La memoria del mondo in laguna

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di Stefano Crisafulli

 

È un luogo della mente, ma è anche un luogo reale e si trova nella laguna di Grado. Lì, a pelo d’acqua e tra i canneti, il regista Mirko Locatelli, assieme alla co-sceneggiatrice Giuditta Tarantelli, ha ambientato il suo nuovo film, La memoria del mondo, che è stato presentato recentemente al Trieste Film Festival e, sabato 11 marzo, al cinema Ariston di Trieste. Proprio in quest’occasione il regista, assieme alla co-sceneggiatrice e ad uno dei protagonisti del film, Maurizio Soldà, che ha vestito i panni dell’artista Ernst Bollinger, hanno risposto alle domande del pubblico in sala.

Rimasto affascinato da un luogo di villeggiatura che d’inverno si svuota, subendo una metamorfosi che lo rende suggestivo e interessante, Mirko Locatelli, piemontese d’origine, ha fortemente voluto costruire lì una storia. Ma non c’è solo la laguna di Grado a comporre la geografia immaginaria dell’opera: altre location della regione vi hanno contribuito, come le foci dell’Isonzo, il magazzino 26 nel Porto Vecchio di Trieste, le grotte di Pradis e il borgo riemerso di Movada, diventando tutte assieme un unico luogo, reale e irreale, nel quale perdere l’orientamento e, allo stesso tempo, ritrovare la memoria del mondo. L’onnipresenza dell’acqua e i tre personaggi di età diverse, l’anziano maestro Ernst Bollinger (la cui figura è ispirata a Serse Roma), il suo biografo Adrien (Fabrizio Falco) e il giovane barcaiolo Giulio (Fabrizio Calfapietra), così come la sinuosa lentezza delle riprese, richiamano inoltre echi tarkovskiani.

La trama è programmaticamente esile essendo molto più importanti l’atmosfera dei luoghi e gli stati d’animo: i tre personaggi si mettono alla ricerca della moglie dell’artista improvvisamente scomparsa a inizio film e il percorso di ricerca, anche interiore, che intraprendono li porta a vagare in una natura bella e labirintica, attraverso la quale si intravedono, come ombre, anche gruppi di migranti in fuga. Tutti e tre, come racconta Locatelli, reagiscono in modo diverso alle loro sofferenze personali: Adrien ha bisogno della parola per esorcizzare il dolore e quindi si affida ad un miniregistratore e alla penna per trascrivere sentimenti e pensieri, che si intersecano con la biografia da completare, Bollinger oppone invece il silenzio e la sua corporeità, mentre Giulio si muove continuamente ed è una sorta di psicopompo per gli altri due. Ma in fondo la storia, che si potrebbe definire un noir esistenziale o un ‘falso noir’ perché depista sin dall’inizio il pubblico, rimane un pretesto per raccontare una sospensione e uno spaesamento che possono riguardare ciascuno di noi. La scomparsa di Helena (interpretata da Tina Hallikuonen) è l’elemento scatenante che dà il via alla ricerca e il fatto che poi venga ritrovata o no (cosa che ovviamente non riveleremo) ha una rilevanza tutto sommato relativa. Eppure il perdersi è anche qualcosa di positivo, perché permette ai tre personaggi di solidarizzare in un momento difficile e di tornare a contatto con la natura. E permette anche a noi spettatori di guardare con occhi diversi un luogo come Grado che sembra vivere solo d’estate e invece, forse, inizia ad esistere veramente quando i turisti non ci sono, tra il mare e il cielo.