JOAN MIRÒ SOLI DI NOTTE

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Importante rassegna a Villa Manin

 

Continua, nel succedersi delle grandi mostre a Villa Manin, l’interesse per le maggiori figure d’artista e le principali correnti che hanno attraversato la storia dell’arte del XX secolo, ed è così che, dopo la grande mostra sull’Avanguardia russa nella collezione Kostakis dello scorso anno (v. Il Ponte rosso n. 0) e, soprattutto, quella su Man Ray del 2014-15, articolata antologica su quell’esponente di punta del Surrealismo, si pone ora l’accento su Joan Mirò (Barcellona 1893 – Palma di Maiorca 1983) nella fase della sua tarda maturità, per mezzo di una mostra comprendente circa 250 opere tra grandi dipinti, sculture, disegni, libri d’artista, schizzi e progetti provenienti dalla Fundació Pilar i Joan Miró di Palma di Maiorca oltre che dalle collezioni degli eredi, opere realizzate in un periodo che va dal 1956, anno in cui l’artista si trasferì definitivamente a Maiorca, al 1983, anno della sua scomparsa.

Oltre alle opere d’arte, di eccezionale valenza e richiamo, la mostra esibisce anche una parte documentaria, grazie a filmati, a una cinquantina di fotografie, alcune delle quali di grandi maestri quali Man Ray, Bresson, Mulas, Brassai, List e altri, oltre che oggetti appartenuti all’artista: si tratta da eterogenee raccolte di fossili, conchiglie, statuine in argilla, giocattoli, pupazzi, barattoli, manufatti artigianali e reperti archeologici. Molti di questi oggetti attiravano l’attenzione dell’artista, che li raccoglieva e ne faceva successivamente base per una sua riflessione creativa che partiva da essi per approdare il più delle volte altrove, oppure, come nei casi delle sculture, costituivano, secondo una consolidata prassi surrealista, gli elementi costituitivi dell’opera stessa.

La scelta di trasferirsi sull’isola di cui era originaria sua madre consentì a Mirò di concentrarsi particolarmente sul suo lavoro lasciandosi alle spalle l’ambiente parigino e di seguire un’ispirazione che si tradusse progressivamente in un processo di profonda analisi critica del lavoro precedente e di evoluzione, consistente in una decisa variazione e semplificazione della tavolozza dei suoi colori, per dare la preminenza al segno aggressivo e fortemente dinamico ed esaltando il nero, come bene evidenziato nel dipinto assunto come icona della mostra, Oiseaux dans un paysage (1974), ma anche nella creazione di grandi sculture che afferiscono in gran parte all’ultima stagione dell’artista catalano. Nella prima fase del ritiro a Maiorca il riesame critico inflessibile su quanto fino ad allora aveva prodotto indusse Mirò (vengono i brividi a pensarlo) a distruggere numerosi dipinti, come ricorda egli stesso: “Fui spietato con me stesso, distrussi molte tele, ma soprattutto molti disegni e gouaches”. Le severe revisioni autocritiche lo allontanarono anche, in un primo tempo dalla pittura, mentre si esercitò a lungo con la ceramica, lavorando assieme a Llorens Artigas ed elaborando nuove tecniche.

Il rapporto con le Baleari e in particolare con Maiorca affonda le sue radici in un terreno che è quello stesso della sua infanzia, quando passava le estati sull’isola d’origine della famiglia dal lato materno e, più tardi, negli anni bui dell’occupazione nazista della Francia, quando l’isola divenne suo rifugio fra il 1940 e il ‘43. La scelta di trasferirsi definitivamente là intervenne quando l’artista aveva compiuto i sessantatre anni e decise di ritirarsi con la famiglia a Son Abrines, una proprietà a poca distanza dal centro storico di Maiorca, aprendo uno studio, il primo effettivamente suo, lo studio Sert, progettato per lui ed assieme a lui dall’amico architetto Josep Luis Sert nel 1956. Allievo di Le Corbusier, Sert aveva già lavorato con Mirò nell’allestimento del padiglione spagnolo nell’ambito dell’Esposizione universale di Parigi del 1937, e a Maiorca progettò per l’amico un edificio che metteva assieme forme regolari con linee sinuose, strutturato su due livelli, aperto con finestre di grandi dimensioni sulla baia ed era un grande spazio protetto, inondato dalla luce mediterranea prorompente dalle ampie finestrature, un atelier dove potersi confrontare con le opere in assoluta solitudine, superando i limiti della pittura da cavalletto e consentendo inoltre all’artista di lavorare su superfici di grandi dimensioni, ma anche di dedicarsi alla ceramica e alla scultura.

A questo primo ambiente di lavoro, utilizzando il denaro del premio internazionale Guggenheim vinto con il murales realizzato per la sede UNESCO di Parigi, Mirò fa allestire in un edificio rurale adiacente alla sua proprietà acquistato nel 1959 dalla baronessa Munchausen un secondo grande studio, dove realizzerà in particolare le sue sculture monumentali, le tele di grande dimensione, sulle quali dipinge chinato sul supporto disposto in orizzontale sul pavimento. È anche allestito all’interno un laboratorio per la realizzazione delle opere grafiche. Le pareti interne del grande edificio, sono ricoperte di calce e lasciate bianche: su di esse il pittore prende appunti, ancora visibili, scritti a carboncino su tale imponente “taccuino d’appunti”.

Lo studio dell’artista, parzialmente ricostruito a Villa Manin dov’è esposto nel salone d’onore, al piano terra, mentre procedendo al piano superiore ci s’imbatte sulla ricostruzione della “stanza rossa”, un ambiente destinato al riposo e alla meditazione, con le pareti dipinte di rosso cui sono appesi i ritratti ottocenteschi dei genitori dell’artista.

L’intento della mostra è scopertamente quello di fornire al visitatore, oltre allo straordinario florilegio di dipinti e altri oggetti d’arte frutto del periodo maiorchino dell’artista catalano, anche una precisa idea di quello che era il contesto ambientale, anche quello materiale, in cui operò nell’ultima fase della sua vita. In tale importante fase Mirò, in un’inesausta ricerca tecnica ed espressiva, si dedicò con particolare zelo alla grafica, di cui numerosi esempi sono presenti a Passariano, e in particolare una serie di quindici litografie dedicate nel 1971 all’amico Joan Parts, titolare di un’azienda di cappelli a Barcellona, che fu anche scrittore ed editore, con accentuati interessi in ambito fotografico.

Oltre a ciò, naturalmente, molti dipinti e sculture sono esposti a Villa Manin, a testimonianza di un’indefessa attività creativa che testimonia di un trentennio estremamente innovativo di uno dei più importanti autori del Novecento artistico europeo e internazionale, che ha avuto, già prima dell’ultimo fertilissimo periodo di cui la mostra si fa carico una capacità di innovazione che consente di dire alla curatrice Elvira Càmara Lòpez nel suo intervento nel bel catalogo (Skira editore, Padova 2015, pp. 352, con 330 illustrazioni a colori, Euro 38) “Joan Mirò assassinò davvero la pittura tradizionale e percorse tutti i possibili sentieri di sperimentazione” e quindi, concludendo il suo intervento: “Mirò ribadì sempre la sua volontà di «andare oltre» la pittura da cavalletto e in quell’incessante ricerca ebbe come alleati la natura, la propria energia interiore e il caso”. Citando infine Margit Rowell: «Più del quadro stesso, ciò che conta davvero è quel che getta all’aria, quel che diffonde. Poco importa che il quadro sia distrutto. L’arte può morire, ciò che conta è che abbia sparso dei semi sulla terra.»

 

 

 

 

Joan Miró , Soli di notte

Villa Manin di Passariano

17 ottobre 2015 – 3 aprile 2016

Curatori: Elvira Càmara Lòpez e Marco Minuz

ORARI Da martedì a domenica: 10.00 – 19.00 Aperture straordinarie:

lunedì 28/3/2016

INGRESSO Intero 12€

Ridotto 10€

 

Joan Miró, Toile brûlée 2, 1973, acrilico su tela bruciata, 130 x 195 cm, Successió Miró,  © Joan Miró, by SIAE 2015