Il padre italiano del teatro di regia

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Nel centenario della nascita, avvenuta a Trieste, nel rione di Barcola, il 14 agosto 1921, ricordiamo la figura e l’opera di Giorgio Strehler.

di Paolo Quazzolo

 

Uno dei capitoli più importanti nella storia del teatro occidentale è senz’altro rappresentato dalla nascita della regia. Dopo alcune esperienze avvenute verso la metà dell’Ottocento in Francia, tradizionalmente la nascita di questa nuova forma artistica viene collocata attorno agli anni settanta dell’Ottocento in un piccolo Stato della Germania: il Ducato di Saxe-Meiningen. Il duca Giorgio II, appassionato di teatro, affidò la direzione della compagnia di corte a un intellettuale, Ludwig Chronegk che, attraverso una serie di spettacoli rimasti memorabili, diede avvio a un’autentica rivoluzione in ambito teatrale, ponendo le basi per la nascente regia. Da allora, con grande rapidità, in tutta Europa iniziò a diffondersi questa nuova pratica, grazie all’attività di una serie di artisti quali André Antoine, Adolphe Appia, Edward Gordon Craig o Konstantin Stanislavskij.

Da questo importante movimento di innovazione rimase curiosamente esclusa l’Italia, un Paese che, nella storia del teatro occidentale, ha sempre ricoperto un ruolo strategico, vuoi per la presenza di importanti drammaturghi, vuoi per l’attività di attori di grande impatto, vuoi infine per la presenza di scenografi e architetti che rivoluzionarono il luogo teatrale. Non così per la regia, che poté fare capolino sui palcoscenici italiani – se si esclude qualche rara eccezione – soltanto a partire dal secondo dopoguerra.

Il motivo di un così marcato attardamento fu dovuto alla tradizione stessa del teatro italiano, che per tutto il corso dell’Ottocento e per buona parte del Novecento ruotò attorno alla figura del grande attore. È noto che, soprattutto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento, i palcoscenici italiani erano popolati da quelli che vennero definiti i “mattatori” della scena, dei veri e propri divi i quali, consci del magnetismo che esercitavano sul pubblico, non accettarono in alcun modo di essere diretti da un regista, che ai loro occhi rappresentava un ostacolo e una limitazione alla libertà artistica.

Fu solamente dalla metà del secolo, quando molte cose nella società italiana iniziarono a cambiare, che la regia teatrale poté finalmente fare il suo ingresso anche in Italia. Ciò fu reso possibile dalla presenza di alcuni artisti di grande sensibilità ma, allo stesso tempo, di forte temperamento. I padri della regia teatrale italiana sono stati infatti due uomini spesso ricordati, oltre che per la loro genialità, anche per un carattere irruente e a tratti impossibile: Luchino Visconti e Giorgio Strehler. Ma, d’altra parte, un carattere così focoso, tale da terrorizzate talora gli attori, fu dispensabile per imporre, contro una tradizione attoriale molto forte, la nuova figura del regista.

Strehler e Visconti sono stati due registi molto diversi tra loro, per stile, interessi e soprattutto per il contesto in cui operarono: il primo fu nel 1947, assieme a Paolo Grassi e Nina Vinchi, il fondatore del primo teatro stabile italiano, il Piccolo Teatro di Milano; il secondo viceversa, preferì lavorare con compagnie private all’interno delle quali, tuttavia, costruì un gruppo stabile di attori.

L’esperienza artistica di Strehler si è sviluppata – tranne che per un breve intervallo tra il 1969 e il 1972 – tutta all’interno del Piccolo Teatro, dove il regista triestino ha diretto decine di spettacoli memorabili, rivoluzionando di fatto la messinscena italiana. Tra gli autori da lui preferiti c’è sicuramente Carlo Goldoni di cui, sin dalla prima stagione del Piccolo, mise in scena uno spettacolo rimasto celebre e ancora oggi in repertorio: Arlecchino servitore di due padroni. Ma è nel 1954, con la Trilogia della villeggiatura, che Strehler propone una svolta decisiva nella lettura delle commedie goldoniane: non più i graziosi personaggi settecenteschi, quanto una attenta ricostruzione della classe borghese colta al momento del suo tramonto. Seguiranno altre letture notevoli di testi goldoniani, quale Il campiello (1975) e soprattutto La baruffe chiozzotte (1964), con cui Strehler consegna alla storia del teatro uno degli spettacoli goldoniani più riusciti.

Ma il nome di Strehler è anche legato anche alla “scoperta”, per il pubblico italiano, di uno degli autori drammatici più significativi del Novecento europeo: Bertold Brecht. Del drammaturgo tedesco Strehler propose numerosi spettacoli, a partire dalla famosa messinscena dell’Opera da tre soldi, che venne giudicata dall’autore migliore di quella realizzata dal Berliner Ensemble. E altrettanto memorabile fu, nel 1963, la monumentale messinscena di Vita di Galileo.

Il regista triestino non esitò a confrontarsi anche con Shakespeare, di cui mise in scena alcuni celebri spettacoli quali La tempesta (1947 e 1978) e Re Lear (1972).

Artista attento e curioso, Strehler affrontò sia i grandi classici quali Cechov, Pirandello o Strindberg, sia autori più ricercati quali Bertolazzi, Gorkij, Garcia Lorca o Marivaux, cui dedicò il suo ultimo spettacolo, L’isola degli schiavi, andato in scena nel 1994.

Regista versatile, Strehler si è confrontato anche con il melodramma, dimostrando anche in questo campo grande curiosità ed originalità: sue le regie di grandi classici quali La traviata, Cavalleria rusticana, Fidelio, Macbeth o Simon Boccanegra, ma anche di lavori meno frequentati come Giovanna d’arco al rogo, L’amore delle tre melarance, Lulu o Il cappello di paglia di Firenze. Splendida la realizzazione, alla Scala di Milano, di Don Giovanni (1987), mentre incompiuta è rimasta la regia del mozartiano Così fan tutte (1997), pensata per l’inaugurazione della nuova sede del Piccolo Teatro: sede tanto desiderata, ma che Strehler, per un crudele scherzo del destino, non poté mai vedere.

Contrariamente all’altro padre della regia teatrale, Luchino Visconti, che frequentò assiduamente anche il cinema, Giorgio Strehler decise di dedicarsi esclusivamente al palcoscenico, sebbene il suo archivio personale, oggi conservato presso il Civico Museo Teatrale Carlo Schmidl di Trieste, abbia rivelato l’esistenza di alcuni progetti di film, peraltro mai realizzati. Tra questi spicca senza dubbio l’imponente lavoro per un “originale televisivo” commissionato dalla Rai verso la fine degli anni Sessanta, sulla vita di Carlo Goldoni. Il progetto, mai giunto a compimento, divenne il lavoro di una vita, attorno al quale Strehler si impegnò per oltre trent’anni. Svanita l’ipotesi di realizzare un prodotto televisivo, il regista pensò di trasformare i Mémoires in uno spettacolo teatrale imponente, che avrebbe dovuto essere proposto nel corso della prima stagione teatrale da realizzarsi nella nuova sede del Piccolo. Ma anche in questo caso il destino fu avverso e il progetto è rimasto la grande opera incompiuta del regista triestino.