La seconda pelle di Gordana Drinković

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Al Magazzino delle idee la mostra dell’artista del vetro croata

di Walter Chiereghin

 

Perseguire un progetto creativo che coniughi la manualità della lavorazione artigianale del vetro con l’estrinsecazione di stati d’animo delicati e complessi o con la formulazione di un messaggio richiede, oltre a una esercitata competenza tecnologica, un rapporto in qualche misura simbiotico con la materia elaborata, al punto di percepirla come un prolungamento dell’artista che su di essa interviene. È sufficiente questa considerazione per dare conto del titolo “Vetro, la mia seconda pelle / Staklo, moja druga koža” con il quale la scultrice e designer del vetro croata Gordana Drinković ha inteso presentarsi a Trieste, al Magazzino delle idee, esponendo oltre centosettanta opere, antologia di una produzione realizzata appassionatamente in oltre venticinque anni di lavoro creativo.

La mostra, curata da Miroslav Gašparović e Raffaella Sgubin, è realizzata grazie alla collaborazione tra ERPaC, Ente regionale per il patrimonio culturale, Comunità Croata di Trieste, Polo Museale-Mibact e Museo dell’Arte e dell’Artigianato di Zagabria.

Il vetro, soprattutto considerato tanto nella sua forma di prodotto finito, quanto in quello di materia da plasmare, ancora allo stato fluido o semiliquido, è un materiale affascinante per il suo polimorfismo, che assume a volte connotazioni ossimoriche. È, in diverse condizioni, duro e fragile, incandescente o freddo, solido o liquido, trasparente, opaco oppure opalescente, incolore o colorato. È anche, come osserva l’artista «una materia che trasforma l’alito umano in una forma». Ce n’è abbastanza per comprendere la seduzione che tale materiale può esercitare tanto su chi gli dà forma quanto su chi ne fruisce, soprattutto se consideriamo l’aggiuntiva caratteristica del vetro che è quello di “giocare” con la luce, per rifletterla, per farsene penetrare, o anche per essere l’unico materiale, assieme all’acqua, capace di scomporla nei colori che la compongono, come fa osservare Miroslav Gašparović nel saggio introduttivo al catalogo della mostra triestina.

Gordana Drinković, come anticipa anche l’intitolazione della mostra, si trova a suo agio nel manipolare il vetro, al punto che identifica il materiale come una sua seconda pelle, ne è affascinata ed esercita con naturale disinvoltura, ma anche con sofferto rigore estetico le sue creazioni, appartengano esse tanto alla sua attività di designer che all’ambito della sua vocazione artistica, che si concreta con l’esecuzione di opere tridimensionali quasi sempre svincolate dall’esigenza di prestarsi a una funzionalità pratica.

Il suo lavoro per l’industria vetraria ha portato alla produzione di Tocco, ben diciassette serie di flŭte da spumante, prodotte tra il 1991 e il 1996, in cui il disegno si gioca nel rapporto tra le due parti del bicchiere, lo stelo e la coppa, tra spesso e sottile, tra pieni e vuoti. La cosa si complica mediante l’inserimento, nelle tre coppie della serie Lei -lui di corpi estranei, frammenti di lampade fluorescenti, scarti di vetro colorato che, inseriti nel gambo del calice, producono un effetto visivo e tattile di comprovato interesse. E poi altre serie ancora, oggetti raffinati e preziosi, in cui il rapporto tra le due forme che compongono i bicchieri di volta in volta si esercita con variazioni, ove il gambo ora ripercorre la forma della goccia in caduta, ora si prolunga in una spirale che avanza verso l’alto, ad avvolgere la coppa, ora si sposta lateralmente rispetto all’asse longitudinale.

La medesima inventiva attenta all’incontro delle diverse forme viene a determinarsi pure nella creazione di opere di scultura che prescindono dal valore funzionale dell’oggetto prodotto o lo collocano in secondo piano, per incantare ed incantarsi, ad esempio, in una forma assai particolare di ritrattistica, ottenuta mediante la modellazione di un vetro in rotazione così da indovinare, nella dinamica circolare di un vetro trasparente una forma che riproduce lateralmente il profilo di un volto umano, che è poi quello dell’autrice.

Un intenso lirismo percorre le opere dell’intera esposizione triestina, sia quelle composte da un unico pezzo, Solitari, come li definisce la stessa Drinković (quali ad esempio Animale domestico, del quale viene sottolineata la condizione di cattività, Red carpet, trasgressiva e irriverente lampada a sospensione dalla quale pende un gruppo di numerosi falli in vetro rosso, o ancora, sempre realizzato in rosso, Cenerentola, non potendo mancare un riferimento alla scarpetta di cristallo attorno cui ruota la celebre fiaba, ma che, nella versione offerta dall’artista croata, implica anche una presa di posizione sull’«accettazione incondizionata dei ruoli e dei valori che ci vengono imposti e nei confronti di quelli che ce li impongono».

Oltre ai Solitari, molte opere sono in effetti gruppi, in cui l’emozione estetica che producono è moltiplicata dalla serialità dei singoli elementi che compongono l’insieme. Come per Sagrada familia, esplicito omaggio ad Antoni Gaudì, nata da un’idea sviluppata negli anni della guerra in Croazia, o come Lacrime rivolte al cielo, create nell’elaborazione del lutto per la perdita del marito, sono assieme il pianto capovolto delle gocce di vetro, quello dell’artista e una preghiera recitata con il più congeniale dei mezzi a sua disposizione. Opera alla quale abbiamo voluto dedicare la copertina di questo numero del Ponte rosso.