La famiglia Slataper

| | |

In un libro di Aurelio Slataper la storia di una famiglia importante per capire la storia di Trieste

di Walter Chiereghin

 

Quasi tutte le volte che siamo stati seduti allo stesso tavolo di un ristorante mi è capitato di sollecitare Aurelio Slataper a raccontare qualcosa della sua famiglia, di suo nonno Scipio, ma anche di altri dettagli e di storie di una famiglia che è stata importante nella storia della cultura e della vita civile triestina, anche a prescindere dalla figura di quel suo nonno che scrisse Il mio Carso. Nel clima amichevole di quegli incontri conviviali mi sono sovente rammaricato che le informazioni che venivano elargite da Aurelio a me e agli altri commensali non trovassero un’organizzazione sistematica e non fossero fissate in un testo scritto, esponendosi al rischio di cadere nell’oblio e di privare chi ne fosse interessato della possibilità di conoscere nel dettaglio una storia interessante quale quella della famiglia Slataper. Quel mio rammarico non ha più ragione di esistere, dopo la pubblicazione di questi Appunti per una storia di famiglia, come – con la modestia che lo contraddistingue – Aurelio Slataper ha inteso intitolare il libro di recente pubblicato dal Centro Studi che reca il nome di suo nonno.

Il volume è frutto di accurate ricerche condotte sulle ramificazioni di un albero genealogico complesso, indagato anche dal compianto Pavle Merkù a supporto di un suo saggio sull’origine del cognome, che fa risalire a tale Machor Sladaper, citato in un documento del 1515, che lo colloca a Modrej, piccolo borgo a sud di Tolmino. Lo studioso sloveno, inoltre, ci informa che il cognome, in alcune sue varianti derivanti da un’incertezza ortografica nei secoli più distanti, ma finalmente codificabile in Zlatopèr (la o al posto della a è riconducibile a una forma dialettale propria dell’area attorno a Tolmino) è attualmente presente soprattutto in Slovenia, dov’è utilizzato da quarantanove nuclei familiari, mentre sono poche unità le famiglie croate con tale cognome, e, soprattutto, non esistono né in Cechia né in Slovacchia persone con tale onomastica. Ciò fa giustizia dell’equivoco, presente in molte biografie di Slataper, secondo il quale sarebbe stata boema la provenienza della famiglia.

Il ramo triestino degli Slataper vede la presenza di un Filippo, ex gesuita, residente a Trieste nel 1773, mentre successivi precisi riscontri narrano di un Giacomo Filippo (Trieste, 1792-1836), commerciante e produttore di candele, undicesimo di una nidiata di quattordici fratelli.

Con sorprendente velocità, comunque, la famiglia del ramo triestino si integrò alla perfezione nel tessuto sociale della città, collocandosi ben presto nel ceto borghese dei commercianti, in rapida ascesa economica. Tale assimilazione implicava tra l’altro l’abbandono della lingua slovena a favore di quella italiana, facendo sì che «le origini slovene fossero state completamente dimenticate o volutamente cancellate, di pari passo con l’ascesa sociale della famiglia» (p. 16). Il successo negli affari consente alla famiglia di acquisire una dimora importante sul colle di San Vito, la villa che in precedenza era stata del console statunitense, tuttora esistente ed abitata, al n. 15 di Via R. Bazzoni. La grande villa, acquistata dal nonno di Scipio, Luigi senior (1825-1899) e abitata da alcuni dei suoi numerosi figli, è ricordata, con malcelata nostalgia, nelle pagine del Mio Carso, dal momento che fu anche la casa dell’infanzia di Scipio, prima che suo padre, Luigi junior (1863-1940), in conseguenza di un grave dissesto economico della sua attività commerciale, fosse costretto a cedere la quota di sua proprietà e a trasferirsi con la famiglia nel 1899, dapprima a Chiadino, zona periferica della città, successivamente in Via A. Canova n. 21 (ironia della sorte: ora a pochi isolati da Via Scipio Slataper) e infine, nel 1913, nell’attuale Via Fabio Severo.

Grazie alla parentela acquisita con Scipione de Sandrinelli, esponente del partito liberal-nazionale e sindaco di Trieste dal 1900 al 1909 (la sorella di Luigi senior, Matilde s’era accasata con Guiscardo, fratello di Scipione, mentre sua sorella Iginia, detta in famiglia “nonna Gina”, sposato Luigi junior, sarà la madre di Scipio), fu trovata una sistemazione economica per la famiglia, grazie a un posto nell’azienda municipale per l’energia elettrica. Oltre a ciò, oltre a suggerire il nome alla nascita di Scipio, lo zio mise anche a disposizione della famiglia una sua villa al di là del confine che all’epoca separava Trieste e l’Isontino dal Regno d’Italia, a Rosazzo, località ovviamente graditissima in particolare ai rampolli più giovani della famiglia, che videro in quella località, per generazioni, la possibilità di «vita all’aria aperta, camminate, perlustrazioni, partite di pallacanestro nel cortile di casa, scorpacciate di fichi o di uva. In altre parole, giornate di completa serenità» (p. 23).

Dal matrimonio tra Luigi junior e Iginia de Sandrinelli nacquero sei figli, la quarta generazione del ramo triestino degli Slataper, che attraversarono nel loro percorso biografico più o meno breve le pagine di una storia della città nell’ultima fase della sua crescita negli anni estremi dell’impero degli Asburgo e, fatalmente, coinvolti in quello snodo che fu per essi e per la città (ma diremmo anche per l’Europa) il primo conflitto mondiale. Ai tre fratelli maschi toccò il dubbio privilegio di parteciparvi direttamente al fronte, e, come per alcuni irredenti capitò, vestendo uniformi diverse: il primogenito Gastone (1886-1950), arruolato come ufficiale dell’esercito austro-ungarico fu inviato sul fronte balcanico, mentre Scipio e l’ultimogenito Guido disertarono e, riparati in Italia, si offrirono volontari e combatterono sul fronte dell’Isonzo, dove, come è noto, Scipio troverà la morte il 3 dicembre 1915.

Aurelio Slataper si sofferma naturalmente sulle vicende note che riguardano il nonno, allargando la visuale al resto della famiglia, compresa quella dei Carniel, della ditta Smolars che essi gestivano, esponendo con acutezza alcuni momenti essenziali della una biografia dolorosamente breve di Scipio, dagli anni della formazione a quelli della Voce, i conflitti coi nazionalisti triestini, i contatti con Prezzolini, l’amicizia con il gruppetto dei giuliani che lo seguivano a Firenze in quegli anni, e poi le tre amiche, Anna Pulitzer (Gioietta), Elody Oblath (che nel 1919 sposerà Giani Stuparich) e Luisa Carniel (Gigetta), che diverrà sua moglie e madre del suo unico figlio, Scipio Secondo, il suicidio di Anna, i mesi frenetici di preparazione all’intervento dell’Italia nel conflitto e quindi l’uniforme, le ferite, le trincee, la fine prematura, colpito a morte sul Podgora.

Meno note le vicende del fratello minore, Guido (1897-1974), anch’egli renitente alla leva austriaca e volontario nelle file dell’esercito italiano, nonostante la minore età che lo indusse a falsificare sui documenti la propria data di nascita per seguire il fratello al fronte, entrambi fanti nella Brigata Re. Nella stessa azione che vide cadere Scipio, Guido riportò una ferita al ginocchio, curato in un ospedale militare e, dopo una breve convalescenza, ritornato al fronte, si ritrovò, giovanissimo tenente, a comandare quel che restava del suo battaglione in un’azione di conquista del Monte Santo, non adeguatamente supportata a causa dell’imperizia degli alti comandi, il cui esito fu l’accerchiamento degli italiani e, per Guido, la deportazione, fortunatamente senza che fosse scoperta dal nemico la sua vera identità, che lo avrebbe condotto alla forca per alto tradimento. Tornato a casa alla fine del conflitto, si adoperò con alcuni altri reduci, tra i quali Foschiatti e Camber Barni, per dar voce a quanto rimaneva dell’irredentismo di matrice mazziniana, anche per mezzo di un periodico, La frontiera, che verrà soppresso nel 1925. Rimane dubbia e priva di riscontro la vicenda di un suo arresto in quell’anno, in seguito della repressione seguita allo scalcinato tentativo di attentato a Mussolini. Comunque, espulso o dimissionario dal PNF in seguito alla sottoscrizione di un appello in difesa delle minoranze slave, dovette abbandonare Trieste per cercare a Roma un’occupazione dignitosa. Nel 1935 si offrì volontario per partecipare, col grado di tenente colonnello, alla campagna d’Etiopia, il che gli consentì di ottenere una sorta di riabilitazione civile. Tornato alla vita civile, fondò una ditta di commercio di prodotti petroliferi nella quale si occupò fino a un terzo richiamo alle armi col grado di colonnello, col quale partecipò alla campagna di Albania, guadagnandosi una terza medaglia d’argento al V.M., che si sommava a quella d’oro, a un’altra di bronzo, a due promozioni per meriti di guerra e al cavalierato della Corona d’Italia, prima di essere posto in congedo nel 1941 per raggiunti limiti di età.

Rimane ancora da dire di Scipio Secondo, o Scipietto, come veniva chiamato in famiglia. Nato qualche settimana dopo la morte del padre sul Podgora, dovette portare durante tutta l’età evolutiva il peso dell’eredità morale che derivava da un genitore della statura culturale e civile del suo. Per dirne una, essendo allievo di Giani Stuparich, lo si sarebbe voluto particolarmente versato nelle materie letterarie, mentre invece preferiva quelle scientifiche. Durante l’adolescenza, però, si manifestò in lui una predisposizione naturale alla leadership di una compagnia di cugini ed amici, tra i quali Falco Marin, figlio di Biagio, particolarmente versati alle attività sportive. Terminato il liceo, Scipio Secondo s’iscrive al Politecnico di Milano, ma, affascinato da quanto a Roma, sotto la guida di Enrico Fermi, si viene sperimentando nell’ambito della fisica nucleare, abbandona gli studi di elettrotecnica per dedicarsi a quelli di fisica a Roma, dove collabora con Fermi fino al prudente trasferimento del grande fisico negli Stati Uniti, in previsione delle leggi razziali che avrebbero sicuramente colpito sua moglie, ebrea. Si fa convulsa la vita del giovane studente, che rimane deluso dalla partenza di Fermi, indeciso tra la fisica e la laurea milanese che tra l’altro gli avrebbe consentito di acquisire l’autonomia economica necessaria per sposare Julia, la figlia di un vociano antifascista, cognato di Marin, residente a Verona. Quello che non intendeva comunque fare era occuparsi della Smolars, l’azienda della famiglia Carniel. Poco più tardi, fu la guerra a decidere per lui, come del resto per tutti. Volontario anch’egli, che come orfano di guerra sarebbe stato esonerato dalla chiamata alle armi, con spirito ben diverso dalla generazione di suo padre e di Stuparich, finì tuttavia per scegliere il fronte: assegnato al 3° reggimento di artiglieria alpina della Julia, viene fatto prigioniero durante il ripiegamento dal Don e muore in un campo di prigionia sovietico nel gennaio del 1943. Medaglia d’oro alla memoria.

Come in una coazione a ripetersi del destino, anche suo figlio Aurelio non conoscerà il padre.

 

 

Aurelio Slataper

Appunti per una storia di famiglia

Centro Studi Scipio Slataper

Trieste 2019

  1. 150, euro 15,00