IL DIRETTORE

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O Della disobbedienza silenziosa

di Adriana Medeot

 

Il diario che Rodolfo Maucci, professore di tedesco del liceo Oberdan, direttore del Piccolo dal 13 gennaio 1944 al 29 aprile 1945, detta ogni sera alla sua segretaria è il suo lasciapassare per il giudizio dei posteri. Verrà conservato in una valigia, dentro un armadio con le lettere, i comunicati stampa, le veline, che avrebbero dovuto dimostrare, a guerra finita, la natura del suo operato e delle sue scelte editoriali nel difficile periodo in cui Trieste fu annessa al Terzo Reich. Da questo diario inedito, affidato dagli eredi all’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel FVG, Pietro Spirito, scrittore e giornalista, e Elke Burul, attrice e autrice di sceneggiati radiofonici, hanno tratto ispirazione per la pièce teatrale Il direttore, che ha debuttato lunedì 8 febbraio al Bobbio per la stagione Teatro a leggio.

13 gennaio 1944. Maucci, che collabora alla pagina culturale del Piccolo, è obbligato dal capo ufficio stampa del Supremo Commissario nazista del Litorale Adriatico ad assumere la direzione del quotidiano. Il rifiuto implicherebbe la deportazione e lasciare il campo a qualcuno più connivente potrebbe essere una soluzione peggiore.

Rodolfo Maucci, classe 1889, non si è mai interessato attivamente di politica, è scelto per la sua profonda conoscenza della cultura tedesca. Si troverà in una situazione delicatissima e lacerante: obbedire o sabotare? La sua resistenza sarà silenziosa, non plateale. Eluderà le direttive dei tedeschi, riporterà in modo neutrale le notizie filtrate dalle agenzie di stampa soggette al Reich, boicotterà i comunicati della RSI e del PFR locale. Sull’attentato del 22 aprile ai danni di cinque militari tedeschi e neppure sull’orribile rappresaglia di via Ghega non comparirà una sua parola sul Piccolo, ma verranno pubblicate solo le ignobili veline dei nazisti. Per queste e per altre disobbedienze verrà ripetutamente redarguito e minacciato.

Guido Botteri, nel suo saggio del 2012 “Il Piccolo” sotto i nazisti nel diario di Rodolfo Maucci, s’interrogò sulla linea della direzione: Maucci fu collaborazionista o mediatore? Lo definisce “un tragico don Abbondio”, ma nella messinscena di Spirito-Burul il protagonista è sì un antieroe, senza però ignavia alcuna. Non un codardo, né un opportunista: piuttosto un uomo lacerato dai dilemmi del periodo storico in cui visse, che tentò una resistenza silenziosa alle prepotenze e ai soprusi di un regime dispotico: quasi un paradigma del rapporto tra potere e libertà di espressione. Coraggioso? Vile? Forse semplicemente un uomo. Maucci morirà il 14 giugno 1945, durante l’occupazione titina. Il marchio di collaborazionista graverà su di lui sino ai giorni nostri.

La scenografia è semplice, come si conviene a una lettura drammatizzata; l’azione intervallata dalla proiezione di immagini del periodo, gli attori bravi e coinvolgenti. Gualtiero Giorgini è un perfetto Maucci, sofferto ma grintoso, in grado di modulare con sensibilità gli stati d’animo di un uomo alle prese con la propria coscienza e le proprie responsabilità. L’antagonista è Anton Cerjack, giornalista austriaco, responsabile del reparto censura dell’Ufficio stampa nazista di Rainer, efficacemente interpretato da Lorenzo Acquaviva. È l’aguzzino di Maucci, il portavoce del potere, ma il rapporto tra i due si evolve nel corso dello spettacolo e, dopo un alterco sul tema delle libertà che si trasforma in un duetto filosofico tra le ragioni di Schnitzler e Schopenhauer, vittima e carnefice sembrano trovare una complicità che li accomuna: una profonda consapevolezza della fragilità del destino umano.

Elke Burul, che firma anche la regia, colora Vera, la segretaria, di dolcezza e accoglienza, mentre Lorenzo Zuffi interpreta con vigore Ribaldi, giovane caporedattore, solidale ma intemperante alla linea moderata della direzione. Infine Leonardo Zannier è un convincente Corradi, ottuso esponente fascista, posto dal partito a controllare l’operato di Maucci.

Spettacolo interessante e coinvolgente. Il periodo storico in cui è ambientato è ancora controverso; i temi trattati: il potere e la libertà di espressione, il rapporto tra vittima e carnefice sono tra quelli che fan tremare le vene ai polsi; i personaggi delineati sono risultati stimolanti, sfaccettati, passibili di un respiro più ampio. È ciò che si augura a questo bel testo.