La grande sfida di Venezia 77

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di Alan Viezzoli

 

La vera notizia rilevante riguardo la 77ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica, che si è svolta a Venezia dal 2 al 12 settembre 2020, è che tale manifestazione sia stata effettivamente realizzata in presenza. Fortemente voluta dal presidente della Biennale Roberto Cicutto, la Mostra è stata il primo grosso evento in assoluto dopo il cosiddetto “lockdown”.

Se già organizzare una manifestazione importante come quella di Venezia non è facile, lo è ancora meno dovendo rispettare le norme di sicurezza per evitare il diffondersi del covid-19 tra i partecipanti. In tal senso la Mostra è stata anche un banco di prova per gli organizzatori di festival di tutto il mondo per capire se in questo momento storico un evento in presenza sia ancora possibile oppure se è preferibile saltare un anno (come hanno fatto Cannes e Locarno) o spostare tutto online (come le “Giornate del Cinema Muto” o il festival di Torino).

Per quanto mi riguarda, va fatto un enorme plauso a tutte le persone coinvolte nell’organizzazione di Venezia 77: dalle maschere di sala agli addetti ai controlli nei pressi del Palazzo del Cinema, da chi si occupava delle pulizie fino ai membri delle forze dell’ordine che presidiavano gli ingressi all’area della Mostra. Pur se filtrato dalle mascherine e ricoperto di gel igienizzante, il clima che si poteva respirare in tutti i dodici giorni di festival era quello di un ambiente sicuro in cui ognuno era messo a suo agio e in grado di svolgere al meglio il proprio lavoro. Tanto è vero che, nonostante la quantità di gente che ogni giorno girava nella zona del festival, non si sono riscontrati casi gravi di contagi o di positività al virus.

Certo, alla riuscita della Mostra hanno giovato alcune mirate scelte organizzative e, se vogliamo, la situazione internazionale. Gli accreditati, infatti, erano solo 5.000, a fronte dei 12.000 degli anni scorsi. Questo perché ne sono stati concessi un po’ di meno ma anche a causa dell’assenza di stranieri provenienti da diversi Paesi, quali Brasile, Cina, Russia e Stati Uniti. Anche i non accreditati al Lido erano molto di meno, per due motivi: il primo è che quasi tutte le proiezioni aperte al pubblico sono state spostate in cinema situati nel nucleo centrale di Venezia o addirittura a Mestre. Il secondo è che, per permettere ai fotografi di mantenere la distanza sociale tra di loro, gli organizzatori hanno dovuto allargare le postazioni e, di conseguenza, coprire alla vista il “red carpet”. Questo ha fatto sì che molte persone abbiano deciso di non affrontare il viaggio per arrivare al Lido, non potendo vedere i loro divi preferiti sfilare sul tappeto rosso né fermarli per chiedere un autografo.

Una sfida organizzativa assolutamente vinta per lo staff capitanato da Alberto Barbera, il direttore artistico della Mostra. Lo stesso risultato vale anche per i film? Tutto sommato la mia risposta è positiva. Seppur in un anno in cui era difficile trovare dei buoni film da presentare – vuoi perché non erano ancora pronti, bloccati dalla pandemia, vuoi perché le major hollywoodiane hanno deciso di non presentare le proprie pellicole a Venezia in quanto impossibilitate a far arrivare il cast al Lido per gli incontri e le interviste – la qualità media delle opere nelle varie sezioni è stata buona.

Forse anche la scelta della giuria, presieduta da Cate Blanchett, di premiare un prodotto come Nomadland – film discreto che corre su binari consolidati e che proprio per questo sa accontentare tutti, nonché unica pellicola del concorso a poter trovare una facile distribuzione nelle sale – può essere vista come una vittoria per la Mostra, nell’ottica di divulgare il Cinema di qualità ma, al contempo, di provare a riportare il pubblico fuori di casa per farlo sedere davanti al grande schermo. E di questi tempi gli esercenti sanno bene quanto ce ne sia bisogno!