La patria turrita

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La personificazione dell’Italia, raccontata dalle immagini di un’epoca cruciale

di Nadia Danelon

 

“Una bellissima donna vestita d’habito sontuoso, e ricco con un manto sopra, e siede sopra un globo, ha coronata la testa di torri e di muraglie, con la destra mano tien un scettro, ovvero un’hasta (…) e con la sinistra mano un cornucopia pieno di diversi frutti, e oltre ciò faremo anco, che habbia sopra la testa una bellissima stella”. Nell’ambito di questa significativa descrizione riportata da Cesare Ripa nel prezioso testo Iconologia (pubblicato per la prima volta nel 1593) vengono citati tutti i simboli legati dell’allegoria dell’Italia, una personificazione che nasce nell’età antica. Gli attributi sono quindi la “testa coronata di torri, e di muraglie” (che deriva dalla rappresentazione della dea Cibele – la Terra), lo “scettro” (o “hasta”), la “cornucopia” (piena di frutti o di monete, rappresenta l’abbondanza), il “globo” (che nel caso delle raffigurazioni ottocentesche ricorre ben poco). La “bellissima stella” viene citata per ultima, anche se probabilmente si tratta del più importante tra i vari altri simboli: è un chiaro riferimento al mito di Enea, giunto sulle coste italiane guidato dalla madre Venere per mezzo della “Stella Veneris”. In senso moderno, questo elemento venne affiancato alla personificazione nazionale nel 1848, diventando la cosiddetta “Stella d’Italia”.

Facendo un’accurata selezione tra quelle che sono le rappresentazioni più significative dell’allegoria della nostra Patria prodotte nel corso del XIX secolo, determinante per la storia del nostro Paese, inevitabilmente ci si imbatte nella personificazione dell’Italia di Antonio Canova inserita nel Monumento a Vittorio Alfieri della Basilica di Santa Croce a Firenze (1810), paragonabile ad una sorta di “Mater Dolorosa”. Come noto, il monumento viene commissionato dalla contessa d’Albany nel 1804 in onore del celebre tragediografo/poeta da poco scomparso (Firenze, 8 ottobre 1803). La contessa è decisa a fare in modo che il ricordo di Vittorio Alfieri venga celebrato nel marmo da colui che può essere considerato, per importanza, il “primo scultore” d’Italia. Canova accetta con entusiasmo l’incarico e sin dall’inizio viene spronato dalla committente ad “ideare in grande”. Tuttavia, la prima proposta presentata dallo scultore decisamente non piace alla contessa d’Albany.

Successivamente, Canova produce una serie di disegni relativi alla composizione: oltre alla nota Italia dolente, vi compaiono il busto di Alfieri (successivamente tramutato in un medaglione), l’allegoria della Tragedia ed alcuni Geni. Canova si cimenta nella realizzazione di una stele commemorativa del poeta, il cui progetto viene sviluppato in due modelli, conservati ancora oggi presso il Civico Museo di Bassano del Grappa (la versione più antica) e la Gipsoteca Canoviana di Possagno (la versione più recente). Come confermato dalle fonti storiche, solo il secondo tra i due modelli viene presentato dall’artista alla d’Albany: raffigura “L’allegoria dell’Italia con busto e due Geni”. La committente decide di rifiutarlo, per un banale fattore economico: infatti, la contessa si rifiuta di procedere con la realizzazione di una semplice stele tenendo conto dell’elevata somma di denaro pattuita (circa diecimila scudi). Viene quindi ordinata a Canova la realizzazione di un monumento a tutto tondo, nel quale inserire una o due statue a figura intera, senza alcuna variazione nei costi previsti. La committente sceglie di mantenere i contatti con lo scultore per tutta la durata dei lavori, inviandogli suggerimenti relativi al monumento accompagnati da diversi scritti dell’Alfieri, per fare in modo che Canova ne possa trarre ispirazione. Completata la fase progettuale, a partire dal 1809 iniziano i lavori di montaggio del monumento all’interno della Basilica di Santa Croce. L’opera viene infine inaugurata il 20 settembre 1810, alla presenza dello stesso Canova: da subito, un grande entusiasmo accoglie il nuovo capolavoro. Il monumento Alfieri è una grande e rigorosa struttura, che rispecchia pienamente l’ideale foscoliano di Santa Croce quale “Pantheon delle Itale glorie”. È collocato all’interno di una nicchia ricavata nella navata laterale destra della basilica fiorentina, esattamente nel luogo occupato in origine dalle tombe delle famiglie Cocchi e Nardini (smantellate per far posto al monumento). Un alto basamento ovale (sul quale è presente l’iscrizione che comprende i nomi del poeta e della committente) e un gradino sorreggono il sarcofago attico. Lo decora il già citato medaglione con il ritratto del defunto, oltre ad alcuni simboli allegorici (tra i quali le maschere dolenti, allusive della Tragedia). L’Italia addolorata poggia il gomito sul coperchio del sarcofago, asciugandosi gli occhi con un lembo della veste. Questa figura ha un doppio significato: certamente è legata al ruolo della madre che piange il proprio figlio, ma rappresenta anche il dolore della Patria derivante dalla difficile situazione politica dell’epoca (la penisola ancora spezzata e devastata, in attesa della pace).

(1 – Continua)