Il robot perturbante 8

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Sigmund Freud sul perturbante

di Giuseppe O. Longo

 

Si dice unheimlich tutto ciò che dovrebbe restar

segreto, nascosto, e che invece è affiorato.

Friedrich Schelling

 

Nel 1919 Sigmund Freud (1856-1939) riprende in mano un vecchio manoscritto, lo riscrive e lo intitola Das Unheimlich. Come nota lo stesso autore, l’aggettivo tedesco unheimlich non ha in italiano (né in altre lingue) un corrispondente preciso e si potrebbe tradurre di volta in volta con inquietante, pauroso, sinistro, lugubre, sospetto; per qualche motivo, alla lunga si è affermato perturbante. Nel saggio Freud si richiama esplicitamente al lavoro di Jentsch, in parte tuttavia per criticarne l’interpretazione del perturbante fondata sull’incertezza, che trova limitata.

Per Freud infatti il perturbante è «quella sorta di spaventoso che risale a ciò che ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare», e basa questa definizione sulla lunga e articolata voce heimlich del vocabolario della lingua tedesca di Daniel Sanders e sulla definizione che si trova nel vocabolario dei fratelli Jacob e Wilhelm Grimm. L’aggettivo heimlich ha due significati, entrambi risalenti alla radice heim (casa): in primo luogo domestico, familiare, fidato, grato; in secondo luogo nascosto, segreto, celato (e mantenuto celato senza far conoscere agli altri il motivo del nascondimento).

Il contrario, unheimlich, significa quindi disagevole, infido, che suscita repulsione; ma è unheimlich anche tutto ciò che dovrebbe restare nascosto (heimlich) e che invece è affiorato. Si osservi che questa seconda definizione di unheimlich era stata già proposta dal filosofo Friedrich Schelling (1775-1854). E, nota Freud, dalla lunga voce del vocabolario di Sanders emerge che heimlich (nella sua prima accezione, di familiare, palese) tra i suoi significati ne ha anche uno in cui coincide con il suo contrario, unheimlich (emerso, palese, cioè il contrario del secondo significato). Insomma unheimlich è in qualche modo una variante di heimlich. Se qualcosa suscita spavento è proprio perché non è familiare, anche se non tutto ciò che è ignoto suscita spavento. Ma, continua Freud, per capire meglio bisogna seguire la definizione di Schelling, che ha a che fare, secondo il fondatore della psicoanalisi, con la rimozione.

Per dimostrarlo, seguendo Jentsch, Freud volge poi la sua attenzione ancora una volta all’analisi dell’Uomo della sabbia di Hoffmann, ma in opposizione a Jentsch afferma che nel racconto il perturbante non nasce tanto dall’incertezza che il lettore prova nei confronti della natura di Olimpia quanto dalla figura dell’uomo della sabbia, che strappa gli occhi ai bambini. E, sempre confutando Jentsch, afferma che l’effetto perturbante del racconto non ha nulla a che fare con l’incertezza intellettuale: «Oseremo dunque ricondurre l’elemento perturbante rappresentato dall’uomo della sabbia all’angoscia propria del complesso di evirazione infantile». Di qui in avanti, Freud approfondisce la sua interpretazione psicoanalitica, nella quale non intendo addentrarmi se non per accennare che tra i tanti motivi che s’intrecciano nel saggio vi sono quello del sosia, cioè del doppio, e quello della coazione a ripetere, entrambi fonte di perturbante. Freud elenca alcuni esempi di perturbante, che cataloga all’interno di un principio da lui chiamato col nome suggestivo di “onnipotenza dei pensieri”, che corrisponde all’antica concezione del mondo propria dell’animismo: una concezione «caratterizzata dagli spiriti umani che popolavano il mondo, dalla sopravvalutazione narcisistica dei propri processi psichici, dall’onnipotenza dei pensieri e dalla tecnica della magia […] nonché da tutte le creazioni con le quali il narcisismo illimitato di quella fase dell’evoluzione si opponeva alle esigenze irrecusabili della realtà».

Ciascuno di noi ha attraversato una fase di animismo che si è lasciata dietro residui capaci di manifestarsi: ciò che oggi ci appare perturbante risponde «alla condizione di sfiorare tali residui di attività psichica animistica e di spingerli ad estrinsecarsi». Ecco allora perché ciò che è heimlich (familiare-nascosto) può trapassare in unheimlich, che non è niente di estraneo, ma è qualcosa di familiare alla vita psichica «fin da tempi antichissimi e a essa estraniatosi soltanto a causa del processo di rimozione».

Secondo Freud, dunque, i fattori che trasformano l’angoscioso in perturbante sono l’animismo, la magia, l’onnipotenza dei pensieri, la relazione con la morte, la ripetizione involontaria e il complesso di evirazione. Anche l’epilessia e la follia hanno effetti perturbanti (come già aveva affermato Jentsch), poiché rivelano la presenza di forze insospettate, ma di cui si percepisce oscuramente la presenza in angoli remoti della propria personalità. Il perturbante si manifesta quando il confine tra fantasia e realtà si intorbida e quando ciò che era considerato fantastico si rivela reale: ciò accade anche nelle pratiche magiche, che si ricollegano all’onnipotenza dei pensieri.

Infine il creatore della psicoanalisi distingue il perturbante legato agli accadimenti della vita reale dagli effetti perturbanti, solo immaginati, appartenenti al mondo della finzione letteraria. Il perturbante letterario è molto più ampio e non si limita a ciò che si sperimenta nella vita reale; inoltre il regno della fantasia è esonerato da quello che Freud chiama “l’esame di realtà”. Da una parte molte cose che, se accadessero nella vita sarebbero perturbanti, non lo sono in letteratura, e viceversa la letteratura possiede molti mezzi di cui la vita non dispone per suscitare il perturbante. Per esempio lo scrittore può tenerci nascoste le premesse che stanno alla base della vicenda narrata, evitando di chiarirle fino alla fine.

 

(8- continua)