La mia arte per la fede

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In quasi cento chiese di tutta Italia le opere del triestino Luciano Bartoli

Affreschi, mosaici, vetrate, arredi E molti libri di argomento sacro

di Roberto Curci

 

LUCIANUS BARTOLI TERGESTINUS PINXIT, e di seguito la data. Così firmava le proprie opere un artista, Luciano Bartoli per l’appunto, nato a Trieste il 12 luglio 1912. Un pittore? Anche, ma non solo. Un artista a 360 gradi, tanto inverosimilmente prolifico quanto sostanzialmente sconosciuto. Nel suo basilare Dizionario Claudio H. Martelli lo incluse, senza però precisare date di nascita e di morte e dedicandogli in tutto  tre righe e mezza.

C’è voluta l’infinita tenacia e pazienza del figlio Giuliano, che con lui spesso collaborò, per consentire di tracciare, dell’artista tergestinus, un attendibile ritratto e un parziale censimento della sua enorme opera, tutta imperniata sui temi del sacro e devoluta a una novantina (e forse più) di chiese e chiesette in città, cittadine e borghi d’Italia, ma anche di paesi esteri: Venezuela, Brasile, Kenya, Sudan, Croazia.

Una dedizione pervasiva e totale alla Fede e alla sua visualizzazione attraverso le reiterate immagini del Cristo, di Madonne e Santi, di Martiri e Profeti, di simboli religiosi e devozionali. Una dedizione che si sarebbe tradotta non soltanto in una madornale mole di affreschi, mosaici, vetrate, pitture su tela e su tavola, e nella creazione di fonti battesimali, lampade, cancelli, arredi sacri e sacri paramenti, ma pure in un numero altrettanto sorprendente di opere scritte e tematicamente affini (una ventina almeno), alcune delle quali rimaste inedite alla morte di Bartoli, avvenuta ad Aosta nel 2009.

Ha scritto Giuliano Bartoli, ricostruendo il percorso biografico del padre (che non usava catalogare i propri lavori, e mentre era all’opera nella chiesa di X già pensava – da vero stakanovista della Fede – al prossimo impegno nella chiesetta di Y): «Questa sua competenza nell’ambito liturgico nasceva da lontano. Avviatosi agli studi ecclesiastici nel 1927, dopo aver compiuto il ginnasio a Torino, studiò nella Piccola Casa del Cottolengo, poi a Capodistria nel seminario locale per i tre anni del liceo, e passò quindi a quello teologico di Gorizia, ove si fermò per quasi due anni».

Che abbia poi frequentato l’Accademia di belle arti di Venezia non è assodato. Di certo già nel 1934, a 22 anni, realizzò una Via Crucis murale e una serie di medaglioni  nella chiesa di Santa Caterina a Isola d’Istria (nel dopoguerra tramutata in palestra dal nuovo regime…) e, nella stessa cittadina, affreschi col fondo in finto mosaico nella cupola della cappella della Madonna del Carmine in Duomo, assieme ad altre opere nel medesimo tempio. A Isola trovò anche colei che nel 1940 sarebbe divenuta sua moglie, Leonilde (Lina) Pugliese.

L’unica parentesi laica della sua attività si ebbe negli anni della guerra, quando operò come disegnatore tecnico e arredatore navale nei Cantieri di Monfalcone e poi al San Marco di Trieste. Qui diede ottima prova di sé progettando varie sale della motonave “Australia”, dal design dei mobili e delle luci alle decorazioni delle pareti (compresi i divertenti Pinocchi della sala-giochi) e agli intarsi dei pavimenti.

Ma già nell’immediato dopoguerra  Bartoli tornò alla sua vocazione, anzi alla sua missione, sia col pennello sia con la penna. Nel 1950 uscirono due suoi libri, Simbologia Mariana. Guida per gli artisti e L’arte nella casa di Dio. Manuale di arte sacra, un tomo di seicento pagine con oltre duecento disegni dell’autore. L’anno dopo fu stampato il primo dei suoi cinque Atlanti liturgici, ognuno con più di duecento tavole. Ancora oggi pare siano preziosi come fonte iconografica per quanto concerne i paramenti sacerdotali e gli arredi sacri.

Dagli anni ’50 la sua produzione artistica non conosce soste. Si succedono le commissioni e la realizzazione di cicli pittorici da Nord a Sud: di grande impegno e soddisfazione per Bartoli è la decorazione della chiesa della Madonna del Mare, che era stata la sua parrocchia a Trieste (nel frattempo si era trasferito a Padova con la moglie e i tre figli). Qui disegna i simboli incisi negli stipiti delle tre porte del tempio, i motivi degli intarsi marmorei policromi delle balaustre e dei pavimenti, i graffiti delle acquasantiere e i cartoni per il grande mosaico mariano che domina l’abside. Si aggiungeranno i disegni per le 33 vetrate, da lui personalmente realizzate nell’officina Fanin di Padova tra 1969 e ’70.

Impossibile sintetizzare in poche pagine il curriculum di quest’uomo infaticabile, che non volle farsi sacerdote ma che trasferì nell’arte la sua sete di spiritualità in maniera totalizzante. Basti dire che lavorò in chiese di grandi città (Roma, Milano, Torino, Napoli, Bergamo, Padova, Messina, Salerno, Crotone, Udine, Pordenone) e di località ben piccine. Citando alla rinfusa: Satriano di Lucania, Canosa Sannita, Castel del Giudice, Carlentini, Orbetello,  Rovagnasco, Saluzzo, Peveragno, Rivamonte Agordino, Nus, Issogne e altri piccoli centri della Val d’Aosta, dove infine – in età avanzata – si trasferì, senza smettere di dipingere e di scrivere. Spesso al suo fianco c’era il figlio Giuliano, specialista nell’arte dello smalto su lastra di rame per la decorazione di tabernacoli, amboni, paliotti per altari. Un rapporto privilegiato Bartoli stabilì con la minuscola Segni (novemila anime, presso Roma), dove operò a più riprese e in più siti tra anni ’60 e ’70.

Nel 1973, a 61 anni, lavorò a lungo nella cattedrale di San Tommaso a Ortona, per un totale di 300 metri quadri di affreschi, compresa la cupola, decorata standosene arrampicato a 45 metri di altezza. Negli anni ’80 fu in Kenya e in Sudan, quindi operò in Croazia, a Zagabria e a Ragusa/Dubrovnik. Ma la soddisfazione maggiore l’ebbe probabilmente con la pubblicazione di un librone poi cinque volte ristampato, una grande collazione di materiale iconografico antico e moderno sotto il titolo La Chiave. Per la comprensione del simbolismo e dei segni del sacro. Edito dalla LINT di Trieste nel 1982, consente di chiudere il cerchio tornando nelle terre natali di Bartoli e aggiungendo che un’opera sua sta pure nella parrocchiale di Barcola intitolata a San Bartolomeo, che suoi affreschi decoravano la chiesetta (ahimè, dismessa e fatiscente) di San Giovanni di Dio nell’ex Ospedale civile di Monfalcone e che affreschi e vetrate di sua mano corredano la chiesa di San Marco Evangelista al Villaggio del Pescatore.

Anche in questo lavoro, risalente al 1990 (Bartoli aveva quasi ottant’anni), fu coadiuvato da Giuliano, qui autore di una doppia croce a smalto: un’ulteriore conferma dello stretto rapporto, artistico e affettivo, tra  padre e figlio, benché la via principale imboccata da quest’ultimo fosse ben diversa. Nato a Isola d’Istria nel 1946, Giuliano Bartoli ha infatti scelto, professionalmente, di dedicarsi all’illustrazione  pubblicitaria ed editoriale, divenendo dagli anni ’70 l’autore di importanti campagne promozionali.

  1. S. Una curiosità: il pio Luciano Bartoli si concesse una sola escursione profana, decorando nel 1947 i muri della trattoria triestina All’antico spazzacamino con quattordici dipinti a tempera , gustose scenette corredate da didascalie in varie lingue: latino, francese, tedesco, sloveno e dialetto indigeno. Un divertissement tuttora visibile in quel piccolo ambiente, al civico 66 di via delle Sette Fontane. A disposizione di chi voglia conoscere l’altra, insospettabile faccia del Grande Devoto.

 

 

Luciano Bartoli

La Chiave

Per la comprensione del simbolismo

e dei segni nel sacro

(Edizioni LINT, Trieste, 1982)