“Dove finisce Scipio inizia Fulvio”

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Per una rilettura di Tomizza e Slataper

di Pierluigi Sabatti

 

Nella ricorrenza dei vent’anni dalla morte di Fulvio Tomizza, leggendo dello scrittore istriano, mi sono imbattuto in un’affermazione di Biagio Marin che mi ha fatto riflettere: “Dove finisce Scipio inizia Fulvio”. Confesso che non avevo mai messo accanto i due personaggi, Scipio Slataper e Fulvio Tomizza. Personaggi sicuramente diversissimi: borghese, cittadino, irruente, affascinante il primo; contadino, introverso, riflessivo, pacato ma determinato l’altro.

Diversissimi, ma accomunati da una caratteristica: il coraggio delle proprie idee, che entrambi hanno espresso nelle proprie opere, pagandone le conseguenze.

Per le sue Lettere triestine, pubblicate sulla mitica Voce di Firenze, Slataper perse una borsa di studio che aveva ottenuto. Ne aveva avuto necessità visto che la famiglia aveva subito un tracollo economico. Nelle Lettere Scipio aveva elencato con urticante ironia e chirurgica precisione le contraddizioni della borghesia triestina “bottegaia” senza ideali; rivelandosi vicino alle posizioni di Angelo Vivante, di forte impronta socialista.

Anche Tomizza in Dove tornare usa le lettere in cui il narratore è un artista che vagheggia “un socialismo davvero libero e civile, di reciproco rispetto e disincantata fraternità”. Un socialismo “molto letterario e poco ortodosso”.

Tornando a Slataper ricordo i suoi scritti politici e l’ampia attività giornalistica, che svolse nei pochi anni in cui visse. Morì a soli 27 anni nel 1915 sul Monte Calvario, in combattimento.

Anche l’attività giornalistica unisce i due personaggi: Tomizza comincia la sua esperienza a Radio Capodistria, dopo il periodo trascorso a Belgrado e a Lubiana, perché ha voluto capire il socialismo jugoslavo, sperimentare di persona la società comunista, avendo il coraggio, ecco che torna questa caratteristica, di affrontare le critiche che gli verranno dai connazionali e, più avanti, arrivato a Trieste la diffidenza di una parte della città.

Alla Rai triestina Tomizza fa il giornalista, ma orienta subito il suo lavoro verso la letteratura e qui viene riconosciuto tardivamente – come riporta Renzo Sanson in un articolo pubblicato nel 2009 sul Piccolo, in cui rievoca la storia della nostra sede Rai – che la direzione dell’epoca avrebbe potuto sostenere maggiormente la sua vocazione narrativa. “Comunque – sottolinea Sanson – la figura di Fulvio Tomizza permea i programmi di Radio Trieste. L’autore istriano, insieme a Guido Miglia, risulta infatti molto presente nelle trasmissioni culturali, letterarie e artistiche: questa sua collaborazione con la radio gli valse anche una certa visibilità e notorietà. Oltre ai programmi nei quali presentava i suoi scritti, la sua presenza si nota anche nell’aiuto alla riduzione radiofonica di racconti non suoi, con una particolare attenzione per il mondo friulano. Dal 1957 curò il varietà Cari stornei, scrivendone i testi per almeno una decina di puntate e valutando, di volta in volta, i contributi necessari. Nello stesso anno, gli fu dedicato per due volte uno spazio nella trasmissione Scrittori triestini, con il focus su due suoi racconti inediti. Nel 1958 debuttò Ballate istriane, di cui ancora una volta scrisse i testi, e aiutò l’autrice nel programma I racconti di Caterina Percoto, curandone le riduzioni radiofoniche: fu una collaborazione che continuò negli anni successivi anche con altri autori, come Francesco Dall’Ongaro, Domenico Venturini e altri anche per il programma Racconti dell’Ottocento triestino (nel 1959). Collaborò anche a Terza pagina. Un suo profilo fu delineato dall’amico Bruno Maier in Bozze in colonna e nel 1966 nell’approfondimento di circa 10 minuti Tomizza e la letteratura triestina. Alcuni suoi racconti inediti furono trasmessi dal programma Scrittori della Regione e ben sei puntate nel 1967 ebbero il titolo di Racconti di Fulvio Tomizza che assunse il titolo di Racconti istriani (e durò fino al 1970) i cui contenuti riguardarono anche, fra l’altro, il suo romanzo Materada. Come critico, nello stesso anno Tomizza curò lo speciale Umberto Saba a dieci anni dalla morte. Nel 1968 andò in onda il suo Vera Verk, dramma in tre tempi, ripreso successivamente l’anno seguente, quando ideò anche Strologhi e streghe, racconti istriani, sceneggiati da lui stesso, che vennero riproposti, nel 1970, su Radio Venezia Giulia. Egli divulgò, infine, altri suoi racconti in trasmissioni dal titolo unico.

Tomizza scrittore esordisce nel 1960 con Materada. La critica italiana lo accoglie bene. Seguono altri successi: La ragazza di Petrovia e Il bosco di acacie, riuniti poi con il primo nella Trilogia istriana.

Tomizza ambienta poi diversi suoi romanzi a Trieste, diventata la sua città, non più la città dell’esilio. Sono opere significative per capire la maturazione dello scrittore. Come La città di Miriam, Dove tornare, L’Albero dei sogni, L’amicizia, Gli sposi di via Rossetti, Franziska, I rapporti colpevoli, e il postumo La visitatrice. Un buon successo di critica e pubblico gli viene nel 1977 con La miglior vita, che ottiene il Premio Strega. Il libro sarà tradotto in dieci lingue. Viene l’approfondimento storico con un romanzo impegnativo come Il male viene dal Nord (1984), imperniato sulla figura del vescovo capodistriano Pier Paolo Vergerio, passato alla Riforma. E altri.

Inizia poi la lunga lotta contro la malattia che non lo ferma: continua a scrivere. Romanzi, ma anche significative riflessioni sull’attualità (Alle spalle di Trieste). Tomizza muore a Trieste il 21 maggio 1999 e riposa nella sua Materada

Ecco Alle spalle di Trieste è un’altra opera che avvicina Tomizza a Slataper. Come scrive acutamente Gianfranco Franchi quest’opera “è un sapiente collage di articoli e scritti pubblicati tra il 1969 e il 1994 in cui viene narrata l’alienazione e l’estraniamento di chi, venendo da una cultura diversa e contadina non ha mai saputo ambientarsi del tutto in città, e spesso ha finito per criticarla; oppure, raccontano di chi ha finito per amare ciò che era al di là della città, vale a dire il Carso e chi il Carso vive: cioè, tendenzialmente, la comunità slovena. E questo sentendo sempre una viva soggezione sia nei confronti del mare, sia nei confronti della buona borghesia giuliana. Decidendo di pubblicare un libro con un titolo del genere Tomizza ha giocato quindi sia sulle sue origini istriane, sia sulla sua defilata posizione nel tessuto sociale cittadino: diciamo “laterale”, molto più di quanto ci si poteva attendere, considerando la sua fortuna internazionale. “Laterale” quando non leggermente antagonista”.

Tomizza descrive una città che, nonostante fosse stata la sua da oltre trent’anni, continuava a sentire di “non possedere in pieno”. Un’amante bellissima e sfuggente, che Tomizza non è mai riuscito a capire del tutto, e a dominare.

Trieste è raccontata come una città “emporiale e cosmopolita”, gioiello austriaco caduto in disgrazia sotto amministrazione italiana; una città “più nevrotica che beata” perché in una manciata d’anni ha perduto ciò che aveva fatto la sua fortuna, vale a dire il suo baricentro economico, etico e culturale, il suo “retroterra immediato e sentimentale”, l’Istria, e quello “prossimo e d’interessi più vasti”, cioè l’Austria e la Mitteleuropa, e i Paesi dell’Est europeo. Una città “affascinante e difficile”, non più capace, dal 1918, di accettare, riconoscere e tutelare le sue diverse anime, etniche e linguistiche, e la sua diversa inclinazione geopolitica. Una città che non ha saputo reinventarsi nel nuovo concerto italiano, soprattutto dopo la perdita dell’Istria, e non sempre ha saputo dialogare con le vicine provincie di Pordenone e Gorizia; men che meno, in generale, con la regione Friuli alla quale è stata accorpata.

Analisi condivisibile ma non accettata. Come Slataper, Tomizza ha subito l’ostracismo in città; però pian piano la sua opera, la sua personalità, il suo messaggio, la sua coerenza sono stati apprezzati e qui va sottolineato l’apporto fondamentale dato a questo riconoscimento dal Gruppo 85 e voglio ricordare colei che in questi anni ha lavorato senza sosta in questa direzione tra tante difficoltà: Patrizia Vascotto, che se n’è andata troppo presto e di cui sentiamo troppo la mancanza. E desidero ricordare anche Marino Vocci, infaticabile nel suo lavoro di mediatore culturale. Lui venuto a Trieste, esule dall’Istria, che è riuscito ad inserirsi nell’ambiente misto del Carso fino ad essere eletto sindaco di Duino Aurisina.

Infine in questi giorni turbolenti, nei quali l’Unione europea viene minacciata di estinzione, esorto i lettori a rileggere le pagine di Tomizza in cui si respira l’Europa: le storie che egli ha raccontato sono europee, anche se sono ambientate nella piccola Materada o in altri villaggi dell’Istria, del Carso, del Friuli. Lo sguardo di Tomizza ha spaziato sempre al di la dei confini, politici e mentali.

Anche Slataper ha guardato all’Europa nel suo breve soggiorno ad Amburgo e voleva fondare una rivista, intitolata appunto Europa a Trieste. Poi la guerra l’ha portato alla scelta interventista e italiana, lui che era un “irredentista culturale”. E il regime fascista lo ha poi imprigionato in una gabbia trionfalistica e patriottarda, impedendo di conoscere una personalità complessa, tormentata e culturalmente stimolante.

Il nipote Aurelio con il suo libro Appunti per una storia di famiglia, appena edito dal Centro studi Scipio Sltaper (v. Il Ponte rosso n. 44 – aprile 2019 ) si impegna a renderci lo Slataper più autentico, superando l’icona del martire irredentista per parlare dell’intellettuale complesso e tormentato.

Tomizza ha avuto la fortuna di essere compreso e apprezzato, sia pure tardivamente, e la sua opera continua ad essere preziosa per la crescita culturale e civile di questo nostro territorio.