Il mito asburgico sessant’anni dopo

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In un incontro a Vienna una riflessione sul saggio di un giovane Claudio Magris che, tra i primi, analizzò un mito consolidatosi dopo la Grande guerra

di Remo Castellini

 

Il 2023 è l’anno del sessantesimo anniversario del celebre saggio di Claudio Magris, Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna, giustamente considerato uno dei più significativi contributi alla comprensione della storia e della cultura dell’Impero asburgico. Per celebrare tale ricorrenza, l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna, l’Associazione “Librai in Corso” e la Libreria Hartliebs Bücher, Livres & Libri, hanno organizzato un evento dedicato all’opera dell’autore triestino. L’incontro, svoltosi nell’ambito del Festival della letteratura italiana a Vienna (La Fonte), si è tenuto il 5 marzo presso il teatro Odeon della capitale austriaca. Giunto alla sua seconda edizione, il festival, che ha riscosso un notevole successo sia presso il pubblico italiano che quello austriaco, ha proposto diversi incontri con autori e autrici italiani tra i più interessanti, quali Barbara Cantini, Cristina Cassar Scalia, Donatella Di Cesare, Chiara Gamberale, Daniele Mencarelli, Giovanni Papi, Sandra Petrignani, Guido Tonelli e Ilaria Tuti, citati in ordine alfabetico.

Dedicato al saggio sul mito asburgico e alla figura del suo autore, l’incontro ha visto la partecipazione dello scrittore e giornalista Paolo Di Paolo, coautore insieme a Magris del recente libro Inventarsi una vita. Un dialogo (La nave di Teseo, 2022), della professoressa Renate Lunzer e del sottoscritto. Nel corso dell’evento non ci si è limitati a celebrare l’importanza del saggio, ma si è colta l’occasione per metterne in risalto gli aspetti fondamentali ed evidenziarne lo spirito che ha reso l’opera una chiave di lettura imprescindibile per la comprensione della storia e della cultura asburgica: esaltazione e mitizzazione dell’Impero, della concezione sovranazionale ed universale del potere ad esso collegato; senso di appartenenza e devozione all’Imperatore, garanzia e tutela di una organizzazione statale gerarchica ed efficiente; una decisa inclinazione a mantenere lo status quo e alla conservazione in ambito politico e sociale; ma anche di una concezione gaudente e libertina della vita di cui la città di Vienna era l’emblema.

Si è quindi messo in rilievo come il “mito” abbia stranamente raggiunto il suo apice dopo la fine della Prima guerra mondiale, proprio nel momento della dissoluzione dell’impero, esaltato da scrittori che hanno operato nel periodo successivo al crollo della monarchia asburgica. In altre parole, il mito trova la sua espressione più evidente dopo la caduta dell’Impero, quando alcuni scrittori, come Roth, Werfel e Zweig, confusi e smarriti davanti l’affermarsi dei totalitarismi, guardano con nostalgia al passato e a un mondo che non tornerà mai più.

È evidente, infatti, che quanto più difficile si fa la situazione in Austria e in Europa, tanto più forte diventa il rimpianto per la monarchia asburgica e per società da lei amministrata. Come afferma Magris, la storia del mito asburgico evidenzia «la storia di una cultura che vive la crisi e la trasformazione epocale di tutta una civiltà, non certo soltanto austriaca; una civiltà che, in nome del suo amore per l’ordine, scopre il disordine del mondo» (Magris, Prefazione 1996. Trent’anni dopo, in Il mito asburgico nella letteratura italiana, Einaudi, Torino, 1996, p. 4).

L’opera di Magris non è però solo un appassionato saggio di critica letteraria che ha analizzato i motivi per cui è nato il mito asburgico e di come questo sia stato rappresentato nelle opere di autori come Grillparzer, Roth, Werfel, Musil e Zweig, ma anche un coinvolgente viaggio attraverso l’Europa di mezzo e la sua cultura tra XIX e XX secolo.

Oggi Il mito non rappresenta solo un saggio sulla civiltà danubiana, ma risulta piuttosto esso stesso un’espressione di quella civiltà, nella specifica declinazione della “triestinità” del suo autore. Il libro è, in effetti, un prodotto di quella cultura, influenzato dall’ambiente culturale di certo irredentismo democratico e dalle relazioni intercorse tra Magris e gli intellettuali triestini che a quel mondo appartenevano. Il Mito Absburgico appare così il tentativo di uno studioso, allora molto giovane, di confrontarsi con il proprio retaggio culturale. Ed è in un’intervista concessa a Renate Lunzer, riportata nel capitolo Un amore in controluce. Claudio Magris e l’Austria del libro Irredenti redenti (Lint, 2009), che emerge con tutta evidenza l’importanza del debito di Magris nei confronti di quella generazione: «Sono cresciuto a Trieste tra i vecchi irredentisti democratici, contagiato dalle loro passioni, ma non dimentichiamo che la tradizione illuminata dell’irredentismo – non quella nazionalista di un Ruggero Fauro, ma quella dei Biagio Marin, Scipio Slataper, Giani Stuparich, Guido Devescovi – era rappresentata da una grande generazione triestina che ha vissuto l’irredentismo come profondo senso dell’apertura morale all’Europa, che ha creduto, a torto o a ragione, di dover costruire un’Europa eliminando le potenze del passato, ma che ha tanto amato quel mondo. E guardi, in fondo io ho capito la grandezza dell’Austria tramite gli ex-irredentisti come Marin e Devescovi che erano andati a rischiare la morte per combattere l’Austria; io ho avuto la fortuna di farmi insegnare l’amore per l’Austria dagli ultimi rappresentanti di questa grande stagione irredentista, democratica, poi antifascista, e quindi il loro irredentismo era molto più utile di qualsiasi nostalgia giallo-nera, perché solo la resistenza contro una seduzione è in grado di svelare il suo valore persistente. E questa lezione l’abbiamo imparata proprio dall’Austria, anche Joseph Roth ha detto di poter rimpiangere Francesco Giuseppe solo – sottolineerei questo “solo” – perché da giovane si era ribellato contro di lui, e di poter amare quell’Austria, perché lo aveva educato alla fedeltà attraverso la ribellione […]. Tutt’a un tratto ebbi la sensazione – stavo leggendo, era a Torino, vicino al Po – sì, ebbi la sensazione di qualcosa che non ero in grado di definire… come quando nel bosco si avverte la presenza di un animale… un’intuizione che poi si è precisata concretamente, ma… in quel momento fu una cosa spontanea, davvero inconscia, una parte profonda del mio mondo mitico che avevo dentro di me senza saperlo… Sentivo questa fascinazione che la vecchia Austria esercitava su di me, l’essenza davvero grandiosa di tutto ciò, ma questa fascinazione andava filtrata dalla critica per non degradarla a luogo comune. Per liberare l’Austria dalle incrostazioni della felix Austria dovevo essere rigoroso. Credo che la nostalgia debba essere filtrata dall’ironia e dalla distanza: ogni grande passione rende acuta la vista; l’amore non è cieco ma ci vede benissimo…»

In definitiva, ripensandolo oggi, a sessant’anni dalla sua pubblicazione e osservandolo nella prospettiva di uno studioso del XXI secolo, Il mito asburgico presenta alcuni aspetti che possono essere riletti in chiave di attualità e in ottica europea, come deterrenti a sovranismi e nazionalismi dilaganti, causa di tensioni e conflitti. Tuttavia, se ci chiediamo in quale misura il mito asburgico sia ancora vivo e presente nella Vienna di oggi dobbiamo constatare che la maggior parte degli austriaci lo vive come un sentimento inattuale, se non per quel che riguarda alcune celebrazioni, come il Wiener Opernball e altri “eventi” di analoga ispirazione, che fanno rivivere alcuni aspetti di quell’epoca e del suo mito. Ma è un recupero in chiave nostalgica e folkloristica, un richiamo strumentale ad un passato glorioso che può essere oggi rivenduto in funzione turistica.

 

Claudio Magris

Il mito asburgico nella letteratura

austriaca moderna

Einaudi, Torino 2009

  1. 336, euro 22,00

 

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Claudio Magris