LE NUVOLE MERAVIGLIOSE DI FRANCO DUGO

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Nel primo dei suoi Petits poèmes en prose, Charles Baudelaire, dopo aver vanamente chiesto allo Straniero, protagonista di quel breve testo, se amasse il padre, la madre, gli amici, la patria, la bellezza, l’oro e avutane sempre una risposta negativa, si decidere a chiedere cosa mai amasse lo straniero meraviglioso, che rispose, nell’ultimo verso: “Amo le nuvole… Le nuvole che passano… laggiù… Le nuvole meravigliose!”

Ancora nell’atrio di Palazzo Attems Petzenstein a Gorizia, prima di dar inizio all’esplorazione della mostra “Dipingere il silenzio. Opere 1997-2015” dedicata alla pittura di Franco Dugo, un dipinto di generose dimension mi fa venire alle labbra il verso del poeta francese, ed è sotto quella suggestione che visiterò le stanze dove sono radunate le opere di Dugo nella prestigiosa sede, che le manterrà esposte fino al prossimo 31 gennaio.

Quelle prime nuvole meravigliose, c’informa Alessandro Quinzi dalle pagine del bel catalogo dell’esposizione, sono state pensate, a sviluppo fortemente orizzontale della composizione, espressamente per l’atrio dello storico palazzo goriziano. Nate da una rapida occhiata del pittore mentre rientrava a casa, a Lucinico, fissate in una fotografia, da lì riportate su carta, in un disegno quadrettato e infine sulla tela.

Entrando nelle sale della mostra, alle pareti sono sparite le nuvole, che ritroveremo solo più tardi nel percorso espositivo, eppure è tanta la suggestione di quel primo incontro, ancora nell’atrio, che quasi si frappone un velo di irritazione, per quanto impercettibile, alla visione dei dipinti esposti nelle prime sale. Qui il cielo è divenuto bosco, l’aereo è ora ctonio, un viluppo di castagni a segnare il margine di una radura. E una figura, finalmente, quella di un uomo osservato di spalle che s’avvicina al bosco, o forse è fermo a contemplarne il profilo (difatti il titolo ricorrente di queste immagini è Prima del bosco).

Sono immagini di rara suggestione, ancorate rigidamente a una volontà di realismo che si traduce in una riproduzione attenta e meticolosa, ai limiti dell’acribia, ma governata sempre da un impianto progettuale preciso, che prevede a priori la composizione delle masse, l’equilibrio delicatissimo dei colori, il sapiente uso della luce.

Il paesaggio, la natura sono protagonisti incontrastati della poetica di Dugo: la figura umana, quando è convocata sulla tela dal pittore, vi appare come comprimaria, quasi sempre nel ruolo marginale dell’osservatore, in modo da innestare un gioco di specchi contrapposti dove l’artista ritrae, normalmente di spalle, una figura che contempla un paesaggio, sia esso un bosco o una marina lagunare, ponendosi nell’esatta postura e collocazione spaziale dell’osservatore del dipinto, in una serialità potenzialmente indefinita.

L’elemento antropico, quando è rappresentato, è ad ogni modo sempre una presenza secondaria, anche quando, spazialmente; si colloca in posizione preminente al centro del dipinto; anche in quei casi, la sua presenza risulta sempre accessoria e marginale rispetto a quella del paesaggio naturale, autentico incontrastabile protagonista, esattamente come in quelle opere dove la presenza umana è rappresentata per interposti manufatti, case in estrema lontananza o, spesso, solo un palo solitario a segnare un inessenziale passaggio.