La rivincita dei matti

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Una bella storia ambientata tra il manicomio di Trieste e lo stadio Santiago Bernabéu di Madrid

di Anna Calonico

 

Quando sono arrivata a Trieste e ho cominciato a sentir parlare di “matti” mi è rimasta in testa una strana definizione: la follia è come un filo rosso, che puoi appoggiare a terra seguendo un certo contorno, ma il filo si sposta facilmente, qui un po’ più a destra, lì un po’ più a sinistra.

La follia non ha un profilo stabile. La follia, un profilo non ce l’ha proprio per niente, quindi come stabilire chi è pazzo e chi non lo è?

Credo che questa confusione tra pazzi e “normali” sia uno dei motivi per cui piace l’ultimo libro di Pierdomenico Baccalario, La rivincita dei matti.

Intanto, va detto che l’autore non è un esordiente e nell’ambito della narrativa per ragazzi non è certo un emerito sconosciuto. Infatti, è lo scrittore di romanzi come Lo spacciatore di fumetti, La ragazza di Berlino, La bambina che leggeva i libri, Il manuale delle 50 avventure da vivere prima dei 13 anni, per non parlare della serie fantascientifica di Cyboria, e molti, molti altri, in serie e non, scritti da solo o a quattro mani, di genere fantasy, poliziesco, di avventura o altro.

Questa volta la storia, pur fantasiosa, riprende dei fatti reali che fanno da sfondo ad una narrazione ispirata all’apertura dei manicomi dopo la legge Basaglia, un dottore dai modi gentili.

A renderla ancora più veritiera c’è la presenza di Trieste, resa in maniera così vivida da sembrare un personaggio vero e proprio.

La vicenda è semplice, e si svolge in un arco di tempo piuttosto breve, durante i Mondiali di calcio del 1982, dalla partita degli azzurri contro la Polonia sino alla finalissima dell’11 luglio.

È narrata in prima persona  da Agnese, una ragazzina di tredici anni chiamata da tutti Steno, nipote da Arturo Praz, ideatore di una partita di calcio da svolgersi proprio quello stesso 11 luglio 82, in concomitanza con l’ultima partita dei Mondiali.

La vicenda, come dicevo, inizia il giorno di Italia – Polonia, esattamente quando Arturo Praz corre da Steno e se la porta via in vespa perché ha una grande notizia. Si recano all’osteria di Valerio e lì, l’uomo fa vedere alla ragazzina una lettera che, a suo dire, gli è stata spedita dal suo grande amico Bearzot.

Enzo Bearzot.

La lettera dell’allenatore degli azzurri scatena la voglia di rivincita di Praz che decide di organizzare una partita di calcio, da disputarsi il giorno della finale dei Mondiali così l’Italia – perché lui, assicura Steno, è sicuro che arriverà in finale – vincerà la coppa del Mondo. Ma solo se lui e Bearzot giocheranno insieme, nello stesso momento.

Se l’idea vi sembra un po’ balzana vi svelo un segreto: il buon Arturo è un ex paziente del “Collegio”, come veniva chiamato il manicomio di San Giovanni.

Quindi si tratta soltanto dei deliri di un pazzo?

Qui viene il bello: i pazzi, se così li vogliamo chiamare, saranno undici, ognuno con un suo ruolo in squadra e una maglia con un numero, come gli undici di Bearzot.

Gli avversari, invece, saranno gli infermieri, ormai ex, dello stesso manicomio.

Il libro non si sofferma sulla detenzione in Collegio di questi undici, ma per ognuno di loro c’è un ricordo: Praz, ad esempio, è casualmente caduto dalle scale prima di una partita pazienti-infermieri, e la sua assenza ha determinato la sconfitta dei matti. Questo evento suggerisce che all’interno del Collegio ci fossero violenze, soprusi, ingiustizie, falsi incidenti dovuti a infermieri crudeli.

Ci sono anche ricordi più dolci, come quello di Bragassi che nel comprensorio ha conosciuto l’amore. C’era l’obbligo, per gli uomini, di camminare a destra, e per le donne di camminare a sinistra, ma Bragassi viola le regole per conoscere Giulia che ora, ai tempi della partita di cui parliamo, è sua moglie.

In un modo o nell’altro, comunque, si intuisce che ognuno degli undici ha passato in quel Collegio un periodo non facile da dimenticare: c’è persino chi vi è rimasto a fare il falegname, senza mai avere il coraggio di oltrepassare il cancello. Lo dice anche Steno: «C’è una grande strada centrale che attraversa la parte bassa del parco raggiungendo una doppia scalinata che lo divide in due parti, ed è tutto molto silenzioso. Ma da come il corpo dello zio si irrigidisce quando entriamo capisco che non gli piace tornare lì, in quello che chiamano il Collegio. Quelle che per me sono semplici case quadrate, per lui sono state reparti, camere in cui era costretto a dormire, sedi di terapie, di cure. Una prigione, e non tutti quelli che c’erano finiti dentro meritavano di starci».

È triste leggere queste storie, non perché l’autore insista su particolari duri, ma perché descrive il Comprensorio, le sue curve, la chiesetta, il Posto delle Fragole, la meravigliosa scritta «La libertà è rivoluzionaria»… ed è quasi impossibile non pensare che i personaggi che sono stati in quella realtà, pur inventati, sono vissuti davvero.

Baccalario, comunque, descrive anche altre zone di Trieste: le Rive, piazza Unità e le zone circostanti con il pinguino Marchetto, l’oratorio Lucchetti e la chiesa a forma di plumcake. In questi ambienti la storia va avanti e il progetto della partita è sempre più concreto, anche perché, nonostante il pareggio con il Perù, l’Italia non viene eliminata, e gioca con l’Argentina, prima, con il Brasile poi, fino ad approdare veramente in finale.

Nel frattempo anche gli avversari si stanno organizzando, e Praz cerca i suoi ex compagni di Collegio dalle Dolomiti alla Croazia e riesce a farsi dare le magliette dal PCI e il campo da calcio del San Luigi dal sindaco.

Non posso continuare a rivelare cosa succede, ma voglio condividere un breve dialogo tra zio e nipote:

«Noi, cosa? Se eravamo cattivi? Macché, non eravamo nemmeno matti. Lo sai quando uno è matto, Agnese?».”

Scuoto il capo, anche perché non è che volevo arrivare fin lì, con le mie domande.

«Un matto è quando un’altra persona glielo dice. E a forza di sentirselo dire, finisce che ci crede».

È facile capire perché consiglio questo libro: parla di Trieste e di matti, di Basaglia e dei “matti” che ha liberato, e che si rivelano non proprio matti. È una storia di amicizia e di sport, due cose che riguardano anche i cosiddetti “normali” e che aiutano il processo di inclusione tra persone diverse. È un salto nel passato: in quello che conosciamo tutti, con i gol di Paolo Rossi, e in quello a cui non si pensa mai abbastanza. Tutto questo in capitoli brevi e di veloce lettura, che forse sono un po’ lenti all’inizio, ma che ugualmente spingono il lettore a continuare a girare le pagine per sapere cosa succede dopo. Trovo sia un’ottima idea l’ambientazione dei Mondiali: un momento quasi eroico per gli appassionati di sport, che può forse avvicinare i ragazzini, troppo giovani per aver tifato Zoff, Cabrini, Conte, Tardelli e Antognoni, ai loro padri e nonni che quelle partite le hanno viste in diretta. E credo, infine, che le descrizioni veritiere del Parco di San Giovanni siano servite moltissimo per farci entrare, soprattutto noi che conosciamo il posto, nel vivo della narrazione.

 

 

 

Pierdomenico Baccalario

La rivincita dei matti

Mondadori 2022

pp 228, euro 17,00

dai 10 anni