Il paese dei paradossi
Editoriale | Il Ponte rosso N°86 | novembre 2022
Sembra di essere tornati indietro di qualche anno. In un panorama geopolitico globalmente del tutto mutato rispetto a quello del 2018-19, quando il Governo guidato per la prima volta da Giuseppe Conte aveva identificato nei migranti che arrivavano fortunosamente alle nostre coste – soprattutto se a bordo di navi delle organizzazioni non governative – uno degli snodi essenziali della sua azione, con implicazioni giuridiche e di relazioni internazionali, oltre che umanitarie, di assoluto rilievo. Oggi, a un paio di settimane dall’insediamento di un altro Governo almeno in parte diverso nella sua composizione, in un difficilissimo contesto economico, sociale e di politica estera, con una guerra insidiosissima alle porte, nella quale – volere o volare – anche l’Italia è direttamente coinvolta, sembra che il problema che prioritariamente preoccupa il nostro esecutivo sia un’altra volta quello di alcune centinaia di disgraziati naufraghi recuperati in mare dalle navi di varie o.n.g., cui si intende assolutamente interdire l’accesso alle nostre acque territoriali, e poi l’approdo nei nostri porti e infine lo sbarco dei migranti sul territorio nazionale.
Questo approccio al problema, che pure esiste ed è destinato a diventare ancora più pressante negli anni a venire, è frutto di una visione riduttiva e fuorviante, che si preoccupa soltanto del diritto-dovere di interdire ingressi non autorizzati nel Paese, avendo a modello il muro voluto da Trump tra USA e Messico, o quello tra Israele e Territori palestinesi, con la differenza che nel nostro caso il muro dovrebbe essere edificato in alto mare, al limite delle acque territoriali italiane. Il risultato di tale angusto modo di affrontare il problema lo abbiamo visto tre o quattro anni fa, lo abbiamo rivisto ora, con uguale scorno per i difensori a oltranza dei patri confini, e per di più aggravato da una crisi diplomatica senza precedenti nei rapporti con la Francia. Ritenere che la soluzione del problema degli afflussi di migranti sia percorribile per mezzo di un blocco navale del tutto irrealizzabile e comunque non risolutivo (si pensi alla cosiddetta “rotta balcanica”) costituisce argomentazione evidentemente utile nei comizi e nella propaganda, non certo nella definizione di un coerente progetto politico. Considerato che tale progetto dovrebbe contrastare flussi che, nei prossimi anni, dovrebbero aumentare esponenzialmente a causa di conflitti, di ingovernabilità di molti paesi africani, di carestie e siccità, soprattutto dell’incombere di una mutazione climatica della quale stiamo già intravedendo inquietanti segnali, è evidente che l’azione del Governo italiano dovrebbe inserirsi in un quadro di relazioni internazionali basato sul riconoscimento di una credibilità di cui al momento l’Italia non sembra disporre. Non esiste una via “sovranista” al contenimento del problema migranti, che non troverà certo soluzione al di fuori della concorrente volontà di sempre più allargati consessi internazionali, essendo anche la sola Unione europea insufficiente a confrontarsi con i prevedibili scenari di un imminente e incombente futuro.
Contestualmente al “battesimo del fuoco” del nuovo Governo con il problema dei migranti, viene pubblicato un Rapporto Italiani nel mondo 2022 della Fondazione Migrantes, dal quale apprendiamo che, a fronte di un numero di cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia pari al 8,8 % della popolazione, esiste un 9.8% di cittadini italiani residenti all’estero. In termini assoluti, gli immigrati in Italia sono quasi 5,2 milioni, mentre di emigrati dal nostro Paese sono oltre 5,8 milioni, in prevalenza giovani con alto livello di formazione. Come ha osservato il capo dello Stato, ciò ha «conseguenze evidenti sul calo demografico con ricadute sulla nostra vita sociale».
Un altro paradosso del nostro Paese, dove il problema dei migranti è percepito allarmante per quel che riguarda l’immigrazione e irrilevante invece per l’emigrazione.
Succede, quando si affrontano i problemi in termini di propaganda anziché di studio.