Il Salone d’Autunno dell’arte triestina

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Scivolata quest’anno nell’inverno la XII rassegna

di Enzo Santese

 

La cadenza slitta quest’anno dall’autunno al pieno inverno, ma nulla toglie al fascino del Salone che, giunto alla dodicesima edizione, riapre una schermata ampia e articolata su gran parte di tutto ciò che si muove nel panorama variegato delle esperienze pittoriche, scultoree e multimediali in un’area che ha Trieste come centro e apre circuiti di conoscenza sulla Slovenia, sulla Croazia e sull’Isontino. In un tempo come questo, in cui da molte parti si levano grida di dolore per un mercato asfittico (ancora in difficoltà anche per ragioni che esulano dallo specifico e investono le condizioni economiche generali), il fervore creativo che si nota nel lavoro di moltissimi operatori del settore attrae i cultori della materia e gli appassionati in un mondo brulicante di sollecitazioni e denso di rilievi d’umanità; questi spesso divaricano fortissimamente dalle vicende che – ahimè – le cronache quotidiane ogni giorno ci prospettano in termini di chiusura, di egoismi, di patine superficiali atte a nascondere la polvere di malumori persistenti. L’edizione di quest’anno, ospitata nella rinnovata sala del Giubileo, mette in mostra per la prima volta nella medesima situazione espositiva anche la sezione dei giovani, che è auspicabile trovi sempre più numerosi aspiranti a “dialogare” nella grande vetrina del Salone.

I partecipanti all’edizione 2019 danno vita a un ideale mosaico dove le diverse tessere rivelano che le modalità espressive tradizionali coesistono in interessante rapporto dialettico con una figurazione allusiva, a volte ai margini dell’astrazione, in altri casi sospinta nei territori dell’elaborazione lirica; il tono evocativo cede il passo in qualche caso alla riproduzione “fotografica” della realtà; alcune prove poi rivelano nella ridotta tensione significante, il piacere esclusivo dell’autore a realizzare “cose” con intento puramente ricreativo.

Per quanto riguarda le peculiarità invece, la compagine viaggia su molteplici direttrici stilistiche e formali, in una gamma che dall’astrazione di impronta spazialista va immagini di tono surreale, dalla costruzione metaforica alla superficie risonante di sfumature simboliche. Diversi sono i nomi che ricorrono sovente nelle varie edizioni, segno di un’apprezzabile affezione per il Salone che è anche stimolo a sviluppare la ricerca personale. Il fatto che diverse personalità non siano nuove a questa platea consente pure una valutazione sulla gradualità di svolgimento della loro arte; la partecipazione in alcuni casi è sentita come un obiettivo a cui far tendere il proprio lavoro di scandaglio della superficie, di combinazione tra la forma e l’impasto cromatico, di connessione tra le motivazioni interne e il loro sviluppo speculare sul piano e nella tridimensione.

La pittura a volte è interpretata in un gioco di fervente matericità, dove il colore è luce che tutto coinvolge modulandosi per luminosità cangianti, avviluppi di segni, sovrapposizioni multiple di impasto cromatico, capace di dare corpo a un’opera ricca di umori. La superficie è una sorta di spazio di restituzione, dove l’individuazione del sé avviene attraverso la traduzione visiva di emozioni, pensieri, scatti emotivi. Da questo punto di vista la struttura dell’opera è stratificata, composta per susseguenti stesure che alternano zone di densa e impenetrabile materia pittorica a porzioni indicatrici di profondità, a condizioni di trasparenza.

In mezzo al gran numero di presenze si nota una decisa variegazione di tono, di qualità e di sostanza pensante; meritano comunque una breve citazione alcuni artisti che indubbiamente confermano il possesso di una personalità che li rende subito riconoscibili.

Franco Rosso mostra una particolare predilezione per costruzioni spaziali che poggiano sul rigore della geometria, mossa peraltro in un contesto cromatico dove il confronto dei colori, usati saggiamente in una gamma ristretta, rende dinamico il senso della composizione invitando l’osservatore a un “oltre”, suggerito anche dalla logica dei titoli. In aggiunta al lavoro specifico del pittore, a Rosso va il pregio di organizzare ogni anno con assoluta perseveranza il Salone, così come previsto dal testimone lasciatogli meritoriamente da Dante Pisani una decina di anni fa.

Nell’opera di Franca Batich la traiettoria della storia si incrocia con la capacità verticale della memoria e in questa convergenza si dispiega gran parte della riflessione dell’artista, protesa a ricercare nel mondo esterno motivi di corrispondenza con la propria interiorità, in superfici dove segno, colore e rilievo fanno pulsare l’invito alla profondità.

Gabry Benci sa governare la raffinatezza del tratto e del gesto in composizioni dove la trama dei segni traccia un impianto a volte labirintico, che si apre improvvisamente a profondità di luce intensa. Nella poetica dell’artista è evidente la confidenza con i segreti del disegno conquistati nell’attività incisoria praticata da anni con risultati di alto livello. Patrizia Bigarella esprime la forza di una figurazione poetica in colori di bassa tonalità, emergenti con delicata serie di effetti dalla superficie di cartapesta, creata appositamente per l’evento pittorico.

Raffaella Busdon fa ruotare attorno alla figura umana tutta una serie di opzioni interpretative, che danno all’osservatore ampia possibilità di intercettare le frequenze concettuali più interne all’opera, dove l’attenzione alle problematiche dell’esistenza si coniugano con una bella disposizione allo scavo psicologico.

Paolo Cervi Kervischer dal disegno parte per ritornare al disegno in una seducente avventura intellettuale e artistica con i corpi che, lungi dal rappresentare meramente la fisicità, sono involucri in cui risuona l’armonia della mente e il senso di un’interiorità sommossa da mille sollecitazioni; l’anima nelle sue varie modulazioni è dunque il terreno di continua scoperta dell’artista, impegnato a creare nella superficie un varco tra quanto è dicibile nella realtà e quanto è ineffabile nello spirito.

L’opera di Enea Chersicola è sempre l’esito di un pensiero che inarca un ponte tra il momento del progetto e quello della creazione artistica e da qui direttamente all’osservatore, che ha molteplici possibilità di entrare nella logica significante del quadro dipinto; la figurazione vive su diversi apporti che strutturano una complessa dotazione linguistico-espressiva.

Francesco Demundo dentro la cifra divertita dell’intervento ludico inserisce la volontà di rivestire il desueto con i colori e le forme della contemporaneità; la poetica lo impegna in una ricerca preventiva di oggetti di rifiuto che nelle sue mani rinascono a nuova vita, accorpando in sé tensione creativa e ingrediente ironico e satirico.

La presenza di Enzo E. Mari nello scenario dell’arte a Trieste è stata sempre contrassegnata da un scatto deciso nella ricerca di nuove forme, capaci di tradurre l’idea dell’artista di fronte ai problemi più scottanti dell’attualità, innanzitutto quello del rispetto dell’ambiente. I risultati con cui ha fatto sentire forte la sua voce sono stati sempre improntati a un’esigenza di raffinatezza, dalla quale emergesse con più forza il suo grido. L’opera in mostra conferma la coerenza di questo suo discorso.

La pittura e la scultura di Mauro Martoriati rivelano una lunga consuetudine con la sperimentazione di forme che viaggiano dallo spazio di una decisa leggibilità a quello di un’allusività al limite dell’indistinto, che si fa puro ritmo di superficie. Questa è una delle categorie concettuali che impegnano l’artista nella più recente fase della sua ricerca, aperta a esiti molto diversi pur all’interno di una precisa linea di coerenza.

Bruno Paladin si colloca da tempo ai vertici del panorama artistico in Croazia, ma in genere in tutta la penisola balcanica; l’artista, che si muove con disinvoltura fra pittura, scultura, installazione e incisione, lavora sul valore del simbolo, che si quantifica di volta in volta in immagini costruite per assemblaggio di frammenti, dentro un’atmosfera di sferzante ironia. E il gusto della scoperta con i materiali più vari arricchisce la messe di acquisizioni nei suoi interventi sul piano e nella tridimensione.

Claudio Palcich è uno dei punti di riferimento di ogni indagine sulle peculiarità della ricerca artistica a Trieste fin dalla metà del secolo scorso; la sua vena creativa, attenta ai sussulti del mondo attuale, si colloca sul crinale di una figurazione sospinta a una metamorfosi vicina al territorio dell’astrazione. Qui la poesia del reale traduce con semplicità d’esecuzione le linee del suo pensiero.

L’arte di Caroll Rosso Cicogna si nutre profondamente di una cultura della tradizione iconografica, che sa interpretare alla luce di una fine sensibilità e ricreare in contesti di affascinante connessione con le frequenze di una contemporaneità, capace di ridurre al massimo le distanze tra passato e presente nei temi trattati; il tutto lungo un tragitto concettuale arricchito da tecnica raffinatissima.

Claudia Raza attraversa con lo sguardo i territori della fisicità intorno a lei e li combina con il dato di fantasie che conferiscono all’opera la leggerezza del pensiero, dentro situazioni dove la trasparenza e la luce giocano un ruolo primario. Mentre il segno e il gesto danno vita alla griglia di evidenze su cui l’impianto cromatico esprime la sua energia comunicativa.

L’opera di Claudio Sivini conferma una vena sperimentale che sulla luce ha imbastito un progetto arrivato fino ad oggi per via di successive acquisizioni, utili a focalizzare una personalità perfettamente riconoscibile. Il che è favorito anche dal fatto che l’artista percorre da tempo una strada di assoluta originalità di proposte.

Adriano Stock affida alla carta e alla tela la visione di affioramenti “calcarei” che strutturano visioni di articolate alternanze chiaroscurali, riportate sulla superficie o sulla tridimensione come emblemi di una sensibilità continuamente sollecitata dal contatto pieno con la contemporaneità. L’opera esprime tutta intera la cura dell’artista nel far emergere il significato portante nella raffinatezza del manufatto.

Franco Vecchiet, maestro di vari artisti che oggi su quelle basi hanno innestato il segno della loro originalità, è un generoso creatore di sempre nuove soluzioni che possono inglobare oltre alla pittura tensioni scultoree e slanci installativi. Il mondo poetico dell’artista vive su molteplici nuclei propulsivi di una ricerca generosa di soluzioni nella forma e nel contenuto.

Villibossi è tra gli artisti che meglio si sono distinti anche sullo scenario internazionale (dove è presente in diversi simposi di grande caratura) per una vena creativa che muove da una conoscenza profonda delle potenzialità di resa dei materiali utilizzati. Questo gli consente di mettere al servizio della vocazione artistica un esteso repertorio di requisiti tecnici.

Fulvia Zudič, infine, nel tragitto fra Sicciole e Pirano cattura quelle atmosfere che poi sa consegnare alla superficie pittorica, ricca di suggestioni nella declinazione della realtà in esiti d’arte sempre differenti; diversi sono anche gli stati d’animo con cui si accosta alle varie forme della realtà istriana, di cui canta l’essenza senza mai scadere nella retorica.

 

Didascalie immagini:

 

Foto 1:

CLAUDIO PALCICH

Homo vitruvianus

tecnica mista su tela, 2016

 

Foto 2:

 

ADRIANO STOK

Mario-netta

assemblaggio, 2018