ZANGRANDO A GORIZIA

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Walter Chiereghin

 

In questa stagione estiva l’attenzione si è concentrata sulla pittura di un autore mai obliato, se non altro perché assai ricercato dai collezionisti, il triestino Giovanni Zangrando (1876-1941), la cui intensa attività espositiva lo ha reso molto presente nelle cronache artistiche a partire dall’ultimo decennio del secolo XIX. Il ritorno d’interesse e di attualità per il suo lavoro è scaturito dalla concomitante circostanza dell’uscita di una monografia su di lui e da una grande mostra allestita a Gorizia nel prestigioso spazio di Palazzo Attems Petzenstein. Autore e Curatore con Alessandro Quinzi dell’esposizione è il triestino Daniele D’Anza, storico dell’arte che si è già in precedenza segnalato per significativi contributi su riviste scientifiche, nonché per la pubblicazione di una monografia su Zoran Music, un’altra su Vittorio Bolaffio e, in collaborazione con Giuseppe Pavanello e Alberto Craievich, un’altra ancora su Giuseppe Bernardino Bison, le ultime due inserite nella collana sui pittori triestini edita a cura della Fondazione CRTrieste. Lo stesso D’Anza è anche autore della monografia (che si avvale dell’apporto di Giulia Babudri per la redazione delle schede del Catalogo -non completo – delle opere e di Michela Zangrando Cortellini per le notizie biografiche).

Potendo vantare significative esperienze nella curatela di mostre, anche nel caso dell’esposizione goriziana D’Anza ha dato prova di notevole perizia: ne è risultata infatti un’antologica – probabilmente la più corposa tra quelle dedicate a Zangrando – in grado di porre in rilievo ogni sfaccettatura della produzione artistica dell’Autore, dando conto delle sue connotazioni stilistiche non meno che delle tematiche affrontate, in ambiti che spaziano dalla ritrattistica al paesaggio, dalla veduta alla figura umana, sovente declinata nella variante del nudo femminile, partendo da posizioni realistiche tardo ottocentesche che ben presto si sono evolute in modalità impressionistiche.

Nato a Trieste da genitori di modesta condizione sociale provenienti entrambi dal Cadore, Zangrando dimostrò ben presto una naturale predisposizione per le arti figurative, che coltivò proficuamente all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove si iscrisse al primo corso nel febbraio del 1885. Dopo un biennio di formazione di base, seguì in particolare i corsi di figura e di ornato e in Accademia subì una duratura influenza da parte di due maestri, Giacomo Favretto (Venezia, 1849 – ivi, 1887) e, soprattutto, Pietro Fragiacomo (Trieste, 1856 – Venezia, 1922). Si distinse tra gli allievi dell’Accademia, conseguendo nel corso della sua permanenza in Laguna numerosi premi e riconoscimenti, l’ultimo dei quali, a conclusione della sua formazione veneziana, gli consentì di continuare gli studi mediante un soggiorno a Monaco, seguendo un iter comune a numerosi altri artisti in quel periodo, tra i quali Isidoro Günhut, Umberto Veruda, Arturo Rietti che, assieme a Giusepe Barison, Carlo Wostry e i più giovani Glauco Cambon e Ugo Flumiani furono compagni dello Zangrando nel costituire a Trieste la generazioni di pittori che avrebbe traghettato le arti figurative dal XIX al XX secolo. Già nel periodo della permanenza a Monaco, dopo che le formulazioni veriste d’ispirazione courbertiana si erano incupite e drammatizzate in particolare nella ritrattistica, si manifesta un deciso schiarirsi della tavolozza, soprattutto nelle immagini di paesaggio. Partecipando attivamente anche da Monaco alla vita artistica triestina, Zangrando ottiene la vittoria in un concorso bandito da Cecilia de Rittmeyer che finanziava il soggiorno romano di un giovane artista, per cui si trasferì a Roma, prendendo alloggio in Via Magutta e ampliando quindi sia le conoscenze dei capolavori della storia dell’arte che la cerchia delle proprie amicizie, che inclusero allora, tra gli altri, il pittore Antonio Mancini (Albano Laziale, 1852 – Roma, 1930). Segue al soggiorno romano un periodo parigino, forse parte di un più articolato viaggio per l’Europa. Nella capitale francese, com’è ovvio, entrò in contatto con l’ambiente artistico all’epoca, egemone a livello mondiale, rimanendo sicuramente affascinato dalla tavolozza e dalla tecnica esecutiva di autori quali Degas e Renoir, di cui si troveranno tracce evidenti in tutta la sua successiva produzione, anche se complessivamente informata a una maggiore attenzione al disegno.

Rientrato a Trieste nel 1895, vi aprì uno studio che fu subito frequentatissimo e alla sua pittura arrise anche un notevole successo commerciale, soprattutto per merito di un’intensa attività ritrattistica, che conobbe il suo acme nel 1905 con l’esecuzione del ritratto dell’arciduchessa Sofia von Hohenberg, moglie morganatica di Francesco Ferdinando, destinata a condividere con lui la tragica giornata del 28 giugno del 1914 a Sarajevo. Il ventennio che precedette la Grande guerra fu per il Nostro un periodo di grande attività, con partecipazione a numerosi eventi espositivi, ma anche con un vorticoso ricercare una sua cifra, troppo spesso distratto dalle suggestioni che gli provenivano dall’ambiente che lo circondava, soprattutto da colleghi ed amici quali Veruda, Cambon, Grimani ed altri. Per dirla con D’Anza: “l’opera di Zangrando in questo primo ventennio «triestino» è segnata da ricerche, intuizioni, ripensamenti, tentativi di definire il proprio stile, che non ebbero sviluppo lineare, ma che consistettero a volte in periodi ristretti. Non l’originalità a tutti i costi, ma il confronto e la contaminazione di stili o di tecniche con altri artisti triestini, sembra sostenere il suo pennello”.

La guerra fu uno spartiacque anche per lui, come per l’Europa intera: trascorse gli anni del conflitto in Toscana, dove ebbe modo di incontrare la pittura dei macchiaioli e dove realizzò diverse piccole vedute di Siena, di Fiesole e paesaggi di piccolo formato illustranti l’Appennino del Senese.

Rientrato a Trieste a guerra finita, proseguì con alacrità la sua produzione, presentando con cadenza pressoché annuale le opere prodotte in mostre personali, liberato ormai da ogni assillo commerciale e dedicandosi anzi a riaffermare la sua adesione all’impressionismo dei suoi primi anni, dipingendo sempre più di frequente dal vero ed en plein air, con una freschezza e una velocità di esecuzione che rinnovavano gli entusiasmi giovanili declinati però in una più consapevole e vigile esecuzione, che tuttavia non arrivava a rifinire l’opera, al punto di offrire l’impressione di pubblicare abbozzi anziché dipinti finiti, ma comunque “senza nulla rinnegare di sé stesso”, coma annotò Silvio Benco. Passato indenne e sostanzialmente indifferente attraverso ogni avanguardia del nuovo secolo, rifuggendo da tentazioni futuriste o cubiste, continuò a produrre la sua pittura serena e a gettare attorno a sé uno sguardo sorridente e carico di bonomia, fino al concludersi della sua avventura umana, nel 1941.

L’esposizione goriziana si qualifica oggi come la più ampia esposizione antologica sinora dedicata al pittore triestino e al suo magistero, che conta novantanove tra dipinti e disegni, ai quali vanno sommati due taccuini di disegni e nove fotografie in bianco e nero realizzate dallo stesso Zangrando. In parallelo, nel contesto della Pinacoteca, sono esposte le opere dei suoi allievi conservate presso i Musei Provinciali di Gorizia: dai più noti Adolfo Levier, Giannino Marchig, Arturo Nathan sino a Gianni Brumatti ed Emma Galli.

 

 

DIDASCALIE:

Giovanni Zangrando

L’atelier e gli allievi

Musei Provinciali di Gorizia

Palazzo Attems Petzenstein

Piazza De Amicis 2

dal 30 giugno al 30 settembre 2016

a cura di Daniele D’Anza e

Alessandro Quinzi

Orario:

Mercoledì – domenica ore 10.00–17.00

Giovedì ore 10.00–19.00

Biglietti:

Intero 6 €, ridotto 4 €

Contatti:

  1. +39.0481.547499

musei@provincia.gorizia.it

 

Passeggiata a Sant’Andrea,

olio su tela, coll. Privata