Il futurista imperterrito

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Pubblicato il 21° volume della collana d’arte della Fondazione CRTrieste, dedicato a Tullio Crali

di Walter Chiereghin

 

Il più recente volume, il ventunesimo, pubblicato nella benemerita iniziativa editoriale della Collana d’arte della Fondazione CRTrieste, dovuto a Massimo De Sabbata, offre un’importante approfondita visione sulla figura e l’opera di Tullio Crali e, insieme, sui contesti culturali e sociali in cui si è prodotto il suo agire artistico.

Nato nel 1910 in Dalmazia, in un piccolo paese alle Bocche di Cattaro avendo il padre, geometra, un impegno lavorativo a Zara, dove Tullio compì i primi studi. Si trasferì con la famiglia a Gorizia alle soglie dell’adolescenza, nel 1922. Poco interessato agli studi tecnici che frequentava, si esercitò invece nella pittura come autodidatta, affascinato da letture ed esperienze di ambiente futurista che, nel capoluogo isontino degli anni Venti, dovevano trovare in Sofronio Pocarini e in alcuni altri artisti e intellettuali una corrispondenza appassionata seppure tardiva al movimento di Marinetti, Soffici e Boccioni. Quell’ambito territoriale, negli anni immediatamente successivi alla sua assegnazione al Regno d’Italia, conservò il suo carattere multietnico, cui corrispondevano le istituzioni autonomiste mutuate dall’organizzazione statuale austroungarica, prima che il fascismo si stabilizzasse alla guida del Paese. Fu così che anche nell’associazionismo culturale collaborassero tra loro intellettuali ed artisti sloveni e italiani, come fu a Gorizia per il Circolo artistico, animato da presenze quali quelle di Spazzapan, Pilon e Čargo, cui si affiancavano Bolaffio, De Finetti, Del Neri e Pocarini. Ma quando, alla fine del 1929, Crali si presentò sulla scena della vita artistica partecipando alla “Seconda esposizione goriziana di Belle Arti”, il clima culturale era completamente diverso rispetto a quello di pochi anni prima: a organizzare la manifestazione era subentrato il Sindacato fascista degli artisti, alcune personalità slovene avevano lasciato il Goriziano, come Čargo e Spazzapan, mentre altri si accingevano ad andarsene, come Pilon, che si sarebbe definitivamente trasferito a Parigi all’inizio dell’anno successivo. Il giovane Crali si presentò a quella mostra d’esordio con due opere «dal linguaggio orientato verso la sintesi cubo-futurista, sinonimo di avanguardia artistica per tutti i giovani desiderosi di emanciparsi dalla tradizione» (p. 25).

A diciott’anni, in Istria, Crali volò per la prima volta, a bordo di un idrovolante e quell’esperienza mantenne una traccia incredibilmente duratura nella sua produzione artistica. La partecipazione a una delle prime manifestazioni dell’aereopittura futurista promossa da Bruno Sancin a Trieste nel 1931, cui il Nostro partecipò con quattro dipinti, segnò il suo ingresso a pieno titolo nel movimento di Marinetti, cui seguirono a ruota altre mostre a Padova, in quello stesso anno e nel successivo, a fianco di Pocarini, di Ugo Carà e di Marisa Lupieri, mentre la sua prima personale, assieme alla partecipazione in ambito locale a due esposizioni organizzate dal G.U.F, segnarono un suo definitivo installarsi negli ambienti futuristi giuliani, tormentati peraltro da divisioni e inimicizie personali, soprattutto tra Sancin e Pocarini. Alla fine del 1933, Crali era ormai personalità nota in ambito locale, oltre che per la sua opera di pittore anche per quella di cartellonista e per avere ottenuto incarichi nella Commissione municipale alle opere pubbliche e al pubblico ornato.

L’improvvisa tragica scomparsa di Sofronio Pocarini, annegato nel mare di Grado il 4 agosto 1934, indusse Crali a una concentrazione sul proprio lavoro artistico, intensificando il rapporto con il giovane di origine dalmata Raoul Cenisi (Česnik), entrambi insofferenti della crescente normalizzazione imposta dal regime, ma peraltro beneficiari di commesse e di un crescente successo commerciale, che arrise, anche grazie agli acquisti di privati, nell’ultimo scorcio degli anni Trenta, soprattutto a Crali. Alla sua fortuna contribuì non poco il suo legame di amicizia anche personale con Marinetti, cui era stato presentato da Pocarini.

Giova forse qui ricordare che il movimento futurista, negli anni Trenta, aveva ormai perso del tutto la sua spinta originaria, come ricorda lo stesso De Sabbata: «un movimento sempre più lontano dalle sue caratteristiche originarie. Abbandonati i pregiudizi verso la monarchia, il ribellismo anarcoide, la vocazione libertaria e l’antiborghesismo, il futurismo era entrato progressivamente nell’orbita del potere politico offrendosi velleitariamente come linguaggio pittorico ufficiale del regime, con quanto ne sarebbe conseguito pure in termini di commissioni pubbliche» (p. 42). Del resto, l’immagine di Marinetti nell’uniforme di gusto passatista turchina coi ricami d’argento completa di spadino e di feluca di accademico d’Italia, è la grottesca ma efficace rappresentazione di tale fenomeno di adeguamento accomodante. Crali, del resto, rimase fedele al rapporto con Marinetti fino alla scomparsa del fondatore del futurismo, nel 1944, operando con crescente successo nell’ambito dell’aereopittura che aveva trovato, fin dalla mostra alla milanese Galleria Pesaro del 1931 un’agguerrita schiera di giovani artisti che individuavano in «un nuovo rapporto sperimentale con le regole della prospettiva tradizionale in cui era necessario integrare nella visione le variabili della velocità e delle manovre anche acrobatiche degli aeroplani. La prospettiva tradizionale subiva le alterazioni dovute alla mobilità dello sguardo, alla moltiplicazione incontrollata dei punti di vista, agli effetti atmosferici» (pp. 45-47). è in quest’ambito visionario che esaltava il dinamismo e l’esaltazione delle macchine come simboli del progresso che erano tra i motivi ispiratori del movimento futurista delle origini che Crali trovò, per tutti gli anni a venire (e segnatamente per l’intero decennio degli anni Trenta) la fonte principale cui attingere nelle sue opere, allontanandosi dalla poetica del Pocarini per accostarsi decisamente a quella che era stata di Boccioni, anche al di fuori dei temi più propri dell’aereopittura. La partecipazione del giovane artista alle più importanti manifestazioni nazionali e internazionali, dalla Biennale veneziana alla Quadriennale romana, la sua convinta adesione al fascismo arrivata perfino all’esaltazione, sulle pagine di Vita isontina, delle leggi razziali del 1938, la considerazione in cui lo teneva Marinetti (che gli procurò gli spazi per una personale in seno alla Biennale di Venezia del 1940) sono tutti fattori di crescita dell’importanza e della visibilità di Crali nel panorama artistico nazionale fino agli anni della guerra.

All’indomani della Liberazione di Gorizia da parte delle truppe jugoslave, con l’arresto e l’imprigionamento per quaranta giorni a Idria, iniziò per Crali un difficile dopoguerra, nel quale dové difendersi davanti alla Commissione di epurazione, in un clima di crescente tensione con le componenti filo slave che alla fine lo decise ad abbandonare la città per riparare in Piemonte, sulle colline del Monferrato tra il 1947 e la fine del 1950, e successivamente in Francia, dove si stabilì per quasi un decennio, insegnando in un liceo italiano e cercando altri ambiti espressivi, attingendo a un’ispirazione neocubista che rasentava l’astrazione e anche esercitando la propria creatività raccogliendo e isolando dei materiali lapidei raccolti sulle coste di Bretagna e Normandia, componendoli nella serie delle sue Sassintesi. Sempre nel periodo francese, si riaccostò all’aereopittura, depurata tuttavia dei suoi aspetti di più accentuato dinamismo e di esaltazione delle vertiginose prospettive, che si stemperano invece in tale nuova modulazione del soggetto in contemplazioni più rasserenate, inscritte all’interno di partiture geometriche. Visse poi per alcuni anni in Egitto, per tornare infine in Italia, riprendendo il filone mai del tutto interrotto delle sue aereopitture e partecipando, per quanto nelle sue possibilità, alla rivalutazione dell’esperienza futurista alla quale rimase coerente fino alla fine dei suoi giorni.

La monografia dedicata a Crali da Massimo De Sabbata segue il medesimo percorso biografico utilizzato in questo articolo, fornendo ovviamente assai più dettagliate e ricche informazioni non soltanto sul percorso umano e creativo dell’artista, ma anche informando il lettore sui contesti culturali entro i quali si trovò ad operare e ponendolo in stretta relazione e confronto con altri contemporanei, al punto che le schede dei dipinti, antologiche anche per l’opera di Crali e senza pretese di una compiuta catalogazione, si ramificano poi nell’esplorazione – necessariamente succinta – del lavoro di alcuni dei suoi compagni di viaggio nel futurismo giuliano e nell’aereopittura. Fra gli apparati, è rilevante una sezione comprendente scritti di Tullio Crali che, assieme alle consuete sezioni riguardanti cronologia, elenco delle esposizioni e antologia critica compongono una documentazione d’ora innanzi imprescindibile per lo studio dell’artista.