Il festival di Trieste

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Il Festival si propone di valorizzare la musica dell’intera comunità cittadina: un progetto da applaudire, se inteso in senso non esclusivo, né massificato,

di Luigi Cataldi

 

Il nuovo Festival di Trieste – Il faro della musica animerà la città dal 5 al 12 settembre 2023, sia con concerti di artisti di gran fama, sia con eventi e percorsi intesi a valorizzare la qualità delle istituzioni musicali cittadine. L’iniziativa è stata presentata il 2 agosto scorso al Civico Museo d’Arte Orientale, da Piero Lugnani e Marco Seco, rispettivamente presidente e direttore artistico della Società dei Concerti, principale ente organizzatore insieme al Comune di Trieste, rappresentato dall’assessore alla cultura, sport, eventi, turismo, Giorgio Rossi. Erano presenti anche i vertici delle altre istituzioni coinvolte: Giuliano Polo, sovrintendente del Teatro lirico Giuseppe Verdi, Daniela Dado, presidente del Conservatorio Tartini, Gabriele Centis, direttore della Scuola di musica 55. I concerti si terranno in luoghi diversi e significativi, in modo da presentare Trieste, secondo le attese del presidente della S.d.C. Lugnani, sia al pubblico locale, che a quello internazionale, come città musicale.

Il primo luogo è il Teatro lirico Giuseppe Verdi. Ospiterà il concerto inaugurale di Jordi Savall con il suo l’Ensemble HESPÉRION XXI, per la prima volta in Italia (5/9/2023); due concerti, coincidenti con l’apertura della stagione sinfonica del teatro, quello del violoncellista brasiliano Antonio Meneses con la direzione di Hartmut Haenchen (9/9/2023) e quello di Angela Hewitt (piano e direzione d’orchestra, 12/9/2023); la musica da camera selezionata dalla Società dei Concerti: il duo Maxim Vengerov e Polina Osetinskaya (violino e pianoforte, 6/9/2023), il quartetto EOS (8/9/2023 e 10/9/2023).

Una sezione, organizzata in collaborazione con il Conservatorio Tartini di Trieste, è intitolata “Festival in città” e prevede cinque concerti, tutti il 7/9/2023, di giovani artisti legati al conservatorio. Due si terranno in case private, secondo la tradizione della Hausmusik (il Quartetto Rêverie, la violinista Eva Miola), gli altri avranno luogo nella sede della RAI regionale di via Fabio Severo (la violinista Sofia de Martis e il pianista Matteo di Bella), al Conservatorio Tartini (la pianista Teodora Kapinkowska), e al Caffè San Marco (il gruppo jazz Norah Moss & The Cats).

L’ultimo luogo è la Casa della Musica, sede della Scuola di Musica 55, dove andranno in scena Zoo party: la musica e la danza degli animali, laboratorio musicale per bambini guidato da Vincenzo Stera (7/9/2023) e Una stella marina, spettacolo per famiglie di musica e arte recitativa, su scenografie di Annalisa Metus (11/9/2023).

Tutti i presenti hanno sottolineato che la complicata organizzazione del festival è stata possibile solo grazie allo spirito di collaborazione fra i diversi enti promotori; tutti si sono detti certi della riuscita dell’iniziativa. L’assessore Rossi ha poi ribadito un concetto che aveva già espresso lo scorso anno in occasione del “Progetto Beethoven” da lui stesso definito «l’anno zero» del festival. «Ho posto una sola condizione: che sia musica per tutti», ha detto.

Un’affermazione da applaudire. Il dubbio che essa significhi per chi l’ha pronunciata qualcosa di diverso da ciò che significa per me mi ha trattenuto dal farlo. A me è venuto in mente un pensiero di Wilhelm Furtwängler del 1939: «Rifiuto ogni musica che per principio non abbia pubblico». Alludeva alle composizioni di natura puramente intellettualistica, nate a prescindere da qualsiasi rapporto con il pubblico (magari anche quando il pubblico le apprezza), che sono «espressione di un individualismo esacerbato, di un rifiuto della comunità», scrive in un altro frammento del 1936. «L’opera è simbolo di una comunione vivente tra l’artista e i suoi ascoltatori. […] Senza una comunità che la regga e la sostenga, l’opera musicale – opera di comunione – non può vivere» (Dal caos alla forma o l’irrazionale in musica, 1954). Questa «comunione» pone le basi per una concezione sociale e collettiva dell’arte, che peraltro non esclude la musica più complessa. Furtwängler stimava, ricambiato, uno dei compositori più ostinatamente complicati della sua epoca, Arnold Schönberg, che ha spesso scritto musica lontana dalle attese degli spettatori. Eppure lezioni, conferenze, dibattiti, saggi, manuali e soprattutto il dialogo quotidiano con gli allievi, dimostrano che egli pensava la sua musica per il pubblico e faceva il possibile perché il suo pubblico fosse consapevole e attivo. Di certo tale fu quello che poté assistere alla prima rappresentazione nel 1948 ad Albuquerque (Nuovo Messico) di A survivor from Warsaw, opera dodecafonica di profonda tensione etica. E non è affatto necessario un uditorio tecnicamente erudito per comprendere (oggi come ai tempi delle tutt’altro che semplici Passioni bachiane) anche la musica più ardua. Assolutamente privo di preparazione musicale fu il pubblico che ascoltò nel 1940 il Quatuor pour la fin du temps di Olivier Messiaen, ma fu anche il più capace di comprendere, visto che era composto da coloro che erano detenuti insieme al compositore nel campo di prigionia tedesco di Görlitz. Per tutti e di valore universale fu anche il War Requiem, op. 66, di Benjamin Britten, eseguito a Coventry il 30 maggio 1962, per la consacrazione della ricostruita cattedrale di San Michele, dopo che, con l’operazione «Sonata al chiaro di luna», la Luftwaffe aveva distrutto l’intera città l’8/11/1940. I testi di Wilfred Owen, morto durante la prima guerra mondiale, e la musica del grande compositore britannico furono, «per tutti», un canto contro la follia della guerra. Si tratta di composizioni complicatissime, ma perfettamente comprensibili dal pubblico e di importanza capitale per la comunità per la quale sono state create.

Al contrario anche la musica apprezzata dalle masse, può essere esclusiva, cioè non per tutti. Esclusivi per definizione sono spettacoli come le prime della Scala di Milano, i concerti di capodanno al Musikverein di Vienna, la recente “prima” triestina del Phantom of the Opera di Lloyd Webber (curioso che sia stata definita “prima” la rappresentazione del 13 luglio di un’opera andata in scena già dal 4 del mese) per soli inviti a personalità illustri in maschera. Proprio per la loro esclusività questi eventi dividono e disgregano la comunità dei potenziali ascoltatori, al contrario di ciò che fanno le pur complicatissime musiche indicate sopra.

Il Festival di Trieste si propone di valorizzare la musica dell’intera comunità cittadina: un progetto, se inteso in senso non esclusivo, né massificato, da applaudire.

 

Hartmut Haenchen

foto di Riccardo Musacchio