Il mare (forse) in tre tappe

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Il Super-Polo museale in Portovecchio: molta scienza accorpata. E un intruso

di Roberto Curci

 

Trieste, si sa, non è una città d’arte. Né di sicuro come Roma, Firenze e Venezia, ma neppure come Bologna o Napoli o Palermo. Non possiede monumenti insigni, soprattutto non ha chiese ridondanti di tesori d’arte pittorici o scultorei, tant’è vero che i templi più ammirati dal turista sono la chiesa serbo-ortodossa e quella greco-orientale, poiché “diverse” ed “esotiche”. Amen.

Dove sta allora il suo indubitabile fascino? Nelle sue bellezze naturali “di cielo e di contrada” (e di mare, s’intende). Nel suo straordinario tessuto urbanistico-architettonico, ereditato dall’Impero. Nella vasta gamma dei suoi musei, venti o ventidue a seconda che si vogliano aggiungere – come vuole un recente dépliant – la Centrale Idrodinamica e la Sottostazione Elettrica del Portovecchio. Del resto, il medesimo dépliant elenca tra i locali Musei Civici pure la Foiba di Basovizza e la Risiera di San Sabba. Che musei propriamente non sono, ma fa niente.

Ora però si guarda con straordinario impegno e interesse dei nostri reggitori, e qualche diffusa perplessità dei molti che non hanno voce in capitolo, alla creazione del Super-Polo museale cui è destinato il mastodontico Magazzino 26, forte dei suoi 250 metri di lunghezza e di una cubatura di 180 mila mc articolata su cinque livelli. Bel progetto, assai futuribile e comunque saggiamente destinato a un parziale accorpamento di certe istituzioni museali, altrimenti disperse in città.

Dove e perché sorgono dunque le perplessità? Non tanto sui tempi, lunghi comunque, né sull’impegnativa sostenibilità finanziaria. Piuttosto sulle scelte relative ai musei “salvati” e predestinati a quella prestigiosa sede. Ricapitoliamo: al Magazzino 26 dovrebbero trovar casa, secondo quanto noto al momento, l’Immaginario Scientifico (che peraltro Museo Civico non è), il Museo del Mare già dismesso a Campo Marzio, il Museo di Storia Naturale già penalizzato a Rozzol, il Museo dell’Antartide e perfino il Museo della Bora (privato, cresciuto soltanto grazie alla passionaccia di Rino Lombardi).

Sarebbe meglio, allora, chiamare le cose col loro nome: il Magazzino 26 diverrà, diciamolo, un vasto, articolato Museo della Scienza. E per una Trieste che si vanta di essere (pure) Città della Scienza, nulla di male, tutt’altro. Quel che non quadra e non si comprende è che c’azzecchi, in tale contesto, il materiale museale a tutt’oggi conservato nel Magazzino 18, ovvero le masserizie degli esuli dall’Istria e dall’Adriatico orientale. Trasferire quei “documenti” di vita vissuta e perduta – fonte per qualsiasi visitatore, anche digiuno delle vicende dell’esodo, di forti emozioni e commozioni – pare un assoluto “nonsense”. Riallestire quel “museo”, ordinandolo secondo un qualche progetto ancora inesistente, significherebbe dissipare del tutto la carica emotiva e la suggestione emanata dalle dolorose, toccanti testimonianze del 18, proprio in virtù del suo casuale non-allestimento. Figuriamoci le cataste di povere sedie polverose, ben ripulite e allineate a modino al secondo piano (secondo i progetti) del 26… “E’ una sfida” sostiene il presidente dell’Irci, Franco Degrassi. Ma è lecito dubitare che abbia molta fiducia nel positivo esito di tale “sfida”, inutile e insensata.

Le perplessità non si fermano qui. E’ noto che al gruppo di lavoro dell’architetto sivigliano Guillermo Vazquez Consuegra è stato affidato (per 33 milioni di euro) il progetto per la dislocazione al 26 del prezioso materiale del Museo del Mare, da tempo off limits e tuttora imballato in attesa del suo destino. Al riguardo par di notare qualche ambiguità: si legge che (forse nel frattempo, prima cioè che Consuegra partorisca il suo piano allestitivo) il Museo del Mare fruirà al 26 di una “sistemazione temporanea”. Sarebbe bello capire come andranno davvero le cose, e quando si prevede che tutto sarà a posto, definitivamente.

Un Museo del Mare “comme il faut” sarebbe indubbiamente un forte elemento di attrazione per una città che sul mare e dal mare ha sempre tratto l’essenza della sua vitalità mercantile ed economica. Con la filosofia dell’accorpamento che sta (anche) alla radice della ristrutturazione del Magazzino 26 collidono però altre due realtà, l’una a sua volta in progress, l’altra affatto virtuale ma da quasi un ventennio incombente sui triestini.

Chiariamo. In un futuro probabilmente remoto, ai nostri nipoti potrebbe capitare, semmai volessero acculturarsi in fatto di vicende e vite (non solo umane) legate al mare, di dover prevedere un triplice percorso: il nuovissimo Museo del Mare in Portovecchio; poi lo storico Aquario marino dell’ex Pescheria, chiuso da tempo, dove si è appena aperto un “cantiere complesso” per la sua ristrutturazione e ampliamento: altri anni da mettere in conto; infine il Parco del Mare, il cui spettro continua ad aleggiare dal 2004, senza che finora si sia cavato un ragno (pardon: un pesce) dal buco.

Tutto il mare in tre tappe: ci permettiamo di suggerire questo slogan a chi, fra qualche decennio, avrà la ventura di gestire tutto questo eventuale ben di Dio. A costoro i nostri migliori auguri, nella speranza che davvero, frattanto, il solo Magazzino 26 sia capace di far affluire a Trieste (promessa di assessore) “tra i 200 e i 300 mila visitatori all’anno”.