Un secolo dopo la rivoluzione russa

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In mostra a Gorizia opere d’arte tra gli ultimi due anni dell’Ottocento e il 1922, data di nascita dell’Unione Sovietica.

di Walter Chiereghin

 

Attenzione puntata sulla Russia da parte dell’Erpac, che dopo aver proposto tra dicembre e gennaio “Goodbye Perestrojka. Cento opere di artisti dell’ex Unione Sovietica”, presso la Galleria Spazzapan di Gradisca d’Isonzo (v. Il Ponte rosso n. 30, gennaio 2018) promuove ora, fino al prossimo 25 marzo, un’altra esposizione a Palazzo Attems Petzenstein di Gorizia, intitolata “La rivoluzione russa. Da Djagilev all’Astrattismo (1898-1922)”, due momenti stellarmente lontani nella storia dell’arte contemporanea russa, il primo alla fine, l’altro alla gestazione e alla nascita di un fervore rivoluzionario che, come affermò John Reed, era destinato a cambiare il mondo. Per molti decenni almeno, come poi s’è visto, a partire proprio dal 30 dicembre 1922, data di costituzione dell’Unione Sovietica. L’altra estremità del segmento culturale considerato, il 1898, è stato l’anno di fondazione di “Mir iskusstva” (Il mondo dell’arte), una rivista culturale frutto di un’associazione tra intellettuali russi che auspicavano un rinnovamento dell’arte nel loro Paese, sulla scorta di quanto stava avvenendo nelle grandi capitali culturali europee e che vide tra i contributori più importanti quel Sergej Djagilev indicato nella titolazione della mostra, famoso soprattutto come impresario teatrale e fondatore della compagnia del “Balletti russi”, per la quale Igor Stravinsky compose alcune delle sue opere più celebrate e rappresentate, da L’uccello di fuoco (1910) a Petruška (1911) a La sagra della primavera (1913).

A Gorizia, la mostra a cura di Silvia Burini, docente a Ca’ Foscari che con un altro dei curatori, Giuseppe Barbieri, dirige il Csar, Centro Studi sulle arti della Russia, e di Faina Balachovskaja, della Galleria Tret’jakov di Mosca, che custodisce la più importante collezione di arte russa a livello mondiale ed è prestatrice della maggior parte delle opere esposte, si propone di dar conto di un clima culturale connotato da un’effervescente avanguardia, che non ha potuto che svilupparsi di pari passo con gli ardori rivoluzionari, prima di adagiarsi nel confortevole scontato realismo di regime, quando il comunismo sovietico, per dirla con Enrico Berlinguer, aveva esaurito la sua spinta propulsiva.

L’esposizione goriziana è arricchita anche da un notevole apparato multimediale che facilita il visitatore nel richiamare alla memoria particolari del periodo storico considerato, che com’è logico non si esaurisce nel fatidico 1917, ma viene analizzato in funzione dei presupposti e degli esiti della Rivoluzione d’Ottobre.

Numerosi e importanti sono i dipinti presenti a Palazzo Attems, tra i quali è presente anche Lago, un’opera astratta di Vasilij Kandinskij e un’altra (Stazione senza fermata, 1913) di Kazimir Malevič, noto in Occidente soprattutto in quanto fondatore del Suprematismo, ma accanto a due sculture e alle opere di pittura – alcune delle quali eseguite da artisti scarsamente conosciuti fuori dai confini dell’ex Unione sovietica – sono presenti numerosi e interessanti oggetti di arte applicata, manifesti, per lo più di propaganda politica del periodo caldo della Rivoluzione e della guerra civile, ma anche altre notevoli opere di grafica ed oggetti di uso comune e quotidiano: una straordinaria collezione di progetti per tessuti di inizio ‘900, schizzi per costumi e scenografie teatrali, vassoi di metallo borsette, porcellane, tabacchiere e scatoline in cartapesta laccate, portacipria. Sono anche questi oggetti d’uso a testimoniare della straordinaria effervescenza creativa di quel periodo, che si faceva carico di curare, pure in presenza di incredibili ristrettezze e privazioni determinate dalla guerra e da quanto ad essa seguì, l’aspetto estetico della quotidianità, in alcuni casi ricalcando stilemi e soggetti della tradizione, in altri prestandosi a conformarsi alla carica innovativa delle più recenti tendenze oppure a piegarsi alle esigenze propagandistiche della nuova retorica rivoluzionaria.

La mostra di Palazzo Attems Petzenstein dimostra come anche in Russia fosse in quel volgere di anni presente e oltremodo attiva la ricerca di nuove vie che non erano limitate all’ambito delle arti figurative, ma spaziavano in ogni altro ambito sempre con una forte tendenza all’innovazione, tanto nel teatro – si pensi al solo Cechov – quanto nella musica (Musorgskij e Stravinsky) e poi ancora nel balletto, nella fotografia e soprattutto nell’elaborazione teorica di ciascuna di tali declinazioni della creatività artistica.

Come si è detto, la mostra integra le opere d’arte in essa contenute con l’utilizzo di materiali multimediali in una sezione, curata in particolare da Giuseppe Barbieri, che propone, mediante un accesso video e audio attivabile mediante quattro postazioni touch screen, approfondimenti documentali mediante l’uso di filmati, immagini e suoni riferiti alla Russia di quegli anni turbolenti che, se interessano e intrattengono con vivacità una gran parte dei visitatori, i rivolgono con particolare efficacia al pubblico più giovane e agli studenti.