e Zurigo, torna in Ticino e opera come architetto per circa quarant’anni, realizzando le più belle urbanizzazioni di Bellinzona, in uno sforzo continuo e appassionato di armonizzare l’architettura con il territorio. L’espressione pittorica è in ogni caso la prima forma di creatività che nasce in lui sin da giovanissimo e che lo accompagna fino ad oggi in un percorso che vede intrecciate e unite, in una sorta di simbiosi la pittura e l’architettura. Nella bella monografia pubblicata da Electa nel 2014, The creative impulse, Alan Jones, critico e curatore di mostre d’arte, da sempre uno dei massimi conoscitori della Pop Art, racconta che, per scriverla, si trasferì a San Bernardino nella Valle dei Grigioni in Svizzera in un luogo magico in mezzo alle montagne, dove la natura è invasiva e avvolgente, “determinante”, per entrare in sintonia totale con l’artista nella sua fucina/laboratorio, immergendosi in un mondo creativo fatto di visioni oniriche, moti passionali, approcci infantili e cogliendone il fascino di un modo antico e purissimo di fare arte; per giungere alla conclusione che “la sua pittura costituisce pagine di un calendario di visione poetica senza tempo”.