Per caute sopravvivenze

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Un piccolo dizionario

di Malagigio

 

 

HITLER

 

Hitler è diventato un nome comune per indicare i più recenti tra i pessimi della Terra. Per quanto pessimo sia un superlativo assoluto, tutti sappiamo che il concetto è molto relativo.

È infatti sempre più in auge quel procedimento retorico che i sapienti chiamano reductio ad hitlerum (scriviamolo ormai con la minuscola). La felice espressione fu inventata dal filosofo Leo Strauss all’inizio degli anni Cinquanta, per definire una banalizzazione mendace di quanto l’Hitler vero (quello nato a Braunau nel 1889 e morto a Berlino nel 1945) combinò: la più feroce guerra di sempre e lo sterminio degli ebrei nell’Europa da lui occupata.

Adesso però per ritrovarsi a sbanderare quel nome basta molto meno. Ad essere ottimisti, questo accade perché noi occidentali ormai gli Hitler li riconosciamo in culla: Bin Laden, Saddam Hussein, Gheddafi, Milosevic, Chavez, Ahmadinejad, al-Asad, Kim Jong-un con tutta la sua dinastia, ecc. ecc.

Fosse davvero così, si sarebbe avverata la terribile profezia, che avevamo scambiato per cattiva fantascienza, del film I ragazzi venuti dal Brasile (1978), in cui si vedeva l’orribile dottor Mengele clonare Hitler novantaquattro volte.

La più recente trasformazione sarebbe quella di Vladimir Putin: per i suoi tanti e importanti ex amici occidentali, gli sarebbe accaduto qualcosa d’improvviso, verrebbe da dire di kafkiano; «dopo una notte di sogni inquieti, Vladimir Putin si risvegliò trasformato in un grosso Adolf nero». E questo – che ingrato – malgrado tutto l’amore che fino a ieri gli abbiamo dato.

 

 

MIMETICA

 

Aggettivo sostantivato che indica una divisa militare il cui scopo dovrebbe essere rendere il più indistinguibile possibile il soldato dall’ambiente circostante. Le divise mimetiche di tutti gli eserciti del mondo sono invariabilmente caratterizzate da toni di verde, tutt’al più con accorte chiazze di marrone. Le divise mimetiche ci fanno capire quindi che le guerre si combattono nelle foreste, nei prati, protetti dai cespugli delle savane. C’è un che di romantico in questa ostinazione al verde, proprio nel tempo in cui la deforestazione procede più gloriosa della marcia dell’Aida. Secondo una stima della Fao, dal 1990 al 2020 sono andati cancellati dal pianeta oltre 420 milioni di ettari di foreste: circa 140 Italie. In compenso crescono le città. Il cemento si propaga per quattro metri quadrati al secondo. Alla fine della lettura di questo lemma, sarà stato cementificato lo spazio per il parcheggio di un onesto supermercato. Aumentano anche gli uomini e quindi i soldati. Dicono gli esperti che nel 2050 nel Mediterraneo ci sarà più plastica che pesci. E i soldati saranno stretti come sardine in scatola nelle oasi di verde superstiti. Da lì potranno bombardare le megalopoli illudendosi invisibili come lucertole tra le ortiche.

 

 

PUTINIANO

 

L’aggettivo putiniano è registrato nel Dizionario Treccani già dal 2008. Per evidenti motivi, nei tempi più recenti. il lemma ha visto virare il suo significato verso un tono dispregiativo.

Putiniano è un nemico giurato della democrazia liberale che sempre rispetta le libertà dell’Uomo (che saremmo noi), per praticare una cinica politica di pura prepotenza, non necessariamente frutto di un progetto razionale, ma magari anche per puro patologico impazzimento (che sarebbe lui).

Ritrovandoci a nostra insaputa in guerra, putiniano viene usato al momento soprattutto per individuare gli eventuali fiancheggiatori del dittatore russo in Italia. Occhiuti giornalisti si dedicano a stilare liste di putiniani italiani. Le caratteristiche richieste per accedervi non sono necessariamente chiare, e questo è giusto: per essere efficace, la qualifica di putiniano è bene che resti vaga.

In particolare, si può dire che non è necessaria un’esplicita adesione all’attuale politica della Russia per questa impegnativa qualificazione. È sufficiente esprimere dubbi, riserve o distinguo rispetto all’attuale posizione del governo, e cioè della Nato, e cioè degli Stati Uniti d’America.

Esisterebbero quindi dei putiniani di fatto: degli oggettivamente putiniani, anche se a parole questi provano vanamente a tenersi lontani e a mostrarsi persino radicalmente critici nei confronti di Putin. Il concetto di oggettivamente putiniano è pronto così ad allargarsi fino all’indefinito. Essere giudicati oggettivamente qualcosa, ricorda quell’oggettivamente nemici del popolo che fece finire nei gulag tanti innocenti condannati come nemici di Stalin. Ne parla a lungo Aleksandr Isaevič Solženicyn nel sempre utile Arcipelago Gulag, raccontando cosa prevedeva l’articolo 58 del codice penale del 1927 (ha 14 commi).

 

 

VEDOVI ALLEGRI

 

La condizione essenziale per lasciare al mondo una pletora di vedovi e vedove, di orfane e orfani, è essere morti. Solo questo lascerà ai vivi il grato dono del rimpianto. Nel rimpianto, quello che rimpiange riempirà il silenzio del morto col suo ruolo – assunto da sé – di medium: «Ah! Cosa avrebbe detto la Buonanima se fosse viva!…»; qui dovrebbe seguire un momento di dolente suspense, «Ora velo dico io…», qui si potrà sospirare sollevati.

Va molto il rimpianto a comando in occasione dei centenari. Pier Paolo Pasolini, per esempio, sta dando la stura a una serie straordinaria di rimpianti. Come mostra il suo caso, aiuta molto poter ostentare un qualche filo di parentela, amicizia, amore e comunque intimità con il defunto da rimpiangere. L’auctoritas del rimpiangente aumenta esponenzialmente se potrà dimostrare di aver condiviso con il rimpianto prima di tutto il letto, altrimenti almeno cose come qualche cena in ristoranti possibilmente non di primissima scelta, meglio se trattorie un po’ abiette. Se non lo si è neppure conosciuto di persona, occorrerà esibire un qualche grado di parentela importante; diciamo cugini di quarto grado, meglio se corroborata da una qualche per quanto vaga somiglianza fisica.

Naturalmente il defunto, il rimpianto, deve usare la cortesia di non tornare in vita a nessun costo. Tutti i rimpiangenti si troverebbero orfani e vedovi del loro rimpianto.

Il rimpianto, direbbe Leopardi, è sempre poetico: è una delle figure della lontananza e dell’indefinito. Sostituire l’aura sfocata che si allarga nel tempo attorno al defunto, come in un tramonto impressionista, con qualcosa di volgarmente evidente come un resuscitato, sarebbe catastrofico. Direbbe sempre Leopardi: accade sempre quando si sostituisce la cara immaginazione con la stupida realtà.

Si rimpiangono meglio quelli che non muoiono troppo vecchi: meglio se di morte violenta, meglio ancora se questa è ambigua e persino indecifrabile: Marylin Monroe! – Nel caso invece che la morte, per quanto inequivocabilmente non naturale, abbia una spiegazione chiara ed evidente, ci penseranno le vedove e i vedovi a trasformarla in un labirinto di inesauribili inconsolate congetture. Ne nascono destini, vocazioni, addirittura carriere.