Nel Tempio sconsacrato dai mercanti

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di Fulvio Senardi

 

In un dibattito pubblico che, in vista delle elezioni europee, si focalizza sui decimali del PIL o gioca la carta facile del plebiscitarismo (Europa sì / Europa no), per l’incapacità o la riluttanza ad affrontare contenuti e modalità della governance, entra, con la sua carica di ironico scetticismo, Régis Debray con L’Europe fantôme.

Intellettuale versatile e controverso come pochi altri (fin da quando, compagno del Che in Boliva, lo si accusò di aver rivelato, sotto tortura, informazioni decisive per l’uccisione del rivoluzionario) Debray, classe 1940, è pensatore scomodo e pamphlettista fluviale, particolarmente attento, negli ultimi decenni, al tema dei Media. Che collega, sull’orizzonte di un’idea di “credenza” di sapore gramsciano, al concetto di “sacro”. Peraltro nulla di più desacralizzato, ai nostri giorni, dell’industria dell’informazione: la cacofonia delle voci e le palesi stonature hanno ottenuto come primo risultato quello di fare una vittima illustre, la credibilità.

E l’Europa? “Un’idea senz’emozione”, priva di alcuna “forza motrice”, punzecchia Debray. Tanto che, per l’assenza di valori comuni di portata “religiosa”, è qui che “lo spirito concreto del capitalismo imprenditoriale ha potuto assurgere ad ideale politico”. Che il penultimo presidente della Commissione europea, Barroso, “finito il mandato, riappaia a New York come presidente della Goldman Sachs, non scandalizza nessuno”. “Sarebbe stato difficile”, continua Debray, “non essere filo-europei nel 1925 o nel 1950”. Ma “la questione è capire perché, attualmente, è diventato così facile esserlo tanto poco, o per nulla, e il perché di tanti De profundis, blasfemi ma talvolta convincenti”. Eppure, se “l’europeismo suscita una religione civica assai fievole”, ci sono anche “delle idee deboli non prive di un loro merito”. Una zattera che naviga con difficoltà dunque, quest’Europa dei 27, ma che pure sta a galla, paradossale punto di incontro del “principio di piacere” e del “principio speranza” (così le procedure intellettuali di Debray che non offre una pars costruens ma apre percorsi di demistificazione, corrosivi, senza catarsi, al limite dell’aporia). Una zattera tuttavia dove ognuno rema per suo conto: “la crisi migratoria ha lacerato la carta regalo della confezione. Ormai, è ciascuno per sé, senza vergogna. […] L’alone di poesia si è dissolto, mettendo a nudo il fattore economico. Classica rivincita del mezzo sul fine, dell’obolo del culto sulla sua finalità”. Esito inevitabile? “Difetto di trascendenza ed eccesso d’immanenza: incertezza (geografica) e amnesia (storica) rendono impossibili forme di solidarietà, di spontanea cooperazione laddove non si è legati nel caldo delle viscere”.

Agglomerato di realtà diverse, l’Unione europea non possiede una lingua comune, se non quell’inglese che, con la Gran Bretagna in uscita, resta “la lingua madre dell’1% della popolazione”; non ha fede né profeta (“nel quinto secolo si attendeva il ritorno di Cristo, ed è arrivata la Chiesa, nel Ventesimo si attendeva Erasmo ed è giunto Moscovici”); ha venduto l’anima all’americanismo, diventando una “graziosa foglia di fico, anticamera della NATO”. In più, “nel registro tragicomico […] un’Europa dove a un livello si vota e a un altro si decide, invito tanto al sorriso che al pianto”. Comunque, nel vicolo cieco della ragione “perché non accontentarsi d’un eppur si muove?” (in italiano). Nell’ultima pagina l’illuminismo sornione di Debray presenta, come dopo una serata circense, la troupe dei saltimbanchi, “contenti, malgrado tutto, di ritrovarsi per le grandi occasioni, cena di gala, assemblea degli azionisti, tavola rotonda, giornata di preghiera o ennesima manifestazione elettorale”.

Nell’intervista concessa al Figaro in occasione dell’uscita del pamphlet Debray ha negato di essere euroscettico. “La domanda non è sapere se si è pro o contro l’Europa ma di quale Europa si parla. […] L’Europa medievale del cattolico nostalgico, l’Europa dei lumi cara a Valéry, l’Europa carolingia del tempo dell’occupazione o l’Europa tecnocratica della Commissione? […] Io opto per quella di Valéry.”

 

 

 

 

Régis Debray

L’Europe fantôme

Gallimard, Paris 2019

  1. 45, euro 3,90