La condizione dei “rimasti”
Il Ponte rosso N°90 | marzo 2023 | Rosanna Turcinovich | testimonianze
Le comunità italiane dell’Istria e di Fiume – in Dalmazia non ne esistono più – avrebbero necessità di una carica di rifondazione e rinascita
di Rosanna Turcinovich
Ti svegli una mattina e sai di essere diverso, sai che ad ogni risveglio questo pensiero sarà lì, fantasma gaudente, a ricordarti il tuo colore, non di appartenenza partitica o di pelle, ma nazionale. Un bianco e nero, rosso e viola, giallo e blu che la storia di queste terre ha stigmatizzato in un “qua e là” dal confine statale che oggi, nella nuova Unione Europea che si allarga ad est, “potrebbe” svanire. Usiamo il condizionale perché l’acquisizione di coscienza non è automatica, la gioia della scomparsa dei confini potrebbe essere effimera, leggera, evanescente: abituarsi al bello, al comodo, al facile, è un attimo, ragionarci e farlo proprio è un percorso faticoso e contorto, per le troppe cose da mettere a confronto.
Mentre gioiamo dei liberi confini tra Slovenia-Italia-Croazia, una minoranza sta morendo, quella italiana in Istria e a Fiume che l’ultimo censimento in Croazia – i risultati sono stati resi noti nel settembre 2022 – stabiliscono a quasi 14mila unità, con una diminuzione di 4mila persone nell’arco di dieci anni. Un dato preoccupante, le ragioni vanno analizzate.
La comunità italiana non è un corpo granitico, è posta a ‘macchia di leopardo’ – come è stata definita la sua dispersione geografica – tra Istria, Fiume e Dalmazia. In ogni località un piccolo gruppo, in parte raccolto intorno alla Comunità degli Italiani, in Croazia e Slovenia ce ne sono poco più di una cinquantina, che sostiene un presente fatto di lingua, cultura, tradizioni, scelta identitaria. Perché l’appartenenza ad un gruppo nazionale è impegnativa. Chi nasce in una famiglia italiana o mista in un territorio come quello istriano-fiumano-dalmato, cresce in un ambiente complesso: a casa si parla l’italiano, e magari un’altra lingua (croato o sloveno), ma fuori casa il croato e lo sloveno spesso sono l’unico veicolo linguistico. Uniformarsi senza resistenza alcuna, è spesso la via più semplice ma lo strappo della rinuncia alla propria appartenenza nazionale, spesso, è un tarlo che scava l’anima, tormenta lo spirito degli avi, insinua il dubbio di un tradimento che pesa come un macigno. L’oblio spesso è una strada percorribile, nascondere anche a sé stessi quel legame atavico che tiene abbracciati al ramo della storia genealogica e lasciar fluire il nuovo corso senza peso ma non senza un prezzo da pagare.
Lo svuotamento di un territorio come quello giuliano-fiumano-dalmato ha un retaggio fisico, si chiama Esodo, che ha portato alla desertificazione umana delle città e della campagna, da certe località ad andarsene, alla fine della Seconda guerra mondiale, è stato il 98 per cento della popolazione. Negli anni Sessanta a percorrere l’Istria interna, ci si infilava in paesini silenziosi e muti, non un’anima ad accogliere il passante, solo la rivincita di arbusti e rovi decisi a crescere dentro le case, invadere le mura, indurre i tetti ad implodere miseramente. Per i pochi rimasti resistere è stata una scelta testarda, spesso pagata con la morte civile in una dittatura che ammetteva solo sé stessa.
Splendide pagine di letteratura descrivono quei momenti, firmate da Pier Antonio Quarantotti Gambini, Paolo Santarcangeli, Franco Vegliani, Mario Schiavato, Enrico Morovich, Nelida Milani, Claudio Ugussi, Franco Fornasaro, Diego Zandel, Fulvio Molinari, Enzo Bettiza e soprattutto Fulvio Tomizza. Il loro percorso non è caratterizzato dalla mera scrittura ma dalla testarda volontà di fermare il contorno di un popolo destinato a scomparire nella massa, frantumato a tal punto da indurre le associazioni di rappresentanza a dotarsi di strumenti idonei, come i raduni, i bollettini e quant’altro, per mantenere un necessario contatto salvifico.
L’esule non è l’emigrante che tornando al Paese ritrova le persone care, gli amici, i parenti, la lingua e le tradizioni nella loro fissità. L’esule, quando torna, è estraneo agli altri e a sé stesso. Chi è rimasto ha vissuto i silenzi dell’abbandono, i vuoti determinati da chi se n’è andato. Una dinamica che ha resistito negli anni fino a che, per ragioni anagrafiche, i protagonisti dello strappo epocale sono andati avanti.
Chi rimane non sa o sa ben poco. I rimasti potrebbero essere il morbido cuscino su cui far adagiare le teste insonni di chi ritorna, creando occasioni d’incontro e di conoscenza. Potrebbe essere la ragione stessa del ritorno ma forse non c’è coscienza di questo fatto perché il dialogo è stato interrotto troppo tempo fa. E allora?
I figli degli esuli potrebbero portare alle scuole italiane in Istria e a Fiume – in Dalmazia non ne esistono più – una necessaria carica di rifondazione e rinascita. L’incontro tra gli scrittori, la motivazione per continuare a produrre letteratura importante che si sparga a macchia d’olio anche a livello nazionale. Ora si può, si può arginare la fuga di anime, si potrebbe riportare nuove ragioni per immaginare il futuro insieme. Senza confini tutto ciò è possibile ma gli uomini non lo sanno o considerano che sia troppo tardi per agire, per passare dalle parole ai fatti, dall’ignorarsi a collaborare.
Magari potrebbe essere proprio la scomparsa dei confini, la molla giusta, l’occasione per crescere creando momenti d’incontro e di scambio di esperienze. Una comunità nazionale è un tessuto sensibile che non si salva da solo, ha bisogno di stampelle e sostegno, sia materiale che l’Italia supporta grazie alla legge 73 a tutela della minoranza, che soggettivo che coinvolga le persone e la società civile con iniziative che muovano le acque sino in fondo, come un temporale o mare forte di scirocco, e riporti a galla speranze sopite e sogni per troppo tempo sognati, per salvare chi rimane trasformando un’appartenenza impegnativa nella gioia di essere e rimanere sé stessi.
Rosanna Turcinovich Giuricin è nata a Rovigno (Pola) nel 1957, fa parte della Comunità nazionale italiana in Istria. Si è formata al quotidiano La Voce del Popolo di Fiume dove ha lavorato fino al 1992 come responsabile delle pagine culturali. Trasferitasi a Trieste, ha collaborato con Trieste Oggi, Il Meridiano, Il Piccolo-Istria Amica, Telequattro e TeleCapodistria. Attualmente è direttore del mensile La Voce di Fiume dell’Associazione fiumani italiani nel mondo. Fa parte dell’associazione Giuliani nel Mondo dal 2008. Nel 2006 ha ripreso il suo lavoro al quotidiano La Voce del Popolo, in qualità di corrispondente dall’FVG. Ha realizzato numerosi video di interviste e documentari su aspetti e personalità dell’Istria e dell’Alto Adriatico. Autrice di numerosi libri, fra i più recenti Esuli due volte (Oltre edizioni, 2022), storie dei giuliano-dalmati negli altri continenti. Per la sua attività giornalistica, ma anche quale autore di testi letterari, è stata insignita di premi in Istria e in Italia, l’ultimo, nel 2021, il Premio Tomizza.
Rosanna Turcinovich