Il “signor Tartini”

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Intervista a Sandro Torlontano, direttore del Conservatorio “Giuseppe Tartini” di Trieste

di Gabriella Ziani

 

Nel cuore dell’antico palazzo attraversato dall’eco spezzata di esercizi musicali c’è una stanza piccolina e magica. Il suo segreto verrà svelato con l’inaugurazione il 7 aprile, dopo due anni di attesa causa Covid. In quel “cofanetto” con pareti azzurre arricchite di borchie dorate, di fronte a una maestosa stufa in maiolica bianca, si staglia un mobile a vetrina rotondo che contiene la maschera mortuaria in cera di Giuseppe Tartini, fatta fare «per un prezzo esorbitante» da un allievo del grande violinista di Pirano, morto nel 1770 e a cui il Conservatorio di Trieste è intitolato. Attorno al funebre cimelio, il suo archetto, la busta di stoffa del suo violino e ponticelli e altri accorgimenti tecnici inventati dal compositore, mentre un adiacente mobile-espositore ospita suoi libri e spartiti, che adesso – con il rinnovamento del sito Internet istituzionale – saranno disponibili anche virtualmente in una “gallery”  già oggi in parte accessibili su discovertartini.eu. . La raccolta ha una storia lunga e affascinante di proprietà, cessioni, vendite, donazioni e attestazioni di autenticità, ed è arrivata al Tartini nel 1903, anno di fondazione dell’allora Liceo musicale (è Conservatorio statale dal 1953).

Ma non è la sola sorpresa, quando si entra nel gran palazzo antico di via Ghega, perché passato e futuro si intrecciano in modo evidente. Ecco lì due studenti appena reduci  dall’Expo di Dubai: Kristian Marusic era stato selezionato tra 57 allievi di canto dei Conservatori italiani, mentre Sara Brumat col suo flauto si è esibita con l’Orchestra riunita dei Conservatori. Da qualche parte invece lavora il software Lola, con cui si può far musica assieme a distanze intercontinentali con perfetta sincronia di suono, e (progetto Swing) organizzare masterclass con partner di ogni luogo e paese. L’internazionalizzazione però non è solo virtuale: il Tartini è primo in Italia per quantità di progetti Erasmus e ha oltre il 10% di allievi stranieri.

Dal 2021 a dirigere “l’orchestra” è Sandro Torlontano, 58 anni, già docente a Napoli, Foggia e Venezia, chitarrista di fama internazionale (ha suonato in Germania, Francia, Spagna, Svizzera, Portogallo, Turchia, Danimarca, Lettonia, Stati Uniti, e con l’orchestra dell’Accademia di Santa Cecilia è stato diretto da Myung- Whun Chung, Daniele Gatti, Luis Bacalov). È stata la musica a portarlo avanti nella vita, anche a trovar moglie, e infine a Trieste – quasi un destino.

 

Direttore, origini abruzzesi, famiglia di musicisti, andiamo in dettaglio?

La mia famiglia nasce in Francia, poi si trasferì in Abruzzo e nell’800 il cognome fu italianizzato, praticamente tutti i Torlontano sono a Pescara e sono tutti parenti. Io in realtà sono nato a Ortona a mare, perché mamma per il parto voleva aver vicina la propria famiglia, i nonni materni sono di Ortona. Patria, peraltro, di Francesco Paolo Tosti, il celebre autore di romanze.

 

E già c’era musica in culla. Ma poi?

Mio padre era un appassionato, ci ha spinti a studiare. Mio fratello maggiore è pianista, il secondo è stato primo corno al San Carlo di Napoli e ha suonato in Rai e con grandi orchestre, e io che sono il più piccolo sono stato invogliato a seguire la loro stessa strada. È stato subito fuoco. Che non si è mai spento, anzi si è continuamente alimentato.

 

Ma perché chitarra classica, poco presente in concerti e orchestre?

Un caso. Primo, per distinguermi dai fratelli, e poi perché a Pescara c’era un grandissimo maestro, Bruno Battisti D’Amario, chitarrista con Morricone. Quando si è trasferito al Conservatorio di Napoli l’ho seguito, e con lui, un vero secondo padre per me, mi sono diplomato. Se penso al Conservatorio di Napoli! Traspira musica da tutti i mattoni, ha un chiostro meraviglioso, una biblioteca ricchissima, c’è un’”aria di musica” inenarrabile. Della chitarra mi sono subito innamorato, un amore enorme, e le devo tanto: la carriera mi ha dato tantissime soddisfazioni, ho conosciuto molte persone, ho girato l’Europa e il mondo…

 

E prima di tutto si è perfezionato a Parigi.

Ma prima ancora ho avuto due eccellenti maestri in Spagna (uno era l’assistente di Segovia), e poi sì: l’École Normale de Musique “Alfred Cortot” di Parigi, che si potrebbe paragonare alle nostre accademia di Imola, di Fiesole, alla Chigiana, luoghi di alta specializzazione. Il diploma consisteva in un vero concorso, eliminatorie, semifinali e finali. Un’esperienza bellissima, e coi miei colleghi è rimasto un legame di amicizia indissolubile, le passioni comuni uniscono.

 

Poi concerti in tutta Europa, ma l’America?

Ah, il Festival di musica classica di Newport, ci sono andato una volta e mi hanno richiamato per altri quattro anni. Raduna artisti da tutto il mondo, che appena lì si conoscono e cominciano a suonare insieme. Mi ha colpito molto l’organizzazione davvero maniacale degli americani, magari in pantaloncini corti e scarpe da ginnastica, senza fronzoli, ma perfetti. Newport, poi, è un posto straordinario. Pieno di ville “da ricchi”. Anzi, da “billionaire”. Ho conosciuto perfino la signora Firestone, sì, quelli degli pneumatici…

 

Infine è approdato all’insegnamento, e così di passo in passo a Trieste.

Ormai ho trent’anni di docenza alle spalle, ho cominciato prestissimo, a 19 anni ero già diplomato. Il primo incarico è stato proprio al “San Pietro a Majella” di Napoli, poi a Foggia  dove ho trovato un livello altissimo negli studenti, quindi al “Benedetto Marcello” di Venezia. L’arrivo a Trieste dipende dal fatto che ho una moglie serbo-croata, conosciuta durante un concerto in Abruzzo, a Chieti. Lei è violinista. Papà serbo, mamma croata, grandi legami proprio con la Croazia, e per questioni logistiche (proprietà che i nonni le hanno lasciato a Zagabria, Lubiana…) abbiamo deciso di venire a vivere qui, tredici anni fa. Mia figlia aveva nove mesi, mio figlio due anni: ormai sono dei “muli” triestini. Ma la circostanza strana è che a Trieste c’ero già stato, qui ho fatto il concorso per il ruolo nel 1992: ogni città doveva ospitare l’esame per uno strumento, e la chitarra è capitata a Trieste. Tornare poi proprio a Trieste… un segno, un destino.

 

E come ci si trova?

Benissimo! Qualità della vita altissima, un concentrato di tradizioni, genti molto diverse perfettamente integrate, non sembra neanche una città del Nord, dovrebbe fare da modello per come vanno vissute le differenze culturali, un “vivi e lascia vivere” che è un grande traguardo per una comunità.

 

Dunque lei vinse il concorso, ma oggi se ne fanno?

No. Il mio fu l’ultimo. È da trent’anni che non c’è un concorso. Si attinge a graduatorie, che il ministero aggiorna ogni anno, o triennio. E in graduatoria sono tanti, in questi ultimi tempi c’è stato un grande ricambio generazionale, anche da noi, ma va detto che le nuove generazioni sono molto preparate, fanno studi approfonditi, hanno più facilità di movimento, vanno all’estero.

 

Appunto, all’estero come fanno?

Concorsi. Ogni nuova classe di strumento che si apre è assegnata per concorso.

 

Voi invece all’estero mandate studenti e docenti.

Merito dei miei predecessori che hanno fatto un lavoro incantevole. Per vocazione culturale, per posizione geografica, noi siamo i primi in Italia per movimento all’estero. I professori vanno per brevi masterclass, io stesso sono stato a Riga, Copenaghen, Pamplona, Lisbona e in Austria. Si capisce, così, come è gestita altrove l’offerta formativa rispetto ai docenti, e come è assorbita dagli studenti.

 

Mentre, in Italia, com’è?

Devo dire che, pur con tutti i suoi difetti, l’Italia casca sempre in piedi. Il nostro livello è di prestigio, gli studenti sono di altissimo livello. Ma la cosa importante è la formazione musicale, il Conservatorio è solo la punta dell’iceberg. Se la punta spicca, vuol dire che ci sono una struttura, una organizzazione,  una economia di base di spessore. Da noi la riforma che ha equiparato i Conservatori alle Università ha dato una grossa spinta, ma si è sottovalutato l’anello precedente, le scuole medie e licei musicali, partiti in ritardo, con difficoltà. Noi abbiamo stretto una convenzione anche col liceo musicale “Carducci” per monitorare i percorsi, abbiamo rapporti con l’Ufficio scolastico regionale e con le scuole di musica private. Da noi gli allievi devono arrivare preparati, il lavoro grosso si fa sul territorio.

 

Com’è il bilancio degli allievi? Scorrendo i report si scoprono iscritti da una ventina di paesi diversi.

Gli studenti sono 700 per quasi 90 docenti. Il 60-70% frequenta il ciclo universitario (triennio e biennio), quindi sono di qualità elevata (poi ci sono i corsi propedeutici). Gli stranieri sono tanti anche perché per l’area balcanica siamo molto attrattivi. Altri vengono da più lontano con l’Erasmus, si trovano bene e tornano a iscriversi. Trovano la convenzione con l’Ardiss, usufruiscono della Casa dello studente, della mensa, hanno borse di studio. E questo conta molto. Cosa particolare:  in questi anni di Covid gli iscritti sono aumentati del 30%.

 

Avete posto per tutti?

Per l’insegnamento non ci sono problemi. Il guaio è che continuano a mancare spazi per i giovani stranieri, una sessantina, che hanno necessità di esercitarsi in Conservatorio. Fanno i turni. Ma per il pianoforte che cosa sono due ore alla volta…? Non vogliamo cambiare sede. Ci basterebbe una succursale.

 

E l’ormai antico problema della climatizzazione mancante?

Manca ancora, adesso però abbiamo i fondi. La Regione ha stanziato 1,5 milioni. Ma non siamo noi a poter indire la gara d’appalto, deve farlo il Comune. Abbiamo già firmato tutte le carte. Ora non ci resta che aspettare, e sperare. Da maggio in poi, al piano alto specialmente, il caldo è invivibile…

 

Col Covid che cosa avete fatto? La musica in Dad?

Solo nel periodo del lockdown. Per restare vicini ai ragazzi, anche e soprattutto dal punto di vista psicologico. È stata molto dura per loro: non poter suonare! Un musicista senza pubblico è come una nave senza mare.

 

Bella metafora.

Da ragazzino ho assistito con mio padre a un varo, ho visto il pianto emozionato di tutte le maestranze. Hai fatto tutti i calcoli, magari sai che sono giusti, ma finché la nave non entra in acqua non ne hai la prova. Così con la musica: studi cento e cento ore, ma la tua navigazione inizia solo col pubblico.

 

Regione piccola, due conservatori, in Fvg è tutto doppio. Non vi fate concorrenza col Tomadini di Udine?

No, qui c’è una grande sete di cultura. Anzi abbiamo fatto una convenzione con il teatro Giovanni da Udine per cui i nostri ragazzi hanno lavorato come maestri accompagnatori per Le nozze di Figaro andato in scena questo mese. Hanno proprio messo su l’opera, un lavoro sul campo che vale crediti formativi. Invece col Verdi di Trieste abbiamo fatto l’anno scorso, a teatro chiuso per ragioni sanitarie, un concerto con 5-6 nostri solisti e l’orchestra, che poi è stato trasmesso in tv. Una grandissima opportunità.

 

Abbiamo visto molti “concerti del mercoledì” aperti al pubblico. Questi studenti son già dei concertisti, e vincono premi importanti.

Vero, molti lo sono. Questa iniziativa, un’offerta gratuita per la cittadinanza, è tra l’altro per noi a costo zero: suonano docenti, allievi e insegnanti stranieri in Erasmus a Trieste.

 

A proposito di soldi, finanziamento statale e regionale: sufficienti?

Sì, siamo a posto. Questa Regione va ringraziata per l’importo che destina e per il sostegno. Si vede che cultura e istruzione sono temi sentiti, con orgoglio.

 

Che cosa occorre essenzialmente per una carriera da concertista?

Talento innato, e grande, grandissimo lavoro. Segovia diceva il 90% di lavoro, il 10% di talento. Forse esagerava, ma non troppo. Il resto è un’alchimia di tante cose: occasioni, fortuna, gli incontri giusti al momento giusto. Il saper reggere quella vita, che è di grande sacrificio, per esempio se uno vuole famiglia.

 

Domanda da analfabeti: come fa il musicista a imparare a memoria interi complicatissimi repertori?

Deve esserci predisposizione naturale, e poi ognuno ha il suo modo. Io mi suonavo i brani con la mente, ripassando lo spartito, è una questione di orecchio, di metodo, di abitudine a farlo. Molti insegnanti abituano già i piccoli a suonare a memoria.

 

E dopo tanta musica, eccola qui da direttore.

Io non ci pensavo per nulla, ero perfettamente appagato e felice dell’insegnamento. Poi al momento delle elezioni un candidato si è fatto indietro, hanno chiesto a me…

 

Ed è stato quasi un plebiscito. Come ha convinto i colleghi?

È vero, sono stato eletto al primo turno con la metà più uno degli aventi diritto al voto, e i candidati erano ben cinque, sembrava impossibile… Io credo, detto in tutta modestia, che in me abbiano visto una persona pulita, piena di entusiasmo, con tanti progetti: aprirsi al territorio, istituire master e dottorati, ampliare l’internazionalizzazione, e puntare moltissimo sul benessere degli studenti, affinché possano esprimersi al meglio. Il cuore pulsante di tutto è lo studente.

 

Qual è il suo compositore preferito?

Per la chitarra sono Rodrigo e Villa Lobos. In generale invece Bach e Bach. Non esiste nulla che sia  paragonabile a Bach. Bach è il dio.

 

Il direttore Sandro Torlontano con la sua chitarra