Il poeta predatore

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Saba: una testimonianza e un libro in uscita

di Roberto Curci

 

“Cara, quanto sei cara! Una un po’ viva / bimba, ancor quasi di scuola; ed io forse, / io t’assomiglio un satiro cui morse / il desiderio di te fuggitiva”. Che Umberto Saba, nella nona delle dodici poesie dedicate a Chiaretta ne L’amorosa spina, si dipingesse (con l’attenuante di un “forse”) come un bramoso “satiro” non sorprende certamente i molti che ben sanno quanti versi intrisi di Eros l’ancor giovane poeta, divenuto pure libraio antiquario, dedicò alle fanciulle in fiore, tanto più vagheggiate quanto a lui più vicine poiché commesse nella libreria da poco rilevata al civico 30 di via San Nicolò.

Ed è pure ben noto che fu appunto Chiaretta la prediletta fra tutte, gratificata – oltre che nell’Amorosa spina” – nella Canzonetta 9 (Preludio e canzonette), esplicitamente a lei intitolata (“altre dopo di lei / fanciulle ho conosciute: / non l’uguaglia nessuna”). Si sa altresì che il suo vero nome era Giulia Morpurgo, nata a Trieste il 22 ottobre del 1903, figlia di Emanuele Morpurgo e di Sofia Castelnuovo. Entrambi i genitori erano morti, il padre nel 1915, la madre nel 1918, sicché fu un’orfanella diciassettenne quella che accese il desiderio di Saba (“giovanetta / tu dai limpidi seni”) nel solo anno in cui fu al servizio del poeta-libraio.

Vi restò ben poco, dunque: dal settembre del 1920 al settembre del 1921. In tempo per essere ironicamente “cantata” da Virgilio Giotti nella sua I petorai (in Caprizzi e canzonete): “La se còmodi, avanti, / signorina Giulietta: / cara siora spuzzeta / la staremo a vardar”.

E poi? Non granché si sa della sua esistenza, salvo il fatto che si sposò nel 1935 con un amministratore di stabili (cattolico; lei era ovviamente ebrea), che ebbe – tardivamente – due figli destinati ad assai brillanti carriere in ambito culturale, e che con loro si trasferì infine, e per sempre, a Roma.

Oggi l’ottantenne figlio superstite, scienziato illustre e a sua volta intrigante poeta, testimonia senza remore della ragione per cui Chiaretta, dal “corpicciolo di monelluccia”, ebbe vita assai breve nella libreria. Se ne scappò, semplicemente, per sottrarsi alla corte assillante del poeta, alle insidie del “satiro” che la inseguiva (“sapesse / che le farei; / sol che amore in mia mano la mettesse / povera lei!”). E dunque davvero Giulia Morpurgo fu “fuggitiva”, come suona il verso dell’Amorosa spina.

Tra il 1920 di Cose leggere e vaganti e il 1925 di Fanciulle si situano dunque le brame di un giovane uomo che solo l’altezza della sua poesia riscatterà, ma che proprio nel finale di Fanciulle non esita a proclamare: “Io non credo alla donna” e “Oh come invece / l’amo ancora fanciulla!”. Prima di Chiaretta, si sa, nella libreria c’era stata Paolina “dagli occhi di sogno”; dopo di lei ci saranno le sorelle Frankel, Margherita (Rita) e Malvina, con Saba imparentate alla lontana. Ma a loro andrà peggio. Si uccideranno con l’acido fenico, a due mesi di distanza, tra l’aprile e il giugno del 1922: Margherita a ventidue anni, Malvina (che si meriterà anch’essa una delle poesie di Fanciulle) a ventuno.

A chi ha riflettuto sulla tragica sequenza, ne ha scritto e oggi ci riflette ancora qui, il solo fatto di aver in qualche misura collegato il suicidio delle due sorelle alla loro breve esperienza nella ben nota libreria (cfr. Via San Nicolò 30, il Mulino, 2015) ha causato le sdegnate rampogne dei tanti idolatri di Saba, incapaci di distinguere l’uomo con le sue accensioni e fragilità dal poeta con le sue accensioni e sublimazioni.

Farà auspicabilmente giustizia un libro a doppia firma, lungamente meditato da due acuti studiosi-ricercatori e la cui uscita è prevista per quest’autunno (se è lecito azzardare previsioni nei tempi cupi che si stanno vivendo). Fornirà le prove provate e documentate del “misterioso”, doppio suicidio: ovvero avallerà il già sospettabile fatto che entrambe le giovani furono effettivamente oggetto, a loro volta, delle erotiche molestie del loro datore di lavoro e ne furono irreparabilmente devastate.

A conferma – senza più scandalo di alcuno, si confida – che un Grande Poeta può essere anche un piccolo uomo. Perfino, si direbbe oggi, uno stalker seriale.