La pop art qui da noi

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Una mostra alla Fondazione Magnani Rocca di Mamiano di Traversetolo

di Michele De Luca

 

La pop art è una corrente artistica della seconda metà del XX secolo che deriva dalla parola inglese “popular art”, ovvero arte popolare. Si interessa della forma e della rappresentazione della realtà; i maggiori rappresentanti del genere furono tra gli altri: Roy Lichtenstein, che si richiamò al mondo dei fumetti; George Segal, che costruì a grandezza naturale figure in gesso colte in gesti di vita quotidiana; Claes Oldenburg, che riprodusse in grande scala beni di consumo, o fece apparire quasi in decomposizione oggetti tecnologici; James Rosenquist, con i suoi enormi cartelloni pubblicitari. Maestro riconosciuto della pop art fu Andy Warhol, che trasformò l’opera d’arte da oggetto unico in un prodotto “seriale”, come nella celebre serie dei barattoli di minestra Campbell, oppure dei ritratti di Marilyn, Elvis Prsley, Mao e Muhammad Alì, con la quale egli confermò, di fatto, che il linguaggio della pubblicità era ormai diventato arte e che i gusti del pubblico si erano a esso uniformati e standardizzati.

Questa nuova forma d’arte popolare, rivolge la propria attenzione agli oggetti, ai miti e anche ai linguaggi della società dei consumi e si è posta la sfida di liberarsi dai vincoli della vecchie tradizioni artistiche includendo l’immaginario dalla cultura popolare come la pubblicità e l’attualità. Diretta a criticare il consumismo che si diffondeva negli anni sessanta, la pop art respinge l’espressione dell’interiorità e dell’istintività e guarda, invece, al mondo esterno, al complesso di stimoli visivi che circondano l’uomo contemporaneo e le forme più popolari della comunicazione. La sfrenata mercificazione dell’uomo moderno, l’ossessivo martellamento pubblicitario, il consumismo eletto a sistema di vita, il fumetto quale unico, residuo veicolo di comunicazione scritta, sono i fenomeni dai quali gli artisti pop attingono le loro motivazioni. La rappresentazione del cosiddetto”folclore urbano”, dagli hamburger, dalle auto, dai fumetti ai miti dell’immaginario collettivo contemporaneo si trasforma presto in merce, in oggetto che si pone, con strepitoso successo, sul mercato (dell’arte) completamente calato nella logica mercantile. Ciò nonostante gli artisti che hanno fatto parte di questo movimento hanno avuto un ruolo rivoluzionario introducendo nella loro produzione l’uso di strumenti e mezzi non tradizionali, come il collage, la fotografia, il cinema, il video e la musica, dai quale gli stessi Beatles per alcune canzoni hanno trovato ispirazione.

Come scrive Walter Guadagnini, si viene ad affermare “una ricercata semplicità, che dà vita però a una lingua nella quale convergono suggestioni complesse, provenienti dalla fotografia, dal cinema e dalla pubblicità (oltre che dalla storia dell’arte, ovviamente). Dai linguaggi che costituiscono la base della comunicazione nella società di massa, insomma, e non solo dalle icone che questa produce”. E in Italia? Fino all’11 dicembre la Fondazione Magnani Rocca, a Mamiano di Traversetolo in provincia di Parma, ospita una grande mostra sulla Pop Art italiana, composta da circa settanta opere provenienti da importanti istituzioni pubbliche e prestigiose collezioni private. La mostra, curata da Stefano Roffi e Walter Guadagnini (ricco di approfondimenti il catalogo pubblicato da Silvana Editoriale), fornisce una lettura articolata e innovativa delle vicende che hanno portato alla nascita e alla diffusione di una “via italiana” alla Pop Art, pienamente in sintonia con le analoghe esperienze maturate in ambito internazionale e al tempo stesso linguisticamente autonoma rispetto ai modelli statunitensi ed europei del periodo. La mostra prende avvio con due opere esemplari, una Piazza d’Italia di Giorgio de Chirico e un Sacco di Alberto Burri, due fonti primarie dell’approccio italiano alla contemporaneità. Non a caso, inizialmente, la critica aveva parlato di una stagione “neo-metafisica” a proposito dell’opera di autori come Mario Schifano o Tano Festa, e lo stesso Schifano, come è noto, omaggerà esplicitamente Giacomo Balla e il Futurismo in due serie pittoriche centrali nello sviluppo del suo percorso.

La mostra procede poi con quelli che si possono considerare i precursori del linguaggio Pop propriamente detto, una serie di autori che, a partire dagli anni dell’immediato secondo dopoguerra hanno affrontato i temi del nuovo paesaggio visivo in un paese che andava uscendo dai traumi della guerra e aprendosi a nuovi, inediti stili di vita, capaci di generare naturalmente anche nuove immagini: Gianni Bertini, Enrico Baj, Mimmo Rotella, Fabio Mauri, hanno saputo cogliere per primi le nuove urgenze culturali, il nuovo clima anche sociale che andava maturando negli anni Cinquanta, e le loro opere si pongono, stilisticamente, a fianco di quelle dei neo-dadaisti statunitensi. Assieme a loro, alla fine degli anni Cinquanta anche autori come Schifano, Renato Mambor, Gianfranco Baruchello riflettono sui temi della “oggettualità” della pittura, ponendo le basi per lo sviluppo della vera e propria stagione d’oro della Pop Art italiana tra il 1960 e il 1966.

Un momento di straordinario fervore artistico che investe l’intera penisola; in questa sezione si vedono quindi i capolavori di Rotella e Baj, degli autori romani riuniti sotto l’etichetta di “Scuola di Piazza del Popolo”, i già citati Schifano, Festa, Mambor, Mauri e poi Franco Angeli, Umberto Bignardi, Mario Ceroli, Giosetta Fioroni, Sergio Lombardo, Cesare Tacchi, Claudio Cintoli, le opere degli artisti operanti a Milano come Valerio Adami, Lucio Del Pezzo, Piero Manzoni, Emilio Tadini, Antonio Fomez, i torinesi Piero Gilardi, Aldo Mondino, Michelangelo Pistoletto, i toscani Roberto Barni, Adolfo Natalini, Gianni Ruffi, Roberto Malquori.

La mostra si conclude con la presentazione di un altro fenomeno cruciale nell’evoluzione del linguaggio Pop in Italia, vale a dire quella declinazione che, a partire dal 1966 e almeno fino ai primi anni Settanta utilizza le immagini e i “modi” della cultura di massa per realizzare un’arte esplicitamente politica, che riflette il nuovo clima sociale diffuso in tutto il mondo alla fine del decennio: in questa sezione troviamo soprattutto opere degli esponenti di quella ”figurazione critica” – come Giangiacomo Spadari, Paolo Baratella, Fernando De Filippi, Sergio Sarri, Umberto Mariani, Bruno di Bello o Franco Sarnari – che si rivelano oggi come un’ulteriore, originale contributo italiano alla diffusione del “popism” in ambito internazionale.