Il terzetto italiano di Cannes

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di Alan Viezzoli

 

Tra i film migliori del concorso del 76ª festival di Cannes che ho citato nell’articolo qui a lato ho volutamente omesso i tre titoli italiani così da poterli trattare in maniera più dettagliata in questo approfondimento.

Comincio col dire che due di essi erano assolutamente degni della Palma d’oro, il maggior premio del festival, e che personalmente considero Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti in assoluto il miglior film di “Cannes 2023”, tanto da essere tornato a vederlo durante il festival nonostante lo avessi già visto in Italia prima della partenza (per chi non lo sapesse, il regolamento prevede che un film possa uscire in sala nei trenta giorni che precedono la prima ufficiale a Cannes ma esclusivamente nel Paese in cui è prodotto).

De Il sol dell’avvenire ne ha già parlato Stefano Crisafulli sul numero scorso de Il Ponte rosso perciò vi rimando a quell’articolo per un’analisi più approfondita della pellicola. Io mi limito a dire che è stato bellissimo vedere un film così magnifico e potente, che critica il fare Cinema – non solo quello di Netflix, in una delle scene più iconiche e divertenti degli ultimi anni, ma anche quello di Moretti stesso, colto e raffinato però al contempo pieno di (auto)citazioni e di idiosincrasie – in un Paese dove il “problema Netflix” è estremamente sentito, nella sala più grande del festival gremita di gente. Ascoltare le risate e i battimani esattamente nei momenti attesi, quelli in cui in una visione collettiva non può non scattare l’applauso, è estremamente appagante.

Marco Bellocchio torna a Cannes dopo l’enorme successo ottenuto l’anno scorso con il film/serie TV Esterno notte passato per intero nella sezione “Cannes Première”. Rapito è la storia di Edgardo Mortara, un bambino ebreo che nel 1851 viene strappato dalla propria famiglia a Bologna e condotto in un collegio romano perché qualcuno ha informato il capo della Santa Inquisizione che il ragazzino è stato battezzato diversi anni prima all’insaputa dei genitori. Guardando il film si percepisce l’urgenza di Bellocchio di raccontare questa storia, trattata dal regista quasi come se fosse un thriller. L’uso delle musiche, il contrasto continuo tra la luce e l’ombra, il ritmo che scandisce il film dalla prima all’ultima inquadratura sono più tipiche di un film d’azione rispetto a un biografico. Bellocchio, forte della narrazione usata in Esterno notte per creare tensione all’interno di ogni singola puntata e per arrivare alla fine di esse con un cliffhanger, trasporta anche in questo suo nuovo lavoro lo stesso espediente narrativo. Ciò gli consente di realizzare un film forte e profondamente critico nei confronti di una Chiesa che, evidentemente, non riesce a perdonare.

Il terzo titolo italiano in concorso è La chimera di Alice Rohrwacher. Il film, opera quarta della regista dopo i fortunati Corpo celeste, Le meraviglie e Lazzaro felice, racconta la storia di un giovane archeologo inglese che si unisce a un gruppo di tombaroli tosco-laziali aiutandoli a trovare delle catacombe etrusche da razziare. Scritto dalla stessa Rohrwacher, il film è una sorta di fiaba ambientata nell’Italia degli Anni ’80 in cui l’ingenuo e sognante archeologo inglese, che crede nella bellezza artistica dei reperti che trova, si scontra con la pragmatica realtà materiale dei tombaroli nostrani, interessati solo al denaro che i corredi etruschi possono fruttare loro. A Cannes Alice Rohrwacher ha dichiarato di aver voluto fare un film lontano dalle logiche commerciali delle major – e, va detto, ci è riuscita in pieno perché La chimera è estremamente onirico e, a tratti, decisamente sperimentale. Pur avendo delle buone intenzioni, specialmente nel cercare nel presente gli elementi tipicamente matriarcali della cultura etrusca, non tutto funziona sempre come dovrebbe. Ciononostante il film non sfigura nel concorso in cui è stato inserito e avrebbe potuto anche ambire a qualche premio.