Il sonno della ragione

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«El sueño de la razón produce monstruos (Il sonno della ragione genera mostri)» scriveva Francisco Goya nel cartiglio dell’acquaforte-acquatinta forse più nota dei suoi Capricci, che abbiamo scelto per illustrare la copertina di questo numero, il primo pensato e realizzato mentre un’altra guerra insanguina l’Europa. La nostra scelta, assai più che da una motivazione estetica, è stata dettata dall’esigenza di rinvenire un livello minimo di razionalità che ci aiuti a comprendere l’incomprensibile che si annida in questa come in ogni altra guerra. Per contrastare, per quanto si può, il sonno della ragione, che non è soltanto quello nelle menti drammaticamente intorpidite di chi ha ritenuto opportuno dar fuoco alle polveri invadendo uno stato sovrano, ma anche quello che esige una rigorosa semplificazione, un dualismo perfetto di bene e male, senza che sia possibile varcare dialetticamente il confine militarizzato di una visione della realtà forzosamente imposta e propagandata, da una parte e dall’altra.

Ferma restando la riprovazione più totale per l’aggressione manu militari di una superpotenza nucleare nei confronti di un più piccolo paese limitrofo, il raccapriccio per le stragi di civili, per i bombardamenti, per gli assedi alle città, la pietà per i caduti di entrambe le parti in conflitto, non dobbiamo dismettere le armi del discernimento, nell’analisi di quanto è accaduto come nell’individuazione delle vie più adeguate ad uscire quanto prima dalla tragedia che quotidianamente sta vivendo un popolo che, come ogni altro, non la merita. Senza consentire di bollare come oggettivi fiancheggiatori del nemico tutti coloro che, su ognuno dei quesiti che si impongono nel convulso dibattito di questi giorni, esprimono un parere dissonante da quello di autentiche o supposte maggioranze.

A titolo di esempio, pur essendo favorevoli alla cessione di armi ai belligeranti ucraini, non dovremmo riconoscere pari dignità alla tesi di chi sostiene l’opportunità di un embargo erga omnes che impedisca tale cessione? Sia che si tratti dei più intransigenti movimenti pacifisti come pure di autorità morali difficilmente iscrivibili alla cerchia di succubi del Cremlino, come quella di papa Francesco?

Quando giustamente affermiamo il diritto di ognuno di esprimersi – e di studiare – nella propria lingua madre, riteniamo forse che ciò sia valido per la comunità di lingua germanica o slovena in Italia o per quelle italiane dell’Istria slovena e croata, ma che non sussista invece come diritto per quelle russofone dell’Ucraina?

Naturalmente la complessità di questo disgraziato presente che stiamo vivendo con angoscia e preoccupazione richiede, al contrario di quanto pensano gli apologeti del “con noi o con loro”, ponderazione e non azione immediata, razionalità e non istinto, pensiero e non emotività. Perché la politica è pensiero, al contrario del nazionalismo, che affonda le sue radici in un humus pre-razionale, mentre i suoi frutti avvelenati li abbiamo conosciuti per oltre un secolo di storia europea e mondiale e torniamo a riconoscere oggi nell’orrore che si manifesta a pochi chilometri dalle nostre case.

Riconoscere l’evidenza della complessità della crisi che stiamo affrontando da poco più di un mese dovrebbe risolverci a non istituire una “caccia alle streghe” ai danni di quanti in buona fede sostengono opinioni diverse da quelle manichee e assolutiste che sembrano andare per la maggiore anche nei Paesi che si ritengono – e sono – la parte di più avanzata democrazia di questo nostro continente ferito e lacerato.

Anche finisse domattina l’oscena campagna militare ai danni dell’Ucraina, sappiamo che dovremo tutti, noi compresi, pagarne le conseguenze economiche, politiche e culturali per molti anni a venire: cerchiamo almeno di mantenere vigile e insonne la nostra ragione perché dal suo assopirsi non siano generati altri mostri.