LA CHIESA DI SANTA BIBIANA IN ROMA -Bernini scultore e architetto nella Roma di Urbano VIII

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STORIA DELL’ARTE

LA CHIESA DI SANTA BIBIANA IN ROMA

Bernini scultore e architetto nella Roma di Urbano VIII

di Nadia Danelon

Quella di Santa Bibiana è una delle tante chiese della Città Eterna, non lontana dalla stazione Termini, collocata in un quartiere trasformato dalla costruzione degli edifici ferroviari: le sue origini sono lontanissime, legate a quel tipo di tradizioni leggendarie che tanto spesso accompagnano i miti costruiti sulle storie dei primi santi martiri.

Pare che una certa Olimpia, matrona romana, abbia fatto costruire la chiesa originale sullo stesso terreno della casa dove Bibiana è stata giustiziata. La morte e l’abbattimento dell’edificio originale andrebbero a collocarsi a distanza di sedici anni (rispettivamente, nel 347 d.C. e nel 363 d.C.): tuttavia, un’altra testimonianza degna di nota, riportata nel “Liber Pontificalis”, fa risalire la realizzazione della prima chiesa al pontificato di papa Simpicio (nel 467 d.C., più di un secolo dopo il martirio della santa titolare).

I resti mortali di Bibiana, insieme a quelli della sorella Demetria e della madre Defrosa vengono ritrovati nel marzo del 1624: si presenta così l’occasione per un restauro della chiesa, voluto da papa Urbano VIII. Le modifiche permettono di rimodernare le strutture preesistenti, già riorganizzate al tempo di papa Onorio III (1224): il responsabile dei lavori è Gian Lorenzo Bernini, al suo esordio nel settore architettonico.

Questo restauro radicale, favorito dalla coincidenza temporale con il Giubileo del 1625 (come ricordato nelle iscrizioni delle porte d’ingresso), prevede delle grosse modifiche tanto alla struttura dell’edificio, quanto all’intera zona su cui la chiesa sorge: viene definitivamente abbattuto il convento medievale, attivo fino alla metà del XV secolo, di cui viene conservata la memoria tanto nella presenza delle lapidi di alcune delle badesse ancora osservabili lungo le navate laterali della chiesa, quanto nella lapide del porticato (XIII secolo) che parla anche dell’antico cimitero collocato un tempo nei pressi dell’edificio. Sempre all’interno della stessa area, viene storicamente documentata la presenza della cosiddetta “Erba di Santa Bibiana”, miracolosamente curativa: viene ricordata nell’ambito della statua dell’altar maggiore.

Le modifiche vere e proprie, promosse da Urbano VIII e relative alla struttura architettonica dell’edificio, comprendono alcuni rifacimenti di notevole portata. Quello della facciata, in primis: un’occasione in cui Bernini riesce nel tentativo di adattare a una struttura religiosa le caratteristiche tipiche dei palazzi civici rinascimentali, il tutto accompagnato dalla messa in pratica delle novità barocche. Viene realizzata anche la struttura del presbiterio, in sostituzione dell’antica abside: vengono edificate anche due cappelle, al termine delle navate laterali. Dedicate alla madre e alla sorella di santa Bibiana, custodiscono rispettivamente le pale d’altare di Pietro da Cortona (la tela raffigurante santa Dafrosa) e di Agostino Ciampelli (la tela raffigurante santa Demetria): viene realizzata dagli stessi autori anche la decorazione della navata centrale, con storie relative alla vita della santa titolare (la struttura delle stesse pareti viene modificata nel corso del medesimo restauro, con la chiusura delle finestre originali).

INTERNOL’interno della chiesa racchiude alcuni preziosi reperti risalenti all’antichità: eccellentemente inglobati nell’ambito della riorganizzazione dell’edificio progettata dal Bernini, possono essere ancora ammirati. Accanto all’ingresso è posizionata una colonna in marmo rosso: se vogliamo credere alla tradizione, si tratta di quella su cui santa Bibiana è stata flagellata con corde piombate. La colonna è protetta da una grata in bronzo dorato, progettata dallo stesso Bernini. L’altro elemento risalente all’antichità è la vasca in alabastro di epoca costantiniana, che contiene i resti mortali delle tre sante (Bibiana, Demetria e Dafrosa): è inglobata nella struttura dell’altare maggiore, al centro del quale si può osservare una nicchia scura, che crea un favoloso contrasto con l’opera collocata al suo interno. Illuminata da una finestra nascosta, la statua marmorea di Santa Bibiana realizzata da Gian Lorenzo Bernini (1624-1626) mette meravigliosamente in risalto la sua posa elegantemente statica, un’occasione in cui lo scultore evita di raffigurare il turbamento della figura femminile per mezzo di pose contorte e dinamiche. L’utilizzo della luce naturale, che essendo celata agli occhi dello spettatore diventa quasi spirituale, è un espediente che viene utilizzato per la prima volta dal Bernini nel contesto della statua di santa Bibiana: come noto, lo ritroviamo nella successiva Estasi di Santa Teresa della Cappella Cornaro in Santa Maria della Vittoria. Lo scultore papale, nell’evidente espressività del volto della santa, riesce a trasmettere la grande emozione legata alla contemplazione del divino: Bibiana alza lo sguardo verso il Padre Eterno affrescato sulla volta del presbiterio. Memorabile è il commento alla statua riportato in una pubblicazione del Montanari (2004), che ne parla in questi termini: “L’olimpica accettazione del martirio è espressa con una forza che non è inferiore a quella con cui David grida la sua feroce determinazione, o Dafne il suo terrore”. In effetti, in quello stesso periodo, Bernini è impegnato anche nella realizzazione del celebre gruppo di Apollo e Dafne: si è accennato al fatto che lo scultore riesce ad inserire nel contesto della statua quello che è stato interpretato dalla critica come un chiaro riferimento all’erba miracolosa legata al culto della santa (la fonte è nuovamente Montanari), ma l’elemento naturalistico reso per mezzo di un piccolo cespuglio rigoglioso viene contestualizzato più chiaramente nella sua allusione alle foglie d’alloro del gruppo conservato presso la Galleria Borghese. La statua di Bibiana, accompagnata da una copia della colonna sulla quale è stata flagellata e recante in mano la palma del martirio, è resa sublime dai panneggi: tanto contorti e trafitti, che riescono a creare dei magnifici giochi di luce e ombra. La sua bellezza senza tempo fa risaltare la dignitosa accettazione del martirio, illuminata dalla fede cristiana: così come voluto dalla committenza, senza alcun dubbio permette ai fedeli di meditare sul significato del destino accettato con serenità dalla santa raffigurata.