Il pugilato secondo Carnera

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di Francesco Carbone

 

 

L’affettuoso e onesto Carnera. Il pugilato secondo me ci porta nel tempo in cui l’Italia aveva ancora una certa comune memoria, la stessa che leggiamo nelle Avventure di Pinocchio: fame, pochissima scuola, emigrazione, dignità e imbrogli da Gatto e la Volpe. Il mondo storico pare abiti da qualche altra parte: lontano e quasi incomprensibile. Carnera nacque a Sequals nel 1906, fu campione del mondo dei pesi massimi tra il 1933 e il 1934, europeo fino al 1935, dunque vicino al momento di massimo consenso – la guerra contro l’Etiopia – degli italiani al fascismo. Veniva da un mondo, per noi occupati tra cellulari e carrelli ai supermercati, inconcepibilmente povero, contadino e paesano; veniva dal cuore del Friuli sempre operoso e quasi sempre obbediente. Era un mondo verrebbe da dire ancora non poco manzoniano. Come il Renzo del grande romanzo, Carnera – nel racconto di Dugo e Sarcinelli – appare buono, disinteressato, fedelissimo ai valori della sua terra e inconsapevole: finito all’improvviso dentro una grande macchina di eventi di cui non ha modo di leggere i segni. Una parola che torna spesso nel libro è subìto: Carnera, «il gigante buono, la forza senza odio», subisce, e non può che subire. Subì la strumentalizzazione che ne fece il regime come «simbolo dell’uomo nuovo fascista»; vestì quindi la camicia nera e fece il saluto romano dal balcone di Piazza Venezia (Mussolini rimasto dietro per non far notare la comica differenza d’altezza) «quasi inconsapevolmente, senza rendersi conto». Quanti italiani, del resto, furono così?

Lo stesso successo nel pugilato è subìto, solo riconoscendone la fatica («infatti per il figlio sogna un’altra vita»); quando arriva in America, Carnera finisce senza accorgersi nel racket mafioso che controlla gran parte del mondo della boxe, praticamente nelle braccia di Al Capone. Tornano soprattutto nel racconto degli anni americani le espressioni «a sua insaputa», «strumentalizzato», «in buona fede», «ingenuità»… Il film che s’ispirò, in modo abbastanza trasparente, alla sua storia fu Il colosso d’argilla del 1956 (The Harder They Fall di Mark Robson, con Humphrey Bogart): lì il pugile è un argentino, anche lui gigantesco e ingenuo, talmente buono che Bogart gli lascia il suo compenso perché provi a rifarsi una vita nel suo paese.

Dugo e Sarcinelli ci offrono documenti inediti interessanti, tra i quali la lettera del 22 marzo 1935 di Umberto Caradossi, della Federazione pugilistica italiana, in cui leggiamo che «Carnera non ha mai avuto una volontà propria». La lettera è al centro della ricostruzione interessantissima dell’incontro che si sta preparando, che il fascismo non vorrebbe, tra Carnera campione del mondo e Joe Louis, sfida a cui invece la mafia teneva molto: «non ci fu storia, il più giovane Louis mise al tappeto per tre volte il suo avversario e dopo due minuti e 23 secondi del secondo round l’arbitro decretò il ko tecnico, come da unanime previsione». La foto di Carnera – che fa parte della ricchissima parte iconografica del saggio – messo al tappeto da «un negro» fu censurata dal regime. Anche se la parabola di Carnera, perduto il titolo, scese precipitosamente, «il fascismo volle sfruttarlo fino all’ultimo», e quindi fino alla fine della guerra: una storia patetica di incontri organizzati contro ogni buon senso, ignorando le stesse condizioni di salute del campione.

La seconda storia che ci dice molto non solo di Carnera ma di quel nostro passato, è quella del salvataggio, di quello che fu un simbolo quasi per caso del fascismo, da parte del partigiano Leonardo Picco – il comandante Tom – in cui pare tutto accadere per un molto italiano modo di guardarsi e di riconoscersi: uno di fronte all’altro, all’ombra di una vigna friulana, «negli occhi di Carnera Picco legge la limpidezza di un animo rimasto puro […]. In quelli di Picco Carnera legge la purezza di un ideale di giustizia e libertà». Sono momenti che l’umanissima commedia all’italiana ha raccontato benissimo.

 

 

Franco Dugo

Umberto Sarcinelli

Carnera. Il pugilato

secondo me

Tiglio edizioni, Udine 2020

  1. 114, euro 25,00