Andare in cerca del senso

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Lo spirito dei piedi di Andrea Bellavite

di Giuseppe O. Longo

 

Non inganni l’esiguità di questo libriccino: se il suo peso è minimo, grande è il suo peso specifico. La sua densità si annuncia fin dall’inizio, quando Bellavite ci presenta François, un pellegrino incontrato a Gorizia che ha intrapreso un viaggio a piedi da Lourdes a Gerusalemme, sotto il sigillo del silenzio cui si è consegnato, forse per un voto. È un esempio del pellegrino assoluto: sciolto, libero da tutto, che cammina carico del proprio nulla. Il pellegrino ha abbandonato le sicurezze offerte dalla casa, dalla città, dall’osservanza puntuale di orari e incontri e luoghi, per attraversare i campi, per mettersi in un cammino che non esiste prima che lui stesso lo tracci percorrendolo (dice Chatwin che gli Aborigeni d’Australia cantano perché il loro canto costruisce il paese: se non lo cantano, il paese non esiste). Da sempre tra stanziali e viandanti, tra cittadini e nomadi, vi è diffidenza, spesso ostilità: troppa la differenza di abitudini, mentalità, aspirazioni. I pellegrini, andando per un cammino che è quasi sempre più importante della meta, cercano il senso. Il senso di sé, della vita, del nostro essere qui: e ciascuno di noi, anche coloro che negano tristemente ogni senso alla vita, pure il problema del senso se lo pongono, magari nel segreto ripostiglio della loro inconsapevolezza. Del resto l’uomo è creatura della narrazione: da una parte perché da quando nasce a quando muore ciascuno di noi non cessa di narrare, narrarsi e farsi narrare delle storie; dall’altra perché da questa interminabile narrazione scaturisce il senso di noi e di noi nel mondo. Un senso fragile, sempre provvisorio, sempre mutevole e tuttavia necessario.

La domanda di senso oggi è sommersa dai rumori del mondo, dalla velocità, dall’angoscia: ma vi sono momenti nella giornata, quando la fretta lascia la sua presa, quando la morsa del denaro e del consumo si allenta, vi sono momenti in cui la flebile voce che ci parla del senso si fa sentire (come il suono delle campane quando tutto l’altro tace). E questa domanda di senso, che scorgiamo negli occhi dei pellegrini, ci lascia spaesati, perturbati, se il perturbante, come dice Freud, è ciò che doveva restare sepolto e invece è venuto alla luce. Ma non tutti i pellegrini sono assoluti, non tutti camminano in silenzio o recitando a fior di labbra una preghiera ininterrotta: ci sono anche viandanti meno impegnativi, viandanti, ci dice Bellavite, per i quali la meta è importante e il cammino è solo il mezzo per raggiungerla. E questa meta è spesso religiosa: un santuario sul monte dietro il paese, oppure Roma, la Mecca, Gerusalemme, le sorgenti del Gange e, ormai oggetto di frequentazione travolgente e un po’ modaiola, Santiago di Compostela. Naturalmente gli itinerari più popolari sono attrezzati: luoghi di ristoro e di alloggio, a soddisfare esigenze non del tutto ascetiche e ad accogliere, la sera, a tavola, conversazioni tra sconosciuti affratellati dallo spirito di ricerca o semplicemente di avventurosa imitazione. Nasce così, dal basso, l’Europa unita dei viandanti.

Se la nostra società, osserva l’Autore, ci impone un consumo sfrenato del tempo e dello spazio, ci sottopone alla tensione delle velocità crescenti, all’imperativo di riempire ogni istante (ammazzare il tempo!), il pellegrino cammina lento e riempie il tempo: per lui non esistono strade sbagliate, più lunghe o disagevoli, ma solo strade diverse. Altri percorsi sono in verticale, e Bellavite dedica pagine di riflessione all’alpinismo, sfida continua e spesso solitaria volta a superare il limite (il concetto di limite, così importante presso gli antichi a frenare la hybris dell’uomo, oggi, nell’epoca della tecnologia trionfante, non è altro che un ostacolo da superare: non si accettano più limiti religiosi, etici o morali, se non come termini provvisori di sfida). L’alpinista è anch’egli un pellegrino, un conquistatore dell’inutile (il grande matematico Geoffrey Hardy si dichiarava fiero di non aver mai creato un solo teorema utile!), ma un inutile suggestivo, che splende come un diadema e indica una possibile strada. E gli incidenti mortali, in montagna frequenti, sono considerati da alcuni una scorciatoia per passare dalla terra al cielo, un modo per assurgere alla rarefatta fissità del mito.

Oggi l’Europa è percorsa da una moltitudine di profughi, la cui presenza ha messo in crisi le fragili istituzioni comunitarie: gli stati membri sono troppo restii a cedere una quota anche minima della propria sovranità per mettere in comune esperienze e risorse e costruire un’Europa che parli con un cuore solo e con una voce sola. Questi pellegrini forzati, costretti alla migrazione da guerre, violenze e fame, turbano le placide coscienze degli Europei intenti a incrementare i loro profitti: una distrazione molesta, insopportabile. L’Autore, capovolgendo il punto d’osservazione, suggerisce un’altra interpretazione: già la caduta dell’impero Romano e il tramonto della civiltà furono imputati alle invasioni barbariche, ma visto dalla parte degli invasori, si trattò di un fenomeno largamente positivo: una robusta iniezione di sangue nuovo, di forze fresche capaci di creare sulle macerie del vecchio una civiltà nuova e robusta. Forse sarebbe opportuno adottare questo punto di vista anche per ciò che accade oggi: la vera difficoltà sta nel periodo di transizione, in cui si accumulano tensioni e sofferenze a danno degli uni e degli altri. Per non parlare del cancro del terrorismo.

Ma non posso andare avanti così, tentando, per brama di resoconto e per la potente suggestione di queste pagine, di esaurire la ricchezza di questo aureo volumetto. Accennerò solo, per chiudere, a qualche tema importante: l’intimo contatto, attraverso i piedi, tra il viandante e la madre terra (eloquente l’immagine di copertina, due scarponi infangati); gli incontri lungo il cammino con persone sconosciute tra le quali può scattare la scintilla dell’amicizia o dell’amore (il poeta Arthur Rimbaud scrisse Je est un autre, per significare che l’io si costruisce nel rapporto con gli altri); il cammino di notte, che mette a nudo la paura, la debolezza, ma fa anche sorgere le grandi domande del pastore errante dell’Asia (nota Bellavite che la notte richiama anche “la bellezza della Donna, la sua capacità di accoglienza e di delicatezza, la potenza generatrice della Vita, insomma il cammino esistenziale ‘al femminile’, pregno di fascino e di mistero”), la notte è anche il tempo dello smarrimento, dell’angoscia di chi teme di aver perso la giusta strada.

Chiude il libro una profonda considerazione sul desiderio (la privazione degli astri). “Si cammina, ci dice l’Autore, consapevolmente o meno, per un desiderio… e per quanto ci si possa sforzare… il desiderio non sarà cancellato da nulla perché è esso il senso più profondo e autentico di ogni istante, di ogni azione e di ogni pensiero… Non esiste un obiettivo che consenta di riempire il vuoto delle stelle, il desiderio è l’unica certezza del cuore e della mente… Il desiderio è il cammino e il cammino è il desiderio, nella lunga strada che conduce al di là degli oceani, delle montagne elevate e nel contempo nel più profondo del cuore umano, fino alle sorgenti meravigliose e imperiture dell’Amore.”

 

 

Copertina:

 

Andrea Bellavite

Lo spirito dei piedi

Ediciclo Editore, Portogruaro, 2016

Pagg. 90, € 8,50