La bellezza delle api

| | |

Una storia istriana

di Silvia Zetto Cassano

 

La vecchia stava seduta sul sedile di pietra davanti alla sua casa. Il sole d’aprile che scalda le ossa e incanta le lucertole le aveva già scurito il collo. Ai suoi piedi due gatti, che erano suoi, ma non come fossero suoi figli. Alzò lo sguardo quando vide l’uomo venire verso di lei nell’ampio prato a semicerchio davanti la casa.

L’uomo non era vecchio e nemmeno giovane. Era solo, chi non si lega a nessuno e a niente è veramente libero, pensava, ma ogni tanto traballava per paura del vuoto e allora pigliava su e usciva, con qualunque tempo e a qualunque ora, infilava la porta e via, camminava e camminava finché il suo passo trovava il ritmo giusto e la testa si svuotava.

Più di tutto gli piaceva vagabondare per i paesucoli dell’Istria interna. Li sapeva tutti, sapeva le piante, i sassi, gli odori, le sfumature dei silenzi e quelle dei dialetti, diverse a seconda dei posti. Che bella campagna, pensò anche quel giorno, il rosso della terra in accordo col verde del grano in erba, che bel cortivo, pensò quando vide l’antica cascina col porticato ad arco per farci passare il carro.

Quando scorse la vecchia gli venne voglia di parlarci. Si avvicinò e lo fece con l’educazione e il rispetto che ci vogliono, coi contadini di qui, sapeva il tempo lento in cui viveva lei e lente furono le parole che le rivolse.

  • Buongiorno, signora. Posso guardare in giro?
  • Buongiorno. Va ben, come volè, ma niente c’è qua da guardare, tutti in città sono andati, eh, qua solo io son restata, io e una mia cugina che sta in quella casa là, vede?
  • Ci sono case da affittare qui attorno?
  • Eh, qua, qua non so, no…a Buie, Parenzo… ma qua è tutto rotto, la vedi anche lei.
  • Però è un posto bello. Lì che c’è?
  • Stalle. Quelle erano le stalle, eh, una volta… avevamo ancora le piegore, le pecore, noi le chiamiamo così.
  • So.
  • Tutte ho dovuto darle via quando mi è morto il marito, è venuto su uno di Verteneglio, troppo pochi dinari ti ha dato, mi ha detto mia cugina, ma affari io non ne so fare, mio marito sì che era bravo. E anche manzi avevamo, anche quelli li ho venduti. Un bianco e un nero anche per quelli. A niente servivano, chi vuol più che li adopri, la terra l’ha vista, è abbandonata, è tutto in barè.
  • So, ho visto.
  • Sono anni ormai, che anche quando mio marito era vivo non aveva più la forza per star dietro al frumenton, i manzi li teneva giusto così, che lui si affezionava alle bestie. Eh, poco mi hanno dato, poco, ma avevo furia di vendere.
  • Se uno ha furia si approfittano.
  • Sì, si approfittano.
  • E galline, ne avete?
  • Eh, quelle, ne avevo tante, ma io sono sfortunata con le galline. Per via della faina.
  • È cattiva, la faina, ammazza per ammazzare.
  • Cattiva, sì. È venuta l’altro mese, ha fatto un buco nella rete, vede là? Solo quattro ne ha lasciate vive. Poi è venuto lo sparviero. Basta con le galline, mi son detta. Mah.A quel punto lui stette zitto, mise un intervallo nel loro discorso, per darle tempo di considerare se fidarsi o no e decidere se continuare a parlare o meno. Fece qualche passo verso il piccolo orto ai bordi del prato, resti di ortaggi scarmigliati e pencolanti, residui delle canne per tener su i pomodori, una recinzione di frasche mezza per terra, la cisterna di pietra con l’acqua torbida, il radicchio che era diventato alto e si era ramificato. Chissà di che vive questa vecchia, pensò.
  • La vecchia lo fissò, chissà mai chi è questo qui, si stava chiedendo, è di città ma pare un contadino, parla da contadino, se ne intende.
  • Lo sparviero, proprio così disse, che belle parole stava adoprando, pensò l’uomo, finiranno con lei, pensò anche, ma senza nessuna tristezza perché il rimpianto del passato non gli apparteneva e, anche se in un altro modo, non apparteneva nemmeno a quella vecchia donna.
  • Senza letame le verdure…
  • Niente bestie, niente ludàme e niente più radicio, niente cavoli, niente de niente. Le cose sono andate così.
  • L’uomo scorse lì vicino, delle casse di legno ingrigito dalle piogge.
  • E quelli?
  • I trompi, erano per le api.
  • Sarebbero le arnie, no? le chiamate così da queste parti, non sapevo, trompi, mai sentito. Tenevate api, facevate il miele?
  • Mio marito, sì le teneva, ma il miele no, non lo prendeva. Aveva paura, le api erano cattive, lo pizzicavano.
  • Perché allora le teneva?
  • Per bellezza. Continuarono a parlare e a ridere ancora un poco, lei gli raccontò di cose di una volta, di quando c’erano i partigiani, come facevi a non dargli da mangiare, gli disse, per forza tiravi fuori il pane, i salami, il formaggio, poveri disgraziai, sa anche lei no, in che stati erano, no, a noi non hanno fatto mai niente, mio marito li nascondeva in stalla, una, due notti massimo, che era pieno di tedeschi, in quella volta.
  • Per bellezza. Le venne da ridere, come se avesse colto la stravaganza di quella motivazione per la prima volta. Anche l’uomo rise, se ne fanno di cose strambe, nella vita, pensarono entrambi. Ma entrambi sapevano della vera bellezza, quella che serve per vivere, non per contemplarla né descriverla con ghirigori poetici, una bellezza non come vernice staccabile dalle cose, ma dentro a una vita in cui sta dentro tutto, sterco, fatica, sangue di galline sgozzate e malizia di api cattive. Una bellezza che ammette anche i corpi come quello della vecchia, carne larga e molle, pochi denti malandati. Lui la guardò in una tal maniera che lei alzò la testa e fece uno sforzo per star un po’ più dritta.
  • E spioni.
  • E spioni, giusto. Che brutte robe, che brutte robe sono capitate in quella volta. Sempre paura avevamo. E dopo la guerra vennero quei altri, non eravamo più padroni del nostro, dovete far questo e quello dicevano, a vendere il vostro vino ci pensiamo noi, compagni. Così dicevano. Avevano brutti modi, proprio brutti modi.
  • Anche altre cose raccontò, la vecchia, che aveva preso gusto a parlare, l’uomo era bravo a farle le domande, e così lei gli disse anche di quando era giovane, e andava a piedi fin Momiano per ballare e di giovinotti, eh, ne aveva fin che voleva. Mai una sola volta si lamentò come fanno le vecchie di città, avrebbe potuto, di sicuro era piena di acciacchi e dolori, ed era povera povera, tutti i suoi erano morti, solo i gatti per compagnia le erano rimasti, ma i gatti, si sa, vanno e vengono, son fatti così, i gatti.
  • Niente le ho offerto, non è creanza, ma dentro casa non mi va di stare, sapesse che bordel là dentro, mi vergogno, almeno un bicèr de vin, neanche quello, che pecà.
  • Ma no, si sta tanto bene fuori oggi, meglio fuori, così un bel sole, non stia aver pensiero.
  • Quando la salutò prima di andarsene l’uomo la guardò fisso e pensò che presto sarebbe morta come stava morendo la stanzia che aveva fatto da sfondo al loro incontro; verrò a trovarla ancora, disse, sì, disse lei, sì, e rise ancora una volta. Chissà se ci sarò se torna non lo disse, ma lo pensò e vide quello stesso pensiero negli occhi di lui e lui fu contento che lei fosse stata così brava a non mettere nessun cenno di morte nelle parole che, tra loro, erano state belle e chiare, come lei, come il mattino che avevano vissuto assieme.