Pinter e Schiller in scena

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A Monfalcone un classico del Novecento, a Trieste un altro classico del primo Ottocento

di Palo Quazzolo

 

Tra gli spettacoli visti in regione in queste prime settimane dell’anno ve ne sono due che, per epoca di composizione, stile, contenuti e impatto sul pubblico, possono essere collocati su due versanti opposti: Tradimenti di Harold Pinter e Maria Stuarda di Friedrich Schiller. Entrambi sono testi di non semplicissima ricezione, ma che tuttavia spingono il pubblico a riflettere su tematiche importanti: il primo sugli aspetti deteriori della vita quotidiana nella nostra società; il secondo sul potere e sulla sua amministrazione, soprattutto quando agli affari politici si mischiano i sentimenti personali e le rivalse di famiglia.

Harold Pinter, premio Nobel per la letteratura nel 2005, può essere considerato uno dei principali – se non addirittura il più importante – tra gli autori drammatici occidentali della seconda metà del Novecento. Nato a Londra, consacratosi sin da giovane al teatro, scrive per il palcoscenico ma è anche sceneggiatore (soprattutto delle proprie opere drammatiche), romanziere e poeta. Spesso incompreso da pubblico e critica soprattutto agli esordi, Pinter si è affermato con serie di lavori che sono stati definiti come “commedie della minaccia”, in cui elementi apparentemente innocui finiscono per creare una crescente inquietudine nei personaggi che si muovono sul palcoscenico. In seguito l’autore, avvicinatosi alla politica, ha spesso preso posizioni molto polemiche in relazione a eventi di portata internazionale come la guerra in Afghanistan e quella in Iraq, vicende dalle quali ha talora tratto delle pièces teatrali.

Tradimenti, che è forse l’opera più celebre e rappresentata dell’autore inglese, viene scritta nel 1977 e debutta l’anno successivo al National Theater di Londra. Spunto per questo atto unico fu una relazione che l’autore aveva avuto, sette anni prima, con Jean Bakewell, una presentatrice televisiva. La vicenda racconta di una relazione extraconiugale tra Emma e Jerry, dando luogo al più tradizionale dei triangoli drammaturgici, laddove il terzo personaggio è Robert, marito di Emma e migliore amico di Jerry. La particolarità di questo atto unico è che la vicenda non procede attraverso il consueto ordine cronologico, ma viene raccontata in modo inverso. La prima scena infatti si svolge due anni dopo il termine della relazione, quando i due protagonisti si incontrano dopo un lungo periodo di lontananza. Da lì parte un percorso della memoria che porta a ritroso, facendo rivivere le fasi salienti di questa storia, fino ad approdare al momento iniziale. Come lo stesso Pinter ebbe modo di sottolineare, Tradimenti non è una commedia sull’amore o sulla crisi di coppia: il tradimento coniugale diviene la chiave per mezzo della quale scoprire e mettere impietosamente in luce ogni sorta di tradimento che caratterizza la vita quotidiana nella società borghese. I tre protagonisti infatti incarnano le ipocrisie, le debolezze, la superficialità, le illusioni di tutti noi e con la loro storia dimostrano come il presente tradisca il passato, come le attese vadano spesso deluse, come la ragione finisca per opporsi alla morale della nostra società, quando cerchi di giustificare azioni che il rigore del mondo borghese non vorrebbe tollerare.

Lo spettacolo andato in scena al Teatro Comunale di Monfalcone è stato proposto da Elsinor Centro di Produzione ed è stato interpretato da Stefano Braschi (ottimo Jerry), Stefania Medri e Michele Sinisi (anche regista). Uno spettacolo che ha saputo ben interpretare il testo pinteriano e che ha potuto giovarsi di una indovinata scenografia di Federico Biancalani, che bene aiutava lo spettatore nell’orientarsi all’interno di un testo dalla struttura cronologica inusuale.

Maria Stuarda è tra le principali opere drammatiche di Schiller, autore vissuto tra il 1759 e il 1805. Assieme a Goethe rappresenta una delle menti più profonde che la Germania abbia dato al pensiero occidentale e, allo stesso tempo, uno degli autori drammatici più intensi. I due diedero vita al cosiddetto “classicismo di Weimar” che, partendo dalla tragedia classica, si proponeva di ricreare sulla scena non l’illusione della vita reale, ma la trasfigurazione della nostra esperienza quotidiana. A Schiller si devono opere di grande complessità quali I masnadieri, Intrigo e amore, Don Carlos, Guglielmo Tell o Maria Stuard (quest’ultima andata in scena nel giugno del 1800), tutte tragedie che, pur essendo state interpretate ripetutamente sui palcoscenici europei dai maggiori attori, hanno curiosamente conosciuto vita immortale soprattutto grazie agli adattamenti fatti per il palcoscenico del melodramma da Giuseppe Verdi, Gioachino Rossini e Gaetano Donizetti.

Maria Stuarda è la storia degli ultimi giorni di vita dell’infelice regina di Scozia, condannata a morte dalla cugina, Elisabetta I Tudor, che ne temeva le pretese sul regno d’Inghilterra. Nonostante tutto, sarà proprio il figlio di Maria, Giacomo, a succedere sul trono d’Inghilterra a Elisabetta, dando così vita al regno unito di Scozia, Inghilterra e Irlanda.

Diremo subito che la versione di Maria Stuarda andata in scena al Politeama Rossetti nella coproduzione tra gli Stabili di Genova e Torino e il Centro Teatrale Bresciano, è stata di altissima qualità, uno spettacolo come da tempo non se ne vedevano. La sontuosa regia è stata firmata da Davide Livermore mentre le due regine sono state interpretate da due “regine” dalla scena italiana: Laura Marinoni ed Elisabetta Pozzi. Ma con una trovata curiosa e assolutamente teatrale: il ruolo che ciascuna di esse sostiene di sera in sera è deciso dal caso. Nel prologo, infatti, un angelo fa cadere dall’alto una piuma che, in base a dove va a posarsi, viene deciso quale delle due attrici interpreta il ruolo di Elisabetta e quale quello della Stuard. Al Rossetti, la sera della prima, la sorte ha voluto che il ruolo del titolo venisse sostenuto da Laura Marinoni.

Lo spettacolo, che gioca moltissimo sul colore rosso e sull’utilizzo di un efficace impianto scenico (di Lorenzo Russo Rinaldi) in cui domina una scalinata la quale evoca l’utilizzo che, negli anni Venti del Novecento, ne fece il regista tedesco Leopold Jessner con la celebre “Stufenbühne” (appunto, la scena a gradini), si avvale di una soluzione interpretativa in cui la musica diviene uno dei codici di riferimento. Non a caso il regista Livermore, che nasce come cantante d’opera e che ha firmato alcuni memorabili allestimenti per il melodramma (basti ricordare la Tosca o il Macbeth che hanno aperto di recente le stagioni della Scala), ha voluto indagare quello che egli ritiene essere il fondamento del teatro italiano, ossia il “recitar cantando”, incrociando così tra di loro musica e parola. La colonna sonora dello spettacolo, eseguita dal vivo da Giua e realizzata dal compositore e sound designer Mario Conte, è ricca di riferimenti colti che ci portano Purcell a Dowland (musicista che ha scritto per Elisabetta I) e a Davide Rizzio, amante di Maria Stuarda, il tutto rivissuto in un clima rock.

Splendidi i costumi, disegnati da Dolce&Gabbana per le due regine e da Anna Missaglia per gli altri personaggi.

Quanto agli interpreti, Marinoni e Pozzi sono due attrici di grandissima levatura che, ciascuna nel proprio ruolo, hanno saputo coinvolgere ed emozionare la platea che ha assistito alle oltre tre ore di spettacolo con grande e continua partecipazione. Ma ottimi anche gli altri interpreti, tutti impegnati in più ruoli, spesso en-travesti (laddove i personaggi maschili erano interpretati da donne): Gaia Aprea, Linda Gennari, Giancarlo Judica Cordiglia, Olivia Manescalchi e Sax Nicosia.

Un ultimo accenno va fatto alla splendida e funzionale traduzione di Carlo Sciaccaluga, che ha saputo conferire al linguaggio settecentesco di Schiller una grande modernità e efficacia scenica.

Al termine applausi convintissimi e prolungati.

 

 

1.

Elisabetta Pozzi e

Laura Marinoni

in Maria Stuarda

foto di Alberto Terrile