Per non dimenticare mai
Il Ponte rosso N° 54 | marzo 2020 | poesia | Sandro Pecchiari
Auschwitz e simili, riflessioni poetiche di Toni Piccini sulla Shoah
di Sandro Pecchiari
Impara dal pino ad essere pino
impara dal bamboo ad essere bamboo
Matsuo Bashô
Venerdì 31 gennaio 2020, pochi giorni dopo la Giornata della Memoria, il 27 gennaio di ogni anno, Toni Piccini ha presentato alla libreria Feltrinelli di Trieste la sua nuova raccolta di haiku Auschwitz e simili, Red Moon Press, VA, USA, 2018.
La pubblicazione, sugli anni dolorosi della Shoah, è accompagnata da una serie di Haiga dal titolo Frammenti di Olocausto, disseminati nello spazio della libreria. Toni Piccini è stato affiancato nella presentazione dalla presenza di Franco Cecotti e del fotografo Armando Casalino.
Il libro è stato edito negli Stati Uniti in quattro lingue. Ogni singolo testo è stato tradotto in inglese, ebraico e tedesco, da Jim Kacian, Dietmar Tauchner e Zinovy Vayman, per il quale l’opera di traduzione in ebraico è stata sicuramente dolorosa.
Questa opera è forse il momento conclusivo di una lunga rielaborazione di Piccini dopo la visita ad Auschwitz di molti anni fa, che è stata una pietra miliare nella sua vita. Nei decenni seguenti questa esperienza gli ha permesso di approfondire l’argomento con una vasta documentazione storica e sociale: è un libro che è senza dubbio il punto di “addensamento” di un lavoro iniziato con Haiku Aprocrifi, con prefazioni di Fernanda Pivano e Ban’ya Natsuishi (2007); Poesiazze (2009); Medithaiku (2010), No password (2014).
Il suo non è solo lavoro da tavolino e computer e fotografie dense di significato, Piccini ha partecipato a festival importanti e la qualità del suo lavoro è stata riconosciuta numerose volte:
al primo Tokyo Poetry Festival, nel 2008; l’Award of Excellence al Commemorative Haiga Contest della World Haiku Association (Giappone) nel 2015; l’Honorable Mention al secondo World Haiku Association Contest nel 2017. Nel 2017 riceve il riconoscimento di “Master Haiga Artist” e dal 2017 è presente nell’Haiga Galleries della The Haiku Foundation (U.S.A.); nelle antologie The sleepless night, Modern Haiku Association, 2018 e A hole in the light, The Red Moon Anthology of English-Language Haiku 2019 “, antologia mondiale dei migliori haiku in inglese nel 2018.
Materiale importante è consultabile in
Toni Piccini sull’haiku: https://cinquesettecinque.com/2016/07/15/haiku-la-poesia-dellimmagine-di-toni-piccini/
Haiga di Toni Piccini in inglese: https://www.thehaikufoundation.org/thf-haiga-galleries/photo-haiku-from-auschwitz-e-simili-by-toni-piccini/
Il libro esce in un periodo storico mondiale piuttosto distratto, incline a dimenticare, se non a rimuovere o ancora peggio a negare, la realtà dei campi di sterminio. Sono 85 testi crudi e crudeli nella loro bellezza, con i quali Piccini fa vivere al lettore una partecipazione accesa, prima di tutto umana e poi civile, che coinvolge ognuno di noi in una delle tragedie che hanno segnato per sempre la nostra Storia. Giovanni Fierro, nell’intervista all’autore su Fare Voci del gennaio 2020, scrive che «Toni Piccini con la sua poesia, e la sua capacità di conoscere le viscere del sentire e del mostrare l’accaduto, permette alle parole delle sue poesie di esplorare il vissuto, di indagare le immagini che sono state la storia singola di ogni persona, di chi nell’esperienza drammatica del campo di concentramento ha perso ogni illusione di umanità, ancor prima della propria vita».
Aggiungerei, a commento di questo libro secco e pregnante, citando Primo Levi: Anche se capire è impossibile, conoscere è necessario, che la copiosa, doverosa, dolente letteratura, dalla fine della seconda guerra mondiale in poi, ha tentato di comprendere, esorcizzare e superare quel periodo storico, provando a eviscerarne ogni aspetto possibile: dai raggelanti resoconti sulle perdite umane, sulle città rase al suolo, i campi di concentramento, molte culture quasi eradicate ai racconti e ai romanzi e poesie a volte estremamente importanti, toccanti e accorate.
Queste sono tutte opere che, a parer mio, pur nel ripensare e descrivere l’abisso in cui l’umanità era riuscita a sprofondare, risentono comprensibilmente di una compartecipazione emotiva che in qualche modo condiziona e disturba la lettura. Spesso con ridondanze che non rendono onore a questa inesprimibile sofferenza. La sofferenza piuttosto si riaccende e si tramanda in modo forse più efficace nel sottile trasalimento nel vedere e a volte incespicare nelle Stolpersteine, le “pietre d’inciampo” che silenziosamente depositano nelle nostre città europee una memoria diffusa.
Esprimere quel periodo di Distruzione nell’ambito letterario porta secondo me ad una scelta quasi obbligatoria attraverso la voce scarna e evocativa degli haiku.
Le caratteristiche degli haiku, ovviamente senza scriverne un saggio in questa sede, non stanno solo nella struttura risaputa di diciassette sillabe, secondo lo schema 5-7-5, che costringe ad una concisione e a una essenzialità estrema, ma soprattutto negli aspetti formali e filosofici che l’haiku deve possedere per potersi chiamare degnamente haiku, che permettano ad un haijin di fissare nei versi, un momento sfuggente, che mai più si presenterà alla nostra memoria e al nostro sguardo.
Nell’haiku si concretizzano quattro stati fondamentali dell’animo umano: sabi, wabi, aware e yugen.
Sabi è la quiete, la pace, la solitudine, il distacco dalle cose, non doloroso, ma consapevole e meditato, senza tristezza o rimpianto.
Wabi è il rivelarsi dell’inatteso e del profondo senso dell’essere, dei gesti più modesti, di ogni piccolo evento; veicolato da depressione o malinconia. Qui si riaccende lo scorrere della vita, uscendo dalla rassegnazione e dalla passività.
Aware è il rimpianto, nostalgia intensa e tristezza, ed essere coscienti che ogni cosa ha una fine e tutto scorre, che ogni cosa è caduca, come il Tempo e le stagioni, mai uguali eppure sempre simili. Non c’è nemmeno in questo caso sofferenza o senso di perdita, ma presa di coscienza del fluttuare e fluire.
Infine lo yugen ovvero la percezione improvvisa che in quel qualcosa di misterioso e di strano e la sua inafferrabilità risiede la suprema bellezza delle cose. è il meravigliarsi di piccoli eventi, percepire una sorta di magia che si avverte nitidamente nel nostro animo.
E Toni Piccini dimostra di averne coscienza e padronanza. E citerei le sue parole: «Mostrare in forma poetica più momenti di vita degli internati, senza ricorrere a sentimentalismo o fittizia crudeltà su cui fare leva per catturare il lettore: in tale ottica l’haiku è perfetto, la sua essenzialità e brevità non permettono artifizi verbali o vie di fuga. Inoltre, il fatto che l’haiku mostra, non dimostra, fa sì che il lettore elaborandolo diviene parte attiva (… l’importanza delle immagini nel funzionamento della mente)». In effetti nel suo lavoro colpisce la quasi totale mancanza di aggettivi e avverbi, riducendo il linguaggio ad una concisione di testimonianza estrema (yohaku), rendendo il lettore partecipe di un reale osservato fuori dal tempo storico: nulla sembra esistere in questi haiku che si riferisca al passato, ma ad una drammaticità perpetuata attraverso e oltre il tempo.
Sono composizioni che alternano immagini uniche (ichibutsu jitate) come nel
un negazionista
brucia libri di storia
nel suo forno da cucina
a due elementi apparentemente distinti e distanti, senza una immediata connessione logica (toriawase)
gocce di rugiada:
in ognuna un riflesso
di capelli tagliati
Piccini sa creare un contrasto di emozioni controllate perfettamente e permette al lettore di fare quel necessario salto nell’immaginazione della realtà descritta.
L’annullamento dell’io, che tanto ha fatto e fa discutere nella poesia occidentale come eredità dei secoli precedenti, gli permette di non deformare la percezione con interpretazioni personali. La descrizione è così succinta, secca e essenziale da suggerire l’idea che il poeta sia colui che impugna il pennello o la penna e si fa attraversare senza trattenere nulla della percezione.
Portare a compimento un libro di tale densità ha sicuramente suscitato in Piccini una sensazione di sollievo e liberazione dal cercare di mettersi – ovviamente per quanto possibile – nei panni di chi stava vivendo la tragica esperienza del lager. Questo libro è stato un percorso fondamentale per riuscire a scrivere in forma poetica di una realtà non vissuta personalmente, ma interiorizzata quanto più possibile, rendendola esperienza emozionale interiore e solo in seguito trascriverla in maniera e forma impersonali.
A ciò si riferisce la citazione di Bashô scelta per l’inizio di questa recensione.
Poco sopra si era accennato alle immagini suscitate nel lettore, Piccini è anche un importante creatore di haiga. Questo libro suscita così tante visualizzazioni nella lettura e così forti e permanenti che non avrebbe sicuramente necessità di un qualsiasi supporto iconico. Però gli haiga risvegliano una percezione ampliata degli scritti, proprio nella sottile frattura tra immagine e scritto, un kintsugi, resilienza emozionale che ognuno salda come sa e come può.
quattro anni, il primo
viaggio in treno… nessun
finestrino per il panorama
*
treno merci –
un topo nell’angolo
l’unico sopravvissuto
*
“Prima le donne e i bambini” –
diritta la strada
per le camere a gas
*
un cuscino nuovo
per l’amante del gerarca –
i capelli di Rebecca
*
bocche aperte:
dal tetto cade
acqua piovana
*
Il primum mobile alla base della decisione di proporre all’editore statunitense la pubblicazione è stato il sogno di far sapere, più da vicino, ai giovani (e non solo a loro) cosa sia successo una settantina d’anni fa, anche perché ne abbiano sentore, qualora si ripresentassero realtà e situazioni simili a quella di cui l’Olocausto e i lager sono stati il punto estremo.
A questo proposito e a conclusione di questa presentazione, citerei un haiku affiancato da un haiga alla libreria Feltrinelli, che rimane dolorosamente valido, considerando il pullulare di movimenti di rivisitazione storica e negazionisti un po’ dovunque nel pianeta e che non fanno ben sperare in un futuro migliore:
la fila
per il posto di kapò
più lunga di ieri
the row
to the kapo workplace
longer than yesterday
התור
אל מקום הקפו
ארוך יותר מאשר אתמול
die Reihe
zum Arbeitsplatz der Kapo
länger als gestern
Grazie a Toni Piccini per la sua poesia e a tutti voi per l’attenzione