Percezioni al Museo Carà di Muggia

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Fabio Giacuzzo ed Enzo Tedeschi, due voci poetiche di rilevante fascinazione si dividono, dal 9 giugno al 3 luglio lo spazio espositivo del Museo d’Arte Moderna “Ugo Carà” di Muggia, dando luogo a una mostra di immagini fotografiche organizzata da Photo-Imago, Centro per l’Archiviazione e la Divulgazione dell’Immagine Fotografica e curata da un altro fotografo, Fabio Rinaldi, del cui lavoro Cristina Bonadei ha già parlato nel n. 6 del Ponte rosso.

Quanto più, a prima vista, colpisce nel visitare la rassegna muggesana è la parentela strettissima che i due autori, diversi per ispirazione e tecniche fotografiche utilizzate, denunciano nei confronti della pittura, ciascuno dei due denunciando ascendenze di gusto precise, da individuarsi nella poetica carsica di Lojze Spacal per Giacuzzo e nel Surrealismo per Tedeschi.

La frazione di mostra dedicata a Giacuzzo s’intitola difatti, con esplicito tributo a Slataper, Il mio Carso e raduna una serie di immagini, create tutte in analogico e con un attento studio di camera oscura, colte tra i campi dell’altipiano carsico, ricercando in ciascuna immagine il ritmo compositivo che darà poi corpo all’immagine finale, dettato dai muretti a secco, dai pali delle piccole vigne, dall’intersecarsi del lavoro secolare di una natura scabra e pervasiva con quello di una fatica umana altrettanto determinata a piegarla alle proprie essenziali necessità. Il risultato dell’osservazione acuta del fotografo e della relativa trasposizione su carta è un bianconero impeccabile e fortemente evocativo di un paesaggio che non rasenta mai il prevedibile e lo scontato.

L’altra metà della mostra, animata dalle elaborate creazioni fantastiche di Enzo Tedeschi, s’intitola invece Fuggevoli visioni, e veramente le immagini, quasi sempre in formato quadrato, assumono l’inafferrabile transitorietà di quelle che riusciamo a trattenere brevemente nella mente quando ne siamo visitati nel sogno. La fotografia, tecnica realistica per antonomasia, viene piegata, anche grazie alle prestazioni rese disponibili dal digitale, a risiedere entro questa dimensione onirica dall’estro inventivo dell’artista, che associa ai suoi paesaggi vaporosi contrapposti a cieli percorsi da nuvole le figure umane, presenze enigmatiche che accentuano il surreale dell’immaginario dell’autore. Così, se Spacal con le sue astrazioni sempre profondamente radicate nel realismo è nume tutelare del lavoro fotografico di Giacuzzo, per Tedeschi viene spontaneo pensare al lavoro di personalità surrealiste quali Magritte, Dalì o Man Ray, maestro quest’ultimo – e non a caso – anche nella tecnica fotografica.

 

di Walter Chierechin