Intelligenza artificiale e intelligenza naturale

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Un convegno e una pièce di Giuseppe O. Longo

di Laura Ricci

 

È febbraio a Orvieto, in vicinanza del Darwin Day, il mese della manifestazione OrvietoScienza che, promossa e organizzata dall’Istituto di Istruzione Superiore Scientifico e Tecnico “Ettore Majorana”, anima per due giornate l’antico Palazzo medievale del Capitano del Popolo, oggi moderno centro congressi. Nata nel 2013, ogni anno rivolta a un tema scientifico di particolare impatto sociale, il 23 e il 24 febbraio 2017 l’iniziativa ha declinato la sua quinta edizione, dedicata al tema “Robot Sapiens? Intelligenza Artificiale vs Intelligenza Naturale”. Con il sostegno di partner quali il Comune di Orvieto, CNR, MIUR e ARPA Umbria, Fondazione CRO e Pearson Editore, l’evento prevede la partecipazione diretta degli studenti, nella consapevolezza di un profondo e veloce cambiamento del mondo in cui il sapere scientifico è stato e continua a essere determinante, così da spostare il rapporto tra scienza e società, con tutte le implicazioni di ordine etico, economico e politico che ne derivano. E giustamente, secondo gli organizzatori – gli insegnanti Giuseppe De Ninno, Alessandra Magistrelli e Adele Riccetti – conoscenza e discussione devono partire dalla scuola, che è la prima agorà e il primo campo di formazione degli umani.

A dare eccellenza alla manifestazione convergono rappresentanti insigni dei maggiori enti di ricerca nazionali e del mondo scientifico e filosofico universitario e post universitario, tra cui l’Università e la SISSA di Trieste che, grazie alla loro prestigiosa tradizione scientifica, sono state negli anni costanti interlocutrici. Tra gli ospiti della cultura scientifica triestina, in questa edizione 2017 sono intervenuti Raffaella Rumiati e Alessandro Treves della SISSA, e Giuseppe O. Longo, a cui, grazie al suo approccio olistico che spazia da vari ambiti scientifici alle letterature, alla filosofia, alla sociologia, è spettato il compito di dare l’avvio ai temi del convegno con la sua brillante relazione “Il robot perturbante”.

Che ci piaccia o no, è già in atto un profondo mutamento dovuto ai sistemi di intelligenza artificiale, che sempre più sostituiranno l’uomo in compiti non solo meccanici. La costruzione di robot sempre più somiglianti agli esseri umani – ha messo in evidenza Longo dopo un excursus letterario-filosofico nel sogno della robotizzazione oggi divenuto realtà – produce un effetto psicologico singolare, descritto nel 1970 da Masahiro Mori sulla base della nozione di perturbante (dal tedesco unheimlich), studiata da Jentsch e poi approfondita da Freud. Accade cioè che con il crescere della somiglianza tra robot e umani cresce anche la nostra simpatia per il robot, ma solo fino a un dato punto; giacché quando la somiglianza si fa troppo stretta, all’improvviso il robot appare sinistro, perturbante appunto, e a torto o a ragione induce in noi una serie di interrogativi.

A che punto avanzato si sia arrivati con la robotizzazione è stato mostrato esaustivamente, anche con una serie di filmati, da Bruno Siciliano dell’Università di Napoli: gli usi dell’IA, che potranno andare dal mondo del lavoro, alla realtà quotidiana, al controllo della sicurezza, agli scopi bellici, impongono una riflessione sia comportamentale che etica, la necessità di ridisegnare la società e, di conseguenza, sfide economiche e politiche che non sappiamo fino a che punto il pianeta è pronto ad affrontare. La perdita di posti di lavoro, ad esempio (relazioni di Settimo Termini, Pietro Greco, Nicola Costantino) dovrebbe portarci a ridistribuire lavoro e ricchezza, così da lavorare tutti ma meno ore, riacquistando tempo libero per pensare; pensare, d’altra parte, sembrerebbe legato all’identità che si forma nell’unione di corpo-mente, a sua volta in connessione anche con il lavoro e la fatica; e alcuni compiti, in particolare quelli in cui interviene la relazione, sembrerebbero non delegabili (Carmela Morabito); altri automatismi presuppongono scelte morali molto complesse (Guglielmo Tamburrini). Ne consegue la necessità di una regolamentazione etica, ambito che gli stessi studenti hanno affrontato redigendo e presentando una “Carta dei diritti degli umani in una società fortemente robotizzata”.

OrvietoScienza include ogni anno anche una performance a cura degli allievi del laboratorio teatrale, guidati dall’attore e regista Andrea Brugnera. In questa edizione la pièce rappresentata, con l’intervento a leggio dello stesso autore, è stata Un trapianto molto particolare di Giuseppe O. Longo, di cui nell’edizione 2015 era stato rappresentato il dramma Einstein. Una pièce piena di seri interrogativi e, al tempo stesso, esilarante: in scena, nella versione originale, due personaggi in cerca di trapianto cerebrale, due trapiantiste, un cervello in una vasca da bagno; ruoli interscambiabili e personaggi più numerosi in questo adattamento, per permettere a tutti di recitare. Nulla di diverso, in ogni caso, nella storia e nel suo senso. Un giovane uomo che lavora in un’azienda specializzata nella costruzione di memorie artificiali, stanco dell’affollato premere nella sua testa di pensieri, incubi e delle scorie della Memoria Collettiva del Mondo, si fa sostituire il cervello. Nel suo corpo di uomo viene trapiantato il cervello nella vasca da bagno, che è quello di una ragazza il cui corpo è morto in un incidente; mentre il suo cervello, dopo varie vicende, va a finire nel corpo della trapiantista. I due cervelli si trovano dunque in due corpi sbagliati quanto al genere: un cervello donna con un corpo da uomo e un cervello uomo con un corpo da donna; ma che agisca il corpo, o che agisca il cervello – la pièce suggerisce a più riprese la loro inscindibilità – finiscono per essere attratti l’uno dall’altro e, al di là di ogni convenzione di ordine sessuale, la pièce si chiude con lo sbocciare di una storia d’amore. Convogliati da situazioni paradossali e divertenti, gli elementi di riflessione sono numerosi: ad esempio quanto non siano standardizzati il maschile e il femminile; quanto il cervello sia “NOI”, e quindi diverso da qualunque altro organo che costituisce invece “una parte di noi”; quanto contenga angosce e incubi, ma anche memorie belle e consolatorie; quanto non si debba temere quello stato che definiamo morte, giacché il cervello privo di corpo nella vasca, prima di essere ritrapiantato in un corpo forse prigione, godeva di visioni colorate ascoltando “l’armonia dell’universo”. Tutto questo e molto di più espresso in un linguaggio scintillante e pieno di mordente, che si muove tra l’immaginifico e il rigidamente scientifico. Bravissimi gli allievi e le allieve interpreti, sia per la padronanza della scena che per aver saputo rappresentare un testo così complesso dal punto di vista linguistico.