Illustrare l’illustre poeta

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La Commedia: una sfida a tradurre in immagini le terzine di Dante (parte seconda)

di Walter Chiereghin

 

Quando Dante era ancora in vita, iniziarono a serpeggiare più o meno velate polemiche circa la sua scelta di adoperare il volgare per portare a compimento la sua opera maggiore (e anche, del resto, le sue liriche, per quanto raffinate), quando si riteneva il latino l’unica lingua legittimamente adatta ad agire letterariamente su un piano tragico o epico, idea in seguito ribadita e rafforzata con l’affermarsi dell’Umanesimo e, per di più, con il diffondersi della circolazione di antichi testi in greco. L’opera di Dante, negli ambienti letterari, fu collocata in secondo piano dopo che, nel 1525, Pietro Bembo pubblicò il suo saggio Prose della volgar lingua, che assegnava a Petrarca per la lirica e al Boccaccio minore per la prosa il ruolo di modelli per chiunque scrivesse in volgare. Le indicazioni del Bembo furono tenute in alta considerazione per più di due secoli, il che – se da un lato frenò alquanto al diffusione della Commedia – non impedì che ad essa si riferissero importanti e celebrati autori (Machiavelli, Ariosto e Tasso tra gli altri) e, per quel che riguarda le arti figurative, alcuni tra i maestri del Rinascimento italiano, assieme naturalmente a uno stuolo di minori, alcuni tra i quali si esercitarono ancora, prima dell’avvento della stampa a caratteri mobili, nella miniatura dei codici manoscritti.

Tra questi, è arrivato fino a noi, il lavoro del ferrarese Guglielmo Giraldi (attivo dal 1441 al 1496), illustratore di una Commedia commissionatagli dal duca di Urbino Federico da Montefeltro, alla cui esecuzione attese, con aiuti, dal 1477 al 1478, illustrando i frontespizi delle prime due cantiche e quasi tutte le miniature che le corredano. Pur discostandosi non poco dal dettato dantesco, le immagini proposte nel manoscritto urbinate conciliano la narrazione del testo con una visione di impronta classicista che ben si accorda, per mezzo della compostezza realistica delle figure e dell’impianto luminoso in cui agiscono le connotazioni tonali dei dipinti, con l’ambito culturale umanistico proprio dell’epoca e dell’ambiente di raffinata cultura della corte del Montefeltro.

Ma il codice illustrato da Giraldi può considerarsi l’ultima opera dei codici manoscritti danteschi, dal momento che, prima ancora che fosse eseguita, dalla Germania era arrivata in Italia la stampa a caratteri mobili e il primo incunabolo prodotto nel 1472 a Foligno fu, neanche a dirlo, una copia della Commedia, l’editio princeps, tirata in ottocento copie dal tipografo tedesco Giovanni Numeister, insieme ad Evangelista Angelini di Trevi, con la collaborazione dell’orafo folignate Emiliano Orfini e seguita di lì a poco da un’altra edizione impressa a Mantova nel medesimo anno.

La via era aperta per un’altra stagione della fortuna dantesca, dato che il costo assai minore di un volume a stampa rispetto a una copia manoscritta poneva le premesse per una diffusione decisamente maggiore, il che naturalmente non vale solo per Dante.

A illustrare la prima edizione fiorentina del poema, che si valse del commento di Cristoforo Landino, fu chiamato Sandro Botticelli, che come abbiamo già accennato sarà inoltre autore di cento tavole su pergamena, novantadue delle quali arrivate fino a noi. Per l’edizione a stampa il maestro produsse soltanto diciannove disegni, andati perduti, relativi ai primi diciannove canti ed affidati all’incisore Baccio Baldini. Dalle poche copie che recano tutte le incisioni dei primi canti dell’Inferno si può osservare come, in ciascuna di esse, il disegno si articola secondo il progetto narrativo del relativo canto, con la figura del pellegrino più volte ripetuta, a segnare i singoli passaggi del testo, reinterpretando la tecnica trecentesca dell’illustrazione continua all’interno del medesimo spazio assegnato alla composizione.

Si avvale della medesima tecnica narrativa, infilando a volte più di un canto nel medesimo disegno, il marchigiano Federico Zuccari in una sua ponderosa illustrazione della Commedia realizzata tra il 1587 e il 1588, quando l’artista marchigiano soggiornava all’Escorial, in Spagna, chiamato da Filippo II, e offre una compiuta illustrazione del poema dantesco: ottantanove grandi tavole realizzate a matita nera e rossa per l’Inferno, o a penna nera e acquerello per il Purgatorio e ancora a sanguigna e penna scura per il Paradiso, incollate poi su grandi fogli, recanti sul verso che fronteggia l’immagine la trascrizione, di pugno dello stesso Zuccari, dei brani del testo corrispondenti al disegno. è da annotare che mancano, o sono appena graficamente accennati, nella poderosa rilettura operata dallo Zuccari del “sacro poema” alcuni dei protagonisti della “nostra” lettura di Dante: non c’è traccia di Ugolino, né di Ulisse, Paolo e Francesca sono due esili figurine, Farinata non s’erge col petto e con la fronte… viene insomma disattesa la lettura critica di Francesco De Sanctis, mentre è privilegiata un’interpretazione della Commedia fondata sul rilievo dato alla visione teologica ed etica che determina il pellegrinaggio salvifico che, se certamente ha ispirato il poeta, noi contemporanei tendiamo a valutare come uno dei molteplici fattori che concorrono alla grandezza di quel testo, e forse nemmeno il principale.

 

fig. 1:

 

Guglielmo Giraldi

Dante Virgilio e le fiere

Codice Dante Urbinate

  1. Urb.lat.365

Città del Vaticano

Biblioteca Apostolica Vaticana