Illustrare l’illustre poeta

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La Commedia: una sfida a tradurre in immagini le terzine di Dante (parte prima)

di Walter Chiereghin

 

Probabilmente la Bibbia può vantare una quantità di illustratori che, attraversando per intero la storia dell’arte occidentale, supera quella degli artisti che si sono occupati della Commedia di Dante, che tuttavia vanta un’iconografia di grande rilevanza, sia in termini quantitativi che di livello artistico. Per quanto si riferisce al capolavoro dantesco, non è sufficiente riferirsi, per darsi ragione della ricchezza della sua fortuna iconografica, all’immediata popolarità che ebbe, né, men che meno, alla grandezza della poesia che in esso è contenuta, ma bisognerà considerare soprattutto fattori quali la fantasia immaginifica del testo, la vivacità, soprattutto nelle prime due cantiche, delle situazioni cui il poeta assiste, la singolarità delle figure che incontra sul suo cammino, l’efficacia geniale delle parole utilizzate per “dipingere” personaggi e ambientazioni e la complessità della struttura del poema e della stessa topografia dell’aldilà dantesco, che di per sé esorta a una rappresentazione grafica schematica dei tre ambiti in cui si svolge l’azione narrata.

Fin dal secolo XIV le copie del poema che ci sono pervenute (come noto non è tra esse il manoscritto autografo vergato dal poeta) sono raccolte in codici spesso glossati a mezzo di miniature di autori rimasti spesso anonimi, che realizzarono disegni a volte pregevoli, ovviamente improntati allo stile dell’epoca. Una fortuna editoriale senza uguali – per l’epoca – arrise alla Commedia che fu copiata e miniata nelle officine scrittorie e nelle botteghe artistiche fiorentine e in genere italiane, per non parlare poi degli scriptoria dei conventi. In molti casi risulta problematica o del tutto impossibile l’attribuzione del corredo miniato dei codici più antichi, com’è per esempio il caso delle 37 illustrazioni del Codice palatino 313, detto Dante Poggiali dal nome del suo proprietario ottocentesco, forse il più antico manoscritto della Commedia, risalente al secondo quarto del Trecento, dove risulta apprezzabile l’ascendenza giottesca delle immagini che corredano il testo.

Al generale anonimato dei primi miniatori, alcuni si sono tuttavia sottratti, vuoi per l’eccellenza del loro lavoro vuoi per l’acribia di ricercatori che hanno lavorato assiduamente sui codici superstiti, da cui hanno tratto alcuni scarni profili biografici o almeno il nominativo di qualche artista, come il senese Priamo della Quercia, fratello del più noto scultore Jacopo, miniatore tra il 1444 e il 1520 di Inferno e Purgatorio per un codice attualmente alla British Library in forme che, nonostante la data di esecuzione coincidesse col fiorire del Rinascimento italiano, guardavano ancora all’indietro, a una cultura visiva tardo-gotica.

Il Rinascimento irrompe nell’iconografia dantesca con la perentorietà di un grande Maestro, Sandro Botticelli, che ricevette nel 1480 da Lorenzo di Pierfrancesco de’Medici – committente anche della Primavera – l’incarico di eseguire cento illustrazioni dalla Commedia, una per ciascun canto, con l’aggiunta di una tavola riassuntiva che furono completate nel 1495. Sono oggi disponibili 92 tavole, delle quali soltanto La voragine infernale è completata, le altre invece sono perlopiù rimaste allo stadio di disegni senza colorazione.

Anche al di fuori dell’ambito librario, naturalmente, l’immaginario dantesco trova riscontro in molte opere di scultura e pittura disseminate in ogni dove nella decorazione di grandi cattedrali, di chiese e di cappelle. Per citare soltanto il maggiore esempio, pensiamo alla rappresentazione che fa Michelangelo del traghetto di Caronte e di Minosse nel Giudizio della Sistina, rispettivamente ispirati, alla lettera, dalle vivide descrizioni del III e V canto dell’Inferno. Anche qualche anno più tardi Jan Van Der Straet detto Giovanni Stradano (Bruges, 1523 – Firenze, 1605), artista di origine fiamminga, ma lungamente residente in Italia, soprattutto a Firenze dove frequentò il Vasari ed altri pittori, si cimentò con il poema, fondendo tra loro nelle sue tavole monocrome tra loro le grazie dei manieristi e l’accurata attenzione ai dettagli propria dei fiamminghi. Ne sono derivate ventisei delle cinquanta tavole raccolte in un codice, il Mediceo Palatino 75, che, pur nella compostezza formale della grande tradizione del disegno toscano, risentono forse, almeno in parte, dell’ispirazione visionaria di Jheronymus Bosch (‘s-Hertogenbosch, 1450 ca. – 1516), a sua volta probabilmente sollecitata dalla lettura della Commedia, tradotta in olandese e pubblicata nel 1484 proprio nella città natale del pittore.

(1 –continua)

 

 

01:

Bottega di Pacino

da Bonaguida (?)

Miniatura su pergamena

Codice palatino 313

Biblioteca Nazionale

Firenze

 

02:

Priamo della Quercia

Le tre fiere (canto I)

1444-1452

Manoscritto

Yates Thompson 36

British Library

Londra

 

03:

Sandro Botticelli

La voragine infernale

tempera su pergamena

1481-1488 ca.

Biblioteca Apostolica

Vaticana

Città del Vaticano

 

04:

Sandro Botticelli

La voragine infernale

tempera su pergamena

(particolare), 1481-1488 ca.

Biblioteca Apostolica

Vaticana

Città del Vaticano

 

05:

Michelangelo Buonarroti

Giudizio Universale

affresco 1535-1541

(particolare)

Cappella Sistina

Città del Vaticano

 

06:

Giovanni Stradano

I violenti contro se stessi

Codice Mediceo Palatino 75

Biblioteca Medicea

Laurenziana, Firenze