Italiani dell’altra sponda

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di Gianni Oliva

 

Di Franceso Feola, scrittore abruzzese che tocca, nel suo romanzo La casa di Lagosta. Viaggio di terra e di mare, (Carabba, 2022) un tema caro a tutti noi adriatici (l’italianità dell’“altra sponda”, trattato, senza sciovinismo, con ricchezza di dettagli storici e dovizia di descrizioni) scrive, nelle pagine che seguono, Gianni Oliva. Ma prima di lasciargli la parola qualche indicazione sull’autore e sul suo critico.

Francesco Feola è nato a Vasto in Abruzzo nel 1948 ed è al suo primo impegno narrativo. In precedenza aveva pubblicato Paranze. Fatti, dati e miti (Lanciano, Carabba, 1997), una ricostruzione capillare della barca da pesca usata nell’Adriatico e dell’ambiente dei pescatori, che nel libro raccontano dal vivo le loro esperienze di vita marinara. Docente di disegno e di Storia dell’Arte in un liceo, maestro di vela, ha percorso molte rotte del Mediterraneo, navigando in particolare tra le due sponde adriatiche. Purtroppo una malattia invalidante lo ha costretto da alcuni anni all’immobilità ma non ha soffocato la sua passione per il mare.

Quanto a Gianni Oliva, autore della prefazione del romanzo che qui riportiamo, probabilmente inutile spiegare chi sia. Ma per coloro che hanno poca familiarità con la saggistica letteraria ricorderemo che Oliva, già docente alle Università di Perugia, Roma e Chieti-Pescara, fondatore e direttore della rivista «Studi Medievali e Moderni» è tra i maggiori studiosi dell’Ottocento italiano e in particolare di Verga, Capuana, dell’estetismo di fine secolo e di D’Annunzio, di cui ha curato l’edizione Newton Compton di tutte le opere. Professore-ospite in molte Università straniere è caratterizzato da un metodo  interpretativo particolarmente attento al rapporto cultura-storia-società.

 

 

È davvero sorprendente (e contro natura) che un’indole mobile come Francesco Feola, smanioso e instancabile homo viator, sia da tempo costretto ad una immobilità pressochè totale da un destino ingiusto. Lui, pellegrino (peregrinus), vale a dire straniero, estraneo ad ogni luogo, vagabondo per mare, mosso da una follia ragionata, meditativa, ossessiva e lungimirante, asserisce tuttora che è necessario «andare andare e mai fermarsi troppo», perché sostare è come morire. E laddove non può più il fisico del sailor esperto, sopperisce la mente innamorata dell’acqua, del vento e del sole. L’origine di questo romanzo è tutta qui, nella smania dell’immaginazione irrefrenabile, nel pensiero costruttivo che ingloba sentimenti e gusto dell’avventura, amore per il viaggio come piacere desiderato, un modo per proiettarsi nella inesauribile vitalità del mondo, per riaffermare, nonostante tutto, la condizione di libertà dell’uomo. Quello di Feola è un errare della mente in modo appagato e autosufficiente, in linea con ciò che è stato chiamato il viaggiare in persuasione, cioè muoversi nel pieno «possesso della propria vita… in quella sospensione del tempo che si verifica quando ci si abbandona al suo scorrere lieve», in definitiva quando ci si sente «a casa nel mondo» (Magris).

Per Feola l’immaginazione, che pur la fa da padrona, è accompagnata dall’esperienza di viaggi reali compiuti proprio in quelle terre che fanno da sfondo al suo libro, le isole croate (Làgosta, Curzola, Melèda) con il loro azzurro luminoso, luoghi dove la storia, in contrasto con i paesaggi incantati, ha lasciato, purtroppo, il segno della distruzione causata da feroci contese. Da quelle tristi vicende muove la storia di Francesco, il protagonista, un dalmata italiano che ritorna alla casa paterna di Làgosta dopo essere stato costretto ad abbandonarla a causa del regime di Tito. Quando gli echi della guerra civile jugoslava non si erano ancora spenti, egli parte per riconquistare le memorie perdute e la propria identità e trova una terra martoriata, i cui confini hanno troppo spesso mutato forma per i capricci degli uomini. Alla struttura portante del racconto si affianca, con un salto temporale di secoli, un altro viaggio che proietta il lettore nello scenario mistico dell’abbazia di San Giovanni in Venere, da cui muove il barcusio di Michele, il monaco cirstercense diretto a Ragusa per compiere una missione misteriosa che colora la narrazione di toni avventurosi e affascinanti. I viaggi raccontati, comunque, sia quelli contemporanei, sia quelli del passato remoto, rispondono al bisogno di capire nel profondo la cultura dei popoli balcanici e l’origine di quegli odi fratricidi che hanno alimentato una terribile tragedia del nostro tempo.

L’incanto che Feola trasferisce al suo racconto risponde alla sua inesauribile sete di conoscenza, al sogno di vivere un’estate perpetua nel suo mare, l’Adriatico, che riserva anche tempeste e uragani in quanto luogo della sfida, ma che alla fine dei conti riconquista la pacatezza del mare-fiume che sfocia nell’abbraccio del Mediterraneo. Contemplando il mare ci si spoglia della banalità per afferrare l’essenza delle cose, per assaporare una pienezza appagante che apre anche le porte sul nulla. Non a caso Thomas Mann diceva che l’amore per il mare è anche amore per la morte, per la disperazione del Prospero di Shakespeare. Le vie del mare però sono infinite e il sentimento panico si acuisce dinanzi alla distesa delle acque che restituiscono appagamento e quiete, condizione rasserenante e pacificazione interiore. I viaggi per mare compiuti da Feola, reali o immaginari che siano, hanno in un certo senso valenza salvifica e riconducono all’Adriatico turchino, quello nativo, verde «come i pascoli dei monti» di dannunziana memoria, ma nel caso del romanzo vivificato dalla luce d’oriente. Il mare per Feola è il simbolo del dinamismo vitale, in cui tutto avviene e si trasforma, dalla nascita alla morte, una distesa immensa che evoca l’dea dell’ordine e l’acqua viva della cosmogonia. Le carte di questo romanzo sono qui a salvaguardare i suoi viaggi e a documentarli, a dimostrare il suo «saper vedere» nei paesaggi e nella storia.

 

 

Franceso Feola

La casa di Lagosta

Viaggio di terra e di mare

Carabba, Lanciano 2022

  1. 453, euro 22,00