Il lungo viaggio di Dario

| | |

di Walter Chiereghin

 

Dall’amicizia tra Valerio Fiandra, lettore compulsivo, animatore culturale, dotato di una lunga esperienza in ambito editoriale e Walter Chendi, disegnatore di lungo corso, fumettista di chiara fama, è nata la pubblicazione di una storia tanto triestina quanto internazionale, El diario de Dario, resoconto di un viaggio in Estremo Oriente a bordo di una nave negli anni Venti del secolo scorso.

Com’è accaduto per altre opere, da I promessi sposi di Manzoni a Il nome della rosa di Eco, a La taverna del doge Loredan di Ongaro, anche questo Diario si qualifica come originato da un documento – di solito un manoscritto – fortunosamente ritrovato e riportato alla luce dai solerti curatori, che di solito sono in effetti gli autori dell’opera. La verifica della corrispondenza al vero di tale assunto iniziale è materia che, se è il caso, appare opportuno affidare ai filologi, mentre al lettore compete di accoccolasi dentro la narrazione e godere dei percorsi che essa suggerisce.

Il testo dell’elegante volume di cui stiamo parlando – copertina cartonata e trecento copie numerate (più venticinque fuori commercio) – non aiuta a saperne di più circa l’adesione di quanto pubblicato all’originale manoscritto, implicitamente presentato come fedele riproduzione. Probabilmente è lecito dubitarne, se non altro per l’inconfondibile tratto e l’accuratezza dei disegni che rimandano alla mano e al “mestiere” di Chendi. Essendo stato chi scrive tra i partecipanti alla prima presentazione del libro, gli risulta però possibile fornire qualche indicazione supplementare circa la storia del manoscritto originale valendosi di quanto raccontato in quella sede da Fiandra e dallo stesso Chendi, in modo di offrire, assieme alla recensione, anche una stringata introduzione al volume che ha invece inteso presentarsi come copia restaurata del quaderno a righe originale sul quale l’autore aveva riportato le sue sintetiche annotazioni diaristiche, corredate da un ricco apparato iconografico.

Autore di quel quaderno fu dunque tale David Weiss, nato a Trieste nel 1884, lontano parente di Walter Chendi, soprannominato Diario per la sua mania di annotare tutto quanto gli capitava. Il soprannome in seguito divenne, con la soppressione di una vocale, un plausibile nome proprio: Dario, e con esso poi fu generalmente indicato. Imbarcato come bubez (aspirante mozzo) appena diciassettenne, iniziò una lunga teoria di mestieri di bordo, fino ad approdare alla nomina a nostromo sulla motonave “Africa” del Lloyd Triestino. Durante tutta la sua carriera di lupo di mare, naturalmente, David (o Dario) continuò ad esercitare il suo vecchio “vizio” di tenere diari nei quali venivano annotati i fatti più salienti della sua esperienza di uomo e di viaggiatore, nel Mediterraneo e poi in ogni dove, oltre oceano. Furono così riempiti molte dozzine di quaderni, che tuttavia corsero il rischio di andare completamente perduti quando, verso la fine degli anni Trenta, durante l’imbarco di Dario a bordo del “Corona”, un misto cargo e passeggeri che faceva rotta Santiago, Lima, Panama, Caracas. l’Avana e ritorno. Il 7 luglio 1937 la nave fu sorpresa da una terribile tempesta al largo dell’Ecuador, al punto che il comandante dette l’ordine di abbandonare la nave e, con il resto dell’equipaggio, anche Dario si affrettò a raggiungere le scialuppe per mettersi in salvo. Tempo dopo si seppe che il “Corona”, abbandonato dall’equipaggio, non era affondato, ma recuperato e trainato fino in Messico, e, dopo vari tentativi di reimpiego, alfine ceduto a un gruppo di italoamericani che, ribattezzato il bastimento col nome di “San Salvadòr”, lo utilizzarono per alcuni anni per trasportare merci tra l’Avana e Miami, fino ad essere finalmente destinato alla demolizione in un cantiere della città della Florida. Tra quanti furono incaricati di smantellare la nave in previsione della demolizione v’era anche un triestino, tale Anselmo Catraro, che, scoperti una ventina di quaderni di Dario, li spedì a Trieste, incaricando il fratello di farli avere alla famiglia Weiss, Dopo varie ricerche, alla fine i diari furono consegnati a una cugina del nostromo del “Corona” nel 1969, un anno dopo la morte dell’autore. Alla scomparsa dell’anziana signora, nel 1995, tra i molti oggetti di cui gli eredi dovettero disfarsi, una sua figlia, seconda cugina del “nostro” Walter Chendi, lasciò in eredità a quest’ultimo – e siamo ormai nel 2010 – tre quaderni illustrati per mano del vecchio Dario, uno dei quali, il meglio conservato, è oggi finalmente dato alle stampe ed è il volume del quale stiamo parlando.

Il diario, iniziato «Ogi 21 otobre 1920, mio genetliaco numero 36», narra con brevi annotazioni ad inchiostro blu in italiano, assai triestinizzato, che dialogano con le illustrazioni di raffinato elegante realismo, di un viaggio per nave iniziato dal porto di Trieste il 19 aprile 1920, lungo una rotta che toccherà Brindisi, Port Said, Aden, Bombay, Colombo (dove Dario incontra sir Arthur Conan Doyle e scrive su una cartolina: «Ogi go visto Sherlok Holmes! Giuro»), e ancora Singapore, Hong Kong, Shanghai, Yokohama. E ritorno.

Per quanto non identificabile nei ritratti di gruppo, per l’insieme dei percorsi narrativi che sinteticamente sono presentati nei testi e nelle immagini, la personalità curiosa ed ironica di Dario pervade di sé il suo quaderno a righe, spesso con effetti esilaranti per le situazioni o per il linguaggio utilizzato, fin dalla prima pagina, dove compare un fedelissimo disegno di una fotocamera d’epoca Zeca, corredata dall’indicazione «costruida a Dresda, rubada a Amsterdam, comprada in gheto, a Trieste. Un afar». Oppure, nelle pagine dedicate a una sosta ad Aden, a corredo dell’immagine di un giovane yemenita ritto in piedi accanto a un dromedario sdraiato a terra: «Il ragazzo offriva il cammello come auto pubblica, Ragazzo molto volonteroso, cammello meno». O ancora, a Shanghai, sotto l’illustrazione di un locale ai cui tavoli siedono compostamente alcuni avventori orientali: «Quasi un obligo andar in sala da Tè. Tuti guarda via. Offesi prché go domandato se i gà vin nero?».

C’è del vero negli accostamenti che sono stati fatti – da Valerio Fiandra nelle presentazioni e da Paolo Marcolin nella sua recensione per Il Piccolo – tra la figura di Dario e quelle di Bortolo, voce narrante delle Maldobrie di Carpinteri e Faraguna e di Corto Maltese, l’eroe di carta disegnato da Hugo Pratt. Del pari vero, per quanti sono cresciuti in anni ormai distanti a Trieste (e verosimilmente in ogni altro grande porto di mare), il personaggio pare tratto a forza dai racconti dei nonni, marittimi in pensione dopo una lunga navigazione. Quando ancora la televisione non c’era, con i suoi asettici documentari e con le sue immagini impeccabili, a fornirci una visione sicuramente più oggettiva di posti lontani, che non dispone però del sapore e dei profumi di quei racconti mille volte ripetuti in risposta alle estenuanti reiterate richieste dei nipotini che stavano ad ascoltare a bocca aperta le minime avventure di quei viaggi in terre lontane. Tra i meriti di questo Diario de Dario, allora, vi è sicuramente quello di aver recuperato almeno alcune pagine di tale sterminata narrazione collettiva, sottraendole al macero di un immeritato e ingiustificabile oblio.

 

 

 

El diario de Dario

Weiss, Chendi, Baotzebao

& Theoreality, Trieste 2022

  1. 44, euro 20,00